Personalità eterogenee e provenienti da ambienti musicali differenti che nel 2013 decidono di mettere insieme le proprie esperienze , di fondere bagagli musicali, e dar vita ad un progetto in cui le varie influenze si incanalano in un unico flusso di idee. Gli Sky of Birds vengono da città diverse, sono cresciuti con musiche diverse (dal Pop al Jazz) e sarebbe quindi difficile definirli in maniera precisa. Nel 2020 esce il secondo album “Matte Eyes / Matte Moon”, (qui la nostra recensione) , un lavoro maturo che abbiamo apprezzato molto. Li intervistiamo dunque per conoscerli meglio.
“Matte Eyes/Matte Moon”, il vostro secondo album, ha visto la luce in un periodo molto difficile per qualsiasi forma d’arte, eppure la prima stampa del cd è quasi esaurita. Eravate compatti rispetto a questa scelta? O la band era scissa circa l’uscita in tempo di Coronavirus, quarantene e mancanza di live?
Mario: è passato talmente tanto tempo tra l’inizio e la fine delle registrazioni che l’ipotesi di aspettare tempi migliori per l’uscita non l’abbiamo nemmeno presa in considerazione. Quando c’è stato il primo lockdown l’anno scorso il disco era praticamente finito, grafiche e copertina incluse. Mancava solamente una canzone da sistemare (“Haze Daze Dazzle”) e per chiuderla siamo stati dei mesi ad aspettare per un’ora scarsa di lavoro in tutto.
Nell’attesa, la sensazione che queste canzoni fossero in qualche modo plasmate sul periodo che stavamo attraversando, così come l’immagine di copertina, ha cancellato ogni residuo di dubbio sui tempi di pubblicazione.
La parabola dell’album è tuttora in crescita: è in arrivo, infatti, una magnifica ristampa in vinile. Ci parlate un po’ del progetto, dell’etichetta che c’è dietro, e di quello che sperate porti la riedizione?
Luca: quella della ristampa in vinile è una storia poetica e Rock’n’Roll. Un atto di vero e disinteressato mecenatismo, di cui siamo grati e onorati. Il disco uscirà con un’etichetta, DIY, che inaugura le pubblicazioni col nostro disco. È una scommessa. Di questi tempi è un’impresa eroica, davvero: come diceva Greg Shaw: “Saving the world one record at a time”.
Di pari passo al vinile, è in uscita anche il videoclip del nuovo singolo. Qual è la canzone scelta? E quale sarà la cifra stilistica del video?
Mario: il nuovo singolo sarà “Lied to a Liar”, non una canzone propriamente radiofonica… ma siamo da poco entrati in contatto con un coreografo/danzatore con cui contiamo di collaborare anche in futuro per i prossimi videoclip. La cifra stilistica di questo in particolare sarà centrata su una coreografia pensata per la canzone.
La copertina realizzata da Irene Scarchilli ci ha colpiti molto, riesce davvero a catturare l’essenza dell’intero disco. Il disegno è stato commissionato? Oppure esisteva già, e lo avete trovato perfetto per l’album?
Mario: abbiamo pensato a Irene per la copertina la prima volta che abbiamo visto le sue opere e ce ne siamo innamorati. Fu durante una “Miacameretta Night” di qualche anno fa, in cui noi suonavamo e Irene esponeva le sue opere. Il disegno della copertina nasce da una foto che le ho mandato e da cui lei ha tirato fuori questa cosa bellissima. Credo anche che abbia contribuito ad aumentare l’attenzione sull’album che secondo me qualcuno ha acquistato alla cieca anche solo per la copertina.
Con il vinile speriamo che accada lo stesso: è certo che nel grande formato l’immagine sia ancora più evocativa. Non a caso abbiamo previsto un’edizione speciale limitata a poche copie (che distribuiremo attraverso il nostro Bandcamp prossimamente) in cui, insieme al vinile, sarà accluso un disegno originale di Irene, un modo per “unire le forze” ancora una volta associando la nostra musica al suo talento di artista.
Gli arrangiamenti di “Matte Eyes/Matte Moon” risultano ben architettati, ricchi eppure mai eccessivi, in perfetta mimesi con il mood del lavoro. Si è trattato di un processo molto lungo, oppure in studio la band viaggia veloce?
Mario: in studio in realtà siamo stati abbastanza veloci, mentre i tempi si sono dilatati sia in fase di scrittura, sia a causa degli avvicendamenti nella band che ci sono stati da quando abbiamo iniziato a lavorare sulle canzoni. Era passato poco tempo dall’ingresso di Luca alle tastiere, e all’inizio delle prove sulle nuove canzoni è uscito Strueia ed è entrato Andrea alla batteria. Per finire c’è stata l’uscita di Alberto che è avvenuta nel momento in cui stavamo registrando i provini. Il dover riconsiderare una serie di dettagli ha inevitabilmente allungato i tempi di lavorazione.
Questi tempi dilatati, però, ci hanno dato la possibilità di ragionare molto sugli arrangiamenti, di raffinare gli ascolti e di “quadrare” la cifra stilistica di tutto l’album. Da questo punto di vista il disco ci ha guadagnato, ha acquistato un’omogeneità sonora di cui siamo molto soddisfatti. Insomma, abbiamo sfruttato le difficoltà per ripensare il suono della band quasi dalle fondamenta. Abbiamo lavorato sui dettagli in maniera quasi maniacale, abbiamo ragionato tantissimo sui suoni, sulla scelta degli strumenti (dal theremin al mandolino elettrico, alle percussioni fino alle parti elettroniche). Abbiamo inoltre avuto modo di mettere su collaborazioni che hanno arricchito il disco: quella con Piermaria Chapus e Lavi Claws, e quella con Matteo Scarchilli.
Potreste elencarci, secondo il vostro avviso, i 3 punti di forza di “Blank Love”, e i 3 punti di forza di “Matte Eyes/Matte Moon”?
Luca: oddio fare una lista precisa non mi viene… quello che posso dire è che i due dischi sono molto diversi tra loro, eppure a un ascolto attento si sente una certa continuità. Anzi: c’è una citazione letterale del primo disco in quest’ultimo, un “inside joke” che ci siamo divertiti a inserire nell’album, il primo che lo scova gli regaliamo una copia del disco. È vero però che si possono definire i due lavori soprattutto per contrapposizioni. “Blank Love” aveva una leggerezza che sicuramente nel nuovo disco si affaccia più raramente (anche se non scompare del tutto, penso a un pezzo come “Still Birds” o alle atmosfere di “The Child You’ve Been”). “Blank Love” è un disco prevalente chitarristico, con un songwriting giocato sulla presenza di tre chitarre; è un disco che in un certo senso completava quanto avevamo iniziato nel primo Ep.
In “Matte Eyes / Matte Moon”, invece, ci sono sonorità più eterogenee, una maggiore sperimentazione sulle elettroniche, una certa vena “polistrumentista” (sostanzialmente tutti abbiamo suonato tutto) virata verso un mood “oscuro” che striscia lungo l’intero album. Non so se sono “punti di forza”, ma ci piace pensare ai due dischi come a due momenti di crescita di una band che non ha perso la voglia di ridefinirsi costantemente.
Articolo di Simone Ignagni