
Il 31 ottobre 2024 i Rockets sono tornati con “The Final Frontier” (la nostra recensione). Il loro viaggio nelle galassie musicali continua. Disco convincente, che viene dal passato ma è proiettato nel futuro. Nel presente, oltre a impossessarci di una copia fisica, abbiamo un nuovo innovativo tour. Ce ne parla Fabrice Quagliotti, membro fondatore della band, con alcune anticipazioni di cosa vedremo sul palco e troveremo dopo.
Ciao Fabrice, quando ci siamo incontrati nei camerini a Firenze nel febbraio 2023 (il nostro report) mi avevi già preannunciato questo lavoro, ma non che sarebbe stato dedicato, con tanta emotività, a Alain Maratrat …
Con Alan siamo amici oltre che di sventure, anche nella vita di tutti i giorni. Ci sentiamo molto, molto spesso. Già quando ho iniziato a fare il mio primo album da solista durante il Covid, “Parallel Worlds”, avevo chiesto ad Alan di collaborare, ma non stava già bene e poi ci ho riprovato con il secondo e lì era in piena malattia. Quando abbiamo fatto questo album, l’ultimo brano che volevo inserire era “Cosmic Castaway”. Mi sono detto che le chitarre sarebbe bello fossero di Alan, sicuramente ci provo. L’ho chiamato, era un periodo in cui stava un filo meglio e mi ha detto sì, con piacere, mandami il brano, lo ascolto. Era entusiasta e quindi ha fatto le chitarre, abbiamo passato una settimana al telefono cinque, sei, sette volte al giorno almeno mezz’ora per mettere a punto il tuoo. Quindi è stato come rivivere insieme la storia dei Rockets all’inizio, quando eravamo sempre insieme in studio di registrazione. Davvero è stata una grande emozione e ogni volta che suono il brano dal vivo mi vedo davanti agli occhi Alan.
Un album cosmico in tutti i sensi, si può dire questa cosa? È come una nuova frontiera verso quale partire, ma c’è tutta la storia dietro, perché un astronauta quando si mette in viaggio ha dietro una preparazione che dura anni …
I Rockets nascono a fine 1975, ma per chi viene a vederci live non deve aspettarsi a rivedere la band di allora perché dal ‘79 per ovvi motivi i membri sono cambiati, lo spettacolo è cambiato. Quindi bisogna aspettarsi a uno show meraviglioso, perché sono più di 40 anni che non portavamo la nostra produzione sul palco e finalmente grazie a Tube Music abbiamo portato un palco multilevel nei teatri con un impianto luce molto particolare dove si fondono luci, laser, non si capisce quando parte il laser e quando partono le luci! Inoltre ci è stato creato su misura un outfit che ricalca un po’ i costumi del ‘77-‘78. Gli outfit sono stati creati da questo personaggio molto noto nel mondo dei cosplayer, che è Katia Creativa. Lei è un’artista che crea abiti di scena, non abiti di tutti i giorni ovviamente, e quindi dopo aver ascoltato l’album è partita in quarta, ci ha creato questi costumi sul quale ovviamente ognuno ha chiesto delle modifiche in base alle esigenze musicali e alla propria personalità. Quindi è uno spettacolo nello spettacolo.
Non vedo l’ora di vedervi! Comunque il tour è già partito da pochi giorni, giusto?
Sì, abbiamo fatto per adesso tre delle date previste.
I Rockets sono stati da subito sperimentali nell’ambito del Rock, c’è sempre stata dentro però qualche spruzzata di Blues, qualche spruzzata di Prog, qualche spruzzata di Elettropop, il vostro stile è veramente una miscellanea, non si può categorizzare.
Mi piace questo, è quello che dico sempre, non si possono etichettare i Rockets. La nostra musica non si può, anche perché non è Elettro, non è Pop, è la musica dei Rockets. La musica poi la componi in base a quello che hai studiato, a quello che hai ascoltato. Io personalmente ho ascoltato tanta musica classica, oltre al Prog, Rock .. Genesis, Rolling Stones, David Bowie … Quindi è un miscuglio che quando compongo sicuramente si riflette. Poi ogni musicista della band ha le proprie influenze e con quelle influenze esce quella miscellanea che si ascolta sul disco.
Fabrice, hai anche influenze contemporanee? C’è qualcosa nella musica di oggi che ti dà nuovi impulsi o ti influenzi?
Assolutamente no, ma che amo molto sì, per esempio Billie Eilish, perché credo che sia l’unico caso negli ultimi 30 anni di musica anticommerciale che è riuscito ad avere un successo mondiale incredibile. Quindi tante volte, vedi, avere la propria personalità paga.
C’è tanta musica bella, ma anche una marea di robaccia, ne esce troppa, non credi?
Sì, purtroppo ne esce così tanta da quando c’è la musica liquida. Il problema sono le major. Se ti va di parlare della Trap italiana c’è qualcosa di fatto bene, Mahmood è un artista che rispetto, che apprezzo perché sa quello che fa, non è un imbecille. Però la maggior parte delle produzioni italiane sono fatte dalla stessa equipe, 3-4 persone che fanno le stesse cose, con lo stesso suono, e hanno rotto le palle. Ci vorrebbe dare un po’ di personalità, non cercare di copiare quello che hai già copiato. Non so, non mi piace. Ormai la fanno addirittura l’intelligenza artificiale… Io rispetto all’intelligenza artificiale, sono favorevole per quanto riguarda il discorso scientifico, ma sono assolutamente contrario per il discorso artistico. Qualsiasi tipo di arte si tratti di questa, la scrittura, la pittura, la musica, se uno non ha idee deve smettere e fare altro. L’AI è un mezzo, uno strumento, non è un fine, uno scopo. Ti può aiutare, però non ce n’è bisogno, basta che studi e poi vai a suonare, o a scrivere, o a dipingere.
