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The Lost ABC intervista

Scopriamo il progetto dietro “Somewhere”, disco strumentale tra piani, archi e noise, registrato nei luoghi più disparati

The Lost ABC

The Lost ABC nasce dall’unione di due progetti artistici, quelli di Gianluca Mancini produttore, pianista e sound engineer con artisti pionieri della sperimentazione, e di Massimiliano Fraticelli, fondatore negli anni Novanta della indie-rock band Interno 17, chitarrista che lavora da anni come field recordist, oltre ad essere un compositore per cinema e documentari. Parliamo con Gianluca del loro album di debutto “Somewhere” (qui la nostra recensione), disco strumentale tra piani, archi e noise, registrato nei luoghi più disparati ma mai in studio.

Partiamo da quella che è di solito l’ultima domanda: progetti live?

Ci piacerebbe tornare a suonare concerti dove lo strumento acustico venga amalgamato con la tecnologia che oggigiorno è molto interessante usare sul palco, mischiare e integrare suoni digitali e anche i visual con chitarre, violini, strumenti a fiato porta a creare strati sonori più profondi. Ci piacerebbe fare un live di questo tipo, non necessariamente artificioso ma ben progettato. Dobbiamo però provare bene uno show così prima di portarlo in giro!

Sarete solo tue e Massimiliano sul palco?

Avremo sicuramente la presenza del violoncello che fa tanti temi insieme al pianoforte, sarà quasi sicuramente suonato da Irina Solinas che con il violoncello fa sperimentazione, e ci aiuta a realizzare quello che dicevo: il suo violoncello dialoga perfettamente con le tecnologie.

Pensi che lo spazio giusto per la vostra musica sia il teatro?

Il teatro senz’altro, ma anche il club, perché con le tecnologie possiamo raggiungere una veste con dinamiche accese, alcuni brani del disco, per esempio quelli con la batteria elettronica, sarebbero adattissimi. Nei teatri invece cercheremo di realizzare una scaletta orientata verso la stratificazione degli archi, e suonare pezzi più “distesi”. I luoghi dove possiamo portare il nostro dischi sono innumerevoli, che siano all’aperto o al chiuso, quindi non ci diamo limiti.

Siete entrambi polistrumentisti, infatti il vostro disco è stato scritto, suonato, arrangiato, prodotto, mixato e masterizzato da voi stessi.

È un album fatto in una modalità che sta diventando di tendenza, sempre grazie alla tecnologia; devo ammettere che oggi si possono realizzare cose meravigliose senza tutta la catena classica della promozione discografica. Poter registrare con un computer e una buona scheda audio in ambienti che non sono gli studi è possibile e a una qualità molto interessante, molto alta. Tutti i plug-in che ci sono permettono di mixare molto bene, facendo correzioni che una volta erano costose e si potevano fare solo in certi tipi di studi. Io sono fonico di esperienza e questa conta, conta la capacità e la professionalità, questi restano requisiti fondamentali, però con i nuovi mezzi si può fare cose difficili in modo semplice. Anche per la promozione molto è cambiato grazie al digitale, è molto più semplice diffondere e raggiungere le persone.

Con la pandemia abbiamo visto un’esplosione di autoproduzioni di qualità, in una quantità sorprendente.

Questo processo è ora evidente ma era già iniziato da prima, la pandemia ha dato la spinta finale a questo processo, iniziato proprio grazie alla qualità altissima dei micro-processori dei computer. Si può spostare e portare il materiale per registrare i dischi in posti remoti e prima impensabili.

E infatti il vostro disco non è stato registrato in studio! Raccontaci un po’, in casa di amici e parenti, in teatri, in camerini, in alberghi, ovunque fuorché appunto in uno studio.

Siamo entrambi professionisti che viaggiano molto per lavoro, quindi trovare il tempo di fermarsi per registrare era difficile. Ci siamo messi a sfruttare i luoghi dove ci trovavamo; io sono un pianista, e dunque sono andato a cercare pianoforti dove via via mi trovavo, teatri, case di amici, così come gli strumenti ad arco li abbiamo spesso fatti nelle camere degli alberghi durante i tour di altri musicisti con i quali collaboriamo. Il grosso del lavoro è stato ovviamente fatto sui microfoni. Voglio aggiungere che è stato molto bello rispettare e valorizzare le timbriche dei vari strumenti che abbiamo trovato, ad esempio un pianoforte che suona bene in certo salotto va suonato in quel salotto, non si può spostare!

Suonare vari piani e adattarsi a quegli strumenti facendoli suonare come qualcosa di tuo, è un processo tecnico ma anche emotivo…

Esattamente, è come conoscere un nuovo amico e farlo entrare nella tua vita, è una forma di ricerca che è inesauribile, quindi se tu mi chiedi che sviluppo avrà il progetto The Lost ABC, ti direi continuare proprio a ricercare i suoni nei loro luoghi, re-amplificarli in altri luoghi per vedere che effetto fanno, un processo inesauribile ed emozionante.

Raccontaci com’è nato il progetto The Lost ABC, conoscevi già Massimiliano?

Massimiliano suonava in una band italiana degli anni ’90, gli Interno 17, era il loro chitarrista, io iniziai a collaborare con loro. Poi le nostre strade si separarono, per ritrovarsi con la sua proposta di fare musica insieme come la volevamo, intendevamo, noi; volevamo fare qualcosa solo strumentale e non commerciale, per il piacere di esprimersi. È stato un processo lungo due anni, ovviamente un siffatto progetto, articolato sul tipo di registrazione che dicevamo, non poteva che richiedere molto tempo. Abbiamo proceduto per tasselli.

The Lost ABC è un nome suggestivo, fa pensare a un alfabeto perduto, e infatti nell’album non ci sono parole.

Non c’è una filosofia o una visione del mondo specifica dietro al nome, che abbiamo scelto perché ci piace una certa narrazione cinematografica, un po’ futuristica, distopica, che fa pensare a un mondo con pochissime persone. Se vuoi, una visione nostalgica dell’uomo che sparisce perché non è in grado di autogestirci, che ha perso i suoi alfabeti, e resta solo la natura. Abbiamo provato a rendere questa visione in musica, dove l’uomo non parla appunto.

Il video che avete preparato per “Somewhere” è molto evocativo, porta dentro al feeling del vostro lavoro.

Davvero, è stato molto interessante realizzarlo sia sonoricamente che registicamente. Il luogo aveva una sua peculiarità che ci ha contaminato!

Pensate di dare seguito a questo album con futuri nuovi lavori?

Si, appena finito la promozione e i live per questo album, riprenderemo il nostro lavoro di ricerca di registrare negli ambienti più inconsueti e remoti, per noi una ricerca infinita.

Articolo di Francesca Cecconi

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