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Nervi intervista

Si intravede una speranza e al tempo stesso una conferma che il duro lavoro porta sempre a dei risultati

Nervi

Ci sarebbe tanto da dire su Elia Rinaldi, in arte Nervi, perché per la prima volta dopo tanti anni, intravedo una speranza e al tempo stesso una conferma che il duro lavoro porta sempre a dei risultati.

Benché giovanissimo, Nervi ha alle spalle già un’esperienza importante con i Finister, autori di due album e un Ep nei quali era già presente il seme della curiosità che non sembra averlo abbandonato, A questo si è aggiunta una determinazione che lo ha portato a decidere di scrivere in italiano abbandonando l’inglese degli esordi per affrontare con un misto di incoscienza e spavalderia il “pericoloso” mondo del pop.

“Un Tipo Timido” è uscito il 9 aprile per Uma Records (qui la nostra recensione), con distribuzione Sony. Hai già avuto qualche riscontro?

Il non poter affiancare all’attività promozionale online o cartacea, quella di suonare dal vivo rende tutto un po’ strano. Ricordo ancora come con i Finister era emozionante suonare in occasione del lancio del disco …

Credo che per chiunque sia abituato a suonare dal vivo sia davvero straniante e che magari sia più comprensibile e gestibile per chi è molto giovane …

Credo che sia così tutti quei musicisti giovani, molto giovani, tra i 16 e 18 anni, che si autoproducono e che hanno un rapporto “casalingo” con la musica, per i quali suonare dal vivo è spesso non contemplato.

Hai citato i Finister; nella bio inviata dall’ufficio stampa, non vengono citati; è stata una decisione condivisa?

Io vado molto fiero dei Finister, nella bio si presenta “Nervi” non Elia Rinaldi; volevo evitare l’effetto “curriculum” che peraltro sarebbe stato assai più ricco se avessi inserito tutti i risultati dei Finister, Voglio presentare Nervi, il mio nuovo progetto. Fino a oggi mi è sempre piaciuto esplorare; i Finister erano partiti quasi dal Progressive Rock, oggi, mi ritrovo a scrivere canzoni in italiano. Per me non è mai stato un problema la varietà, perché mi rispecchia.

Devo essere sincero: io percepisco una continuità tra i Finister e Nervi nell’approccio che tu hai nei confronti della musica. Non hai timore di guardarti indietro, di riscoprire la musica del passato nella quale riconoscerti per creare una base sulla quale costruire qualcosa di nuovo e personale.

Quando ho deciso che volevo cantare in italiano, ho dovuto ricercare qualcosa in cui riconoscermi; per fare questo sono necessariamente dovuto tornare indietro nel tempo perché solo nel passato ho ritrovato qualcosa che mi piacesse veramente. Solo recentemente ho imparato ad apprezzare musica e canzoni contemporanee e a capire che cosa mi devo aspettare dalla musica pop italiana di oggi. Ma all’inizio sono dovuto tornare a riascoltare i cantautori come Battisti o Tenco e interpreti come Mina, che conoscevo, ma che non avevo approfondito.

C’è un respiro diverso nelle tue canzoni che probabilmente è il risultato di una così maturata decisione unita a quel senso di responsabilità di che cosa vuol dire cantare in italiano. Penso a “Sapessi che cos’ho” e al fatto che in quella canzone si sente che la tua ispirazione viene da lontano. È come se avessi fatto un corso intensivo, avessi recuperato gli anni “persi”. Questo mi fa pensare all’idea del musicista che ho io e che è il risultato di studio, ricerca, curiosità, tutti elementi che cozzano con l’immaginario che viene proposto adesso.

Io negli anni ho avuto proprio la prova di non essere un “genio pazzo”, ma l’esatto contrario e come fosse fondamentale e necessario per me studiare per raggiungere un obbiettivo. È un peccato che il verbo “studiare” sia spesso colto quasi con un’accezione puramente accademica, mentre per me “studiare” può voler dire comprare un vinile e ascoltarlo più e più volte cercando di coglierne tutte le sue sfumature.

Tu vieni da un percorso che mette la musica in primo piano e che vede nel suonare dal vivo, che sia palco o sala prove, il suo naturale luogo. Non è un caso che per il debutto di Nervi tu abbia scelto di partecipare al Rock Contest. Una prova per capire come il pubblico reagisse alle tue canzoni ma anche come tu vivevi l’emozione di cantare in italiano davanti a un pubblico …

Ho dei video di quel primo concerto e a riguardalo continuo ad avere delle strane emozioni. Anche perché tu sai di avere delle intenzioni sincere, ma non puoi essere mai certo che queste arrivino al pubblico. Trovarmi sul palco e cantare in italiano è stata una rivoluzione ma anche un’esigenza primaria, perché volevo suonare dal vivo queste nuove canzoni prima di andarle a registrare e pubblicarle.

Nervi

Come vivi questo tuo approccio che è molto lontano da quello di molti tuoi coetanei e soprattutto dell’industria discografica italiana che al momento si regge principalmente su i vari talent show che per me sono veri e propri “tritacarne” che producono spesso dei “Frankenstein” musicali, senza anima o semplicemente una sostanza di fondo. E che ne pensi di fenomeni come Madame, a me lontanissimi, ma che stanno di fatto rivoluzionando il panorama musicale grazie alle vendite e al fatto che riescono a comunicare e a essere in sintonia con un pubblico molto eterogeneo.

Il mio passaggio in italiano è avvenuto in un momento particolare. Sono cresciuto ascoltando e cantando in inglese e non pensando mai all’idea di scrivere canzoni pop che mirassero al successo. Mi sentivo agli antipodi da Alessandra Amoroso o Marco Carta, che anni addietro erano i detentori del successo e delle regole da applicare al pop. Cantanti magari anche tecnicamente preparati, ma che non sapevano scrivere canzoni e che si rivolgevano a un mercato prettamente italiano, e non all’altezza dei loro contemporanei europei. Questa bolla si è rotta credo: ascoltare La Rappresentante di Lista a Sanremo è stato qualcosa di veramente importante e di rottura. Madame è qualcosa di assolutamente nuovo che viene dal mondo hip-hop che un Italia è cresciuto tantissimo negli ultimi anni ed è concorrenziale a quello delle produzioni estere. Io credo che l’unione dell’esperienza cantautorale con sonorità contemporanee sia la strada da perseguire.

Ascoltando il tuo disco ho apprezzato la coerenza con cui hai comunque mantenuto alcune tematiche che erano presenti nei testi dei Finister, prima fra tutte l’ironia e la capacità di scrivere testi che possono essere letti a più livelli. La “grande rivoluzione” è l’uso della prima persona, cioè il fatto che cantare nella tua lingua madre, ti ha portato a dover esporti di più e di dover provare di credere in ciò che dici e canti.

Per me l’italiano è stato il passaggio ad avvicinarmi a quello che volevo dire in prima persona e sono felicissimo che tu abbia colto questo elemento.

Ti dirò di più: con la creazione di un alter ego, in realtà di sei già preservato la possibilità di poter anche non riconoscerti in tutto e per tutto nelle parole che canti. Una cosa è essere Nervi, un’altra Elia. In questo ti allontani dal concetto di cantautore ma anche rapper per il quale le parole hanno un peso e una densità di significato. In te rimane presente anche l’ironia come nel caso di “Oggi Lo Faccio” che chiude il tuo disco.

Presentarmi come un’artista solista mi ha permesso di sentirmi più libero da qualsiasi compromesso. Questo mi ha permesso di ricercare e trovare dei “vestiti” nei quali riconoscermi. Non è tanto una questione di coerenza, quanto di sentirmi a proprio agio. Trovare un equilibrio. Suonare al Rock Contest mi ha permesso di sperimentare e mettermi alla prova. Oggi posso dire di essere più rilassato e in pace con tutte le varie sfaccettature che Nervi e le canzoni che scrivo offrono.

Mi vuoi parlare della band che ti accompagnerà dal vivo?

La band è composta da Elia Ciuffini alla batteria, Giulio Di Salvo alla chitarra e Giulio Vannuzzi degli Handshake al basso e tastiere. Abbiamo lavorato molto in sala prove per riuscire da un lato a ricreare le sonorità delle canzoni, dall’altro a offrire comunque qualcosa di diverso, di complementare. Ho avuto per la prima volta il controllo generale, nel senso che è stato chiaro fin dall’inizio che avevo io l’ultima parola sull’arrangiamento ma questo non ha frenato lo scambio di idee e il contributo personale ciascun musicista coinvolto. Mi rendo conto che il suono che ascolti su disco a volte non può essere replicato dal vivo ma non solo per motivi tecnici, ma perché non renderebbe al risultato finale della canzone. Con loro ho scoperto l’importanza dei ruoli e delle modalità di scambio di opinioni che a volte prevale sulle note stesse!

Articolo di Jacopo Meille

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