Dimmi del processo creativo di “The Final Frontier”.
Ci abbiamo messo 11 mesi circa per portare a termine l’album. Le uniche regole che ho dato all’inizio per fare un album che potesse avere un sound rock, grazie anche alla presenza di Fabri Kiarelli nella band. Per quanto riguarda la composizione, io quando compongo parto spesso dal pianoforte, oppure da un suono, e ho in mente due parole chiave, da lasciare nel testo. Poi quando un compositore scrive le parole chiedo sempre, tienimi questo e questo, per me sono importanti, ma ovviamente lascio piena libertà di scrivere il testo. Per quanto riguarda Fabri e le composizioni sue, lui parte con la chitarra e poi scrive testi molto belli, posso dire che è quasi un madrelingua inglese americano. Gianluca Martino ha scritto un bellissimo brano, me lo manda e mi dice scusami ma ho avuto un problema con il microfono, non sono riuscito a fare la melodia con la voce; io ho ascoltato il brano e ho detto no, no, la voce non va messa, questo è uno brano perfetto così, è molto bello. Ogni brano ha una storia a sé, non è che c’è un metodo, io sono anti-metodo, sono un casinista, la vita è la musica.
Arrangiamento e produzione?
L’arrangiamento l’abbiamo fatto tutti insieme, è il primo album dove si sente un grosso lavoro di gruppo; Rosaire Riccobono, il nostro bassista, vive a Parigi, quindi gli mandiamo i brani, gli diciamo il basso lo vedrei così o cosà e lui ci lavora, dà le sue idee in base a quello. Teniamo l’idea più buona, stessa cosa per la batteria e la chitarra, è un vero lavoro di gruppo.
Un vero album dei Rockets, non un tuo progetto con musicisti di accompagnamento dunque.
I Rockets sono una band con i musicisti che ci suonano, io non sono i Rockets, sono uno dei Rockets, che ha iniziato i Rockets, però sono sempre solo un 20% della band.
Dal vivo la scaletta è come è composta, suonate tutto il nuovo album?
Sono un po’ più di due ore di live, suoniamo sette brani di “The Final Frontier”, il resto è la storia musicale della band, ma con due sorprese: un brano che non facevamo da 45 anni live, che canto io tra l’altro, e un altro che non facevamo da 25-30 anni. “Fils Du Ciel”, l’ultima volta che l’abbiamo suonata dal vivo credo fosse nel ‘78 o ’79… Mi sono detto beh, per questo tour facciamo qualcosa anche di diverso, portiamo ai fan dei brani diversi, anche “Some Other Place, Some Other Time” che non facevamo da una vita, abbiamo rielaborato un intro molto bello, sicuramente sarà emozionante.
Possiamo sperare in un album live di questo tour?
Credo di sì, infatti tutte le date sono registrate in tracce separate per eventualmente farne un album live. Mi piacerebbe, penso che è una cosa che metteremo in cantiere subito dopo il tour. Sarebbe fantastico, per tante ragioni, anche perché appunto ci sono queste chicche, brani non fatte live dagli anni ‘70.
Poi spero anche che continuerete a pubblicare sia su cd che su vinile, è una scelta importante per i fan.
Per questo tour abbiamo fatto una cosa divertente, piacerà sicuramente ai fan e ai collezionisti, visto che quando siamo usciti con l’album il 31 ottobre il vinile aveva dieci brani perché non puoi mettere quattordici tracce su un vinile, che invece sono sul cd. Per chi viene ai concerti abbiamo fatto un doppio vinile, un lato A, un lato B, un lato C. Io non ho voluto fare il lato D pur avendo dei solchi più larghi, il lato D lo abbiamo lasciato vuoto per fare gli autografi e non deturpare il capolavoro di copertina che ci ha fatto Domenico Dell’Osso, che ritengo la nostra copertina più bella dopo “Galaxy”. E dunque i quattro brani che finora erano soltanto sul cd o in digitale saranno presenti su questo vinile. Abbiamo scelto di fare il vinile nero anche perché il colorato è molto bello, però a livello ascolto il nero dà una qualità migliore. Dopo i concerti facciamo circa tre quarti d’ora per firmare autografi, per fare foto, firmare le magliette.
Qual è la tua tastiera preferita e il tuo disco della vita?
Posso dirti il brano della vita che è “Life on Mars” di David Bowie, mentre a mia tastiera del cuore è il mio Mini Moog che ho sempre nel 77. E non lo lascio mai.
Intervista di Francesca Cecconi
Prossime date del tour:
- 4 febbraio Firenze, Teatro Cartiere Carrara
- 5 febbraio Ancona, Teatro delle Muse
- 6 febbraio Pescara, Teatro Massimo
- 10 febbraio Milano, Teatro Nazionale
- 11 febbraio Torino, Teatro Alfieri
- 13 febbraio Roma, Auditorium Parco della Musica
- 15 febbraio Trento, Auditorium Santa Chiara
- 19 febbraio Genova, Teatro della Corte