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Il Teatro degli Orrori live Nonantola  

Il gruppo torna live in un’epoca dove si cerca di riunire le esperienze musicali che riescono a smuovere un pubblico sempre più figlio del mainstream

Nove anni sono passati per rivedere sul palco Il Teatro degli Orrori, band che, il 20 febbraio, con la data zero del tour della réunion, andata in scena al Vox di Nonantola (Mo), si è rimessa in moto. (Foto del 25 febbraio a Firenze, seconda data del tour).

Il gruppo, capitanato da Pier Paolo Capovilla, torna live in un’epoca dove si cerca di riunire tutte quelle esperienze musicali che, ancora per qualche motivo, riescono a smuovere un pubblico sempre più figlio di una musica addormentata, fluida e che, per definizione, fruisce di quell’arte in modo ormai strutturalmente diverso.

Il perché di questa analisi è semplice. La réunion arriva – volente o nolente – dopo l’ubriacatura di Sanremo, celebrazione di un’esperienza musicale mainstream che tutto spenge e depotenzia. Il Teatro degli Orrori, invece, è forse l’ultima band che, in un circuito comunque minoritario, ma non del tutto sotterraneo, ha saputo non limitarsi a cantare solo canzoni d’amore.

Bisogna sempre cantare d’amore, bisogna sempre far sorgere il sole… lo esprimevano i Bluