26/04/2024

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26/04/2024

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26/04/2024

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The New Death Cult intervista

Entriamo nell’album “Supernatural” con la band norvegese e scopriamo perché sono alternativi fino in fondo

In occasione dell’uscita del loro secondo album “Supernatural” (la nostra recensione), opera organica sulla relazione dell’uomo con la natura e con sogni e incubi artificiali, abbiamo chiesto alla band del processo di composizione e registrazione dell’album, e abbiamo scoperto quanto poco vogliono essere etichettati e quanto temono la de-umanizzazione del Rock. Prodotto nella location unica e iconica dello studio Ocean Sound con strumentazione vintage e di altissima qualità, l’album è nato dal vivo e aspira ad essere restituito sui palchi, compresi quelli italiani, anche se non ci sono ancora piani concreti su questo, purtroppo.

La realizzazione dell’album sembra un lungo viaggio, fino alla data di uscita…

Abbiamo registrato la maggior parte dell’album all’inizio di maggio 2020. Essendo proprio all’inizio della pandemia, ci siamo resi conto che probabilmente ci sarebbe voluto un po’ di tempo prima di poter tornare a suonare dal vivo, quindi abbiamo prenotato lo studio e abbiamo deciso di fare questo album. Siamo una live band, quindi è stato chiaro fin dall’inizio che volevamo davvero provare a catturare un po’ di quell’energia dal vivo su nastro. Un paio di brani erano stati punti fermi nella set-list anche da prima: “Different”, “High + Low” e “Alive”. Sapevamo che di sicuro volevamo fare un album rock dal suono organico.

Com’è stato il processo creativo? Remoto, asincrono, insieme in una stanza…?

Avevamo già un sacco di bozze di canzoni in giro dal nostro primo album, che erano essenzialmente solo la chitarra ritmica e le melodie vocali di Jon in forma grezza … Quindi sapevamo di avere alcune cose pronte che potevano essere ulteriormente sviluppate. Non appena abbiamo prenotato lo studio, ci siamo riuniti nella nostra sala prove a Oslo e abbiamo esaminato alcune delle idee che sentivamo rientrassero nei parametri dell’album – che di per sé era un processo collettivo molto intuitivo. Gli arrangiamenti di base sono stati fatti collettivamente suonando le canzoni dal vivo insieme in sala, lasciando molto spazio all’improvvisazione spontanea durante la registrazione. Anche la maggior parte dei testi sono stati scritti durante questa fase.

Com’è stata l’esperienza di registrazione all’Ocean Sound?

Fantastica. È semplicemente uno di quei posti che devono essere vissuti per essere creduti. Siamo andati con una quantità di strumentazione vintage e abbiamo trascorso circa due giorni solo per ottenere i migliori suoni possibili. Le sale di registrazione e le attrezzature sono tutta roba all’avanguardia, tra cui una speciale console Neve, perciò sapevamo che era un ottimo punto di partenza. Le registrazioni venivano fatte durante il giorno e la notte, sovrapponendo traccia su traccia, il che di solito significava iniziare la giornata con la batteria, poi le chitarre, la voce e il basso (Vegard, per questo motivo, si è guadagnato il soprannome temporaneo di “Mr. Midnight-bass”). Il momento della registrazione è anche il punto in cui Eirik brilla sempre, mettendo giù alcune cose piuttosto radicali di chitarra solista sul momento, alla prima take. Lo stesso è stato per Vegard, che ha creato molte delle linee di basso definitive al momento. Anders è anche molto sul pezzo con la batteria, quindi una volta che i suoni c’erano e la luce rossa si accendeva, le take definitive sono state piuttosto rapide.

Sono stato subito attratto dalle grafiche di copertina serigrafiche di Deformat (Remi Juliebø), perché ogni singolo ha una sua immagine e, pur essendo tutte nello stesso mood, raffigurano soggetti diversi legati alle canzoni; sono collegati in una sorta di sequenza o storia? Qual è il concetto che c’è dietro?

Anche noi amiamo queste copertine! Remi è un vero artista. La storia dietro le illustrazioni è interessante. Avevamo alcune idee e idee generali all’interno della band, ma una volta che Remi è salito a bordo, abbiamo abbandonato assolutamente tutto per lasciarlo fare le sue cose, completamente. Quello che abbiamo fatto è stato mandargli tutta la nostra musica e i nostri testi, oltre ad alcune note di Jon sul significato dietro ognuno di essi. Il risultato è esattamente quello che vedi. Per quanto riguarda il significato più profondo dietro ogni opera, lasciamo rispondere Remi, ma un tema comune in tutte le copertine è una forma circolare / sferica di qualche tipo. Sulla copertina di “Antidote” c’è il farmaco, su “Superglue” quell’oggetto che esplode, su “Get Ready” la formazione cellulare e sulla copertina dell’album l’occhio che guarda, ovviamente. Quello che per coincidenza abbiamo finito per avere come parte dei pensieri originali della band è stato il colore blu – pura coincidenza!

Risponde il designer Deformat / Remi Juliebø: La storia visiva è stata pensata per essere aperta e non lineare. Come pannelli presi da una storia più grande. È direttamente collegata alle canzoni che rappresenta. Il modo in cui ho interpretato l’album… è molto sul vedere com’è il mondo, essere frustrati con esso, e a volte sembra che tutto sia sbagliato, e forse c’è un mondo là fuori dove avvengono le decisioni giuste. Come un universo parallelo. C’è anche un rispetto su quanto sia meravigliosa la natura. Più strano della finzione. Volevo avere immagini forti basate sulla forma. In ogni illustrazione c’è la forma circolare approssimativamente nello stesso punto, e l’associazione della natura con qualcosa che non dovrebbe essere lì. Lo stile è stato scelto perché amo quell’estetica e volevo eseguirlo così. Ha forme semplici con pennellate organiche sopra, pochi colori e molto basato sulla texture. Volevo che l’idea fosse chiara e altamente visibile, al contrario di molti altri artwork nel genere, e che fosse un cambiamento per la band.

Penso che ci sia un atteggiamento più “olistico” e libero verso i generi nel Nord Europa. Voglio dire che in generale sento che le band nordiche sono più a loro agio nel mescolare riferimenti musicali senza pregiudizi, creando un mix che rompe le barriere e che crea uno stile “nordico”. È uno stereotipo o vi ci ritrovate?

Non ci abbiamo pensato veramente, ma potrebbe essere una tendenza, e potremmo farne parte. Quello di cui ci siamo gradualmente resi conto è che siamo una band difficile da mettere in una scatola con un’etichetta, dal punto di vista dello stile. Il modo in cui scriviamo e suoniamo come gruppo è altamente eclettico per necessità, il che significa che veniamo tutti da un ampio spettro di background musicali diversi, che a loro volta creano un suono che non è facilmente identificato e collegabile a molte altre band. Questo fa venire mal di testa in termini di inserimento in playlist in piattaforme assistite dall’intelligenza artificiale come Spotify, e come minimo sembra più difficile per noi trovare band simili con cui andare in tour, ma non siamo la band che cambia per cercare di adattarsi. Immagino che alla fine stiamo contribuendo a una maggiore diversità nel genere, il che sembra molto più soddisfacente di qualsiasi dato di streaming … veramente alternativi, direi!

Che ci dite delle maschere, quando sono cadute? (la band al suo esordio si presentava con i volti coperti da maschere e i componenti del gruppo rispondevano agli pseudonimi di Alpha, Beta, Gamma e Delta)

Abbiamo previsto che fosse il momento giusto per abbandonarle subito dopo la pandemia. Ma le abbiamo ancora in giro, e chissà, forse le rimetteremo più avanti, se avrà senso.

Quale futuro vedete per la musica Rock nelle giovani generazioni? Che consiglio daresti ai giovani che nella mia percezione preferiscono mettere l’autotune alle loro barre poco ispirate piuttosto che imparare a suonare uno strumento?

Penso che il futuro del Rock sia luminoso! Ci sono davvero molti più strumenti e soluzioni al giorno d’oggi rispetto a quando abbiamo iniziato come musicisti, ma penso che finché c’è una vera creatività umana dietro la musica, essa può sopravvivere a una moltitudine di nuove tecnologie, anche per quanto riguarda il Rock. Ciò che mi preoccupa di più come musicista e artista è il futuro dei contenuti generati dall’intelligenza artificiale. Non per amore della qualità – sono aperto ad entusiasmarmi davvero per qualsiasi tipo di musica – ma per la potenziale mancanza di originalità e diversità che può essere arrivare a punte estreme con questa tecnologia. Una delle cose belle dell’arte umana è l’onnipresenza di difetti ed errori, e il modo in cui questi a volte possono portare alle opere più grandi. Temo l’estinzione dell’errore umano, credo sia quello che sto cercando di dire.

Visiterete presto l’Italia?

Ci piacerebbe! Non ci sono piani per ora, ma parla di noi ai tuoi promoter o ai festival locali e forse riceveremo un invito? 😉 Scherzi a parte, l’Italia è in cima alla nostra lista dei desideri, quindi speriamo di venire presto!

Non ci resta che diffondere questo appello alle società di organizzazione eventi e spettacoli, sperando di poter sentire dal vivo questa band che su album propone un sound che immaginato dal vivo non può che far venire voglia di ascoltarli.

Articolo di Nicola Rovetta

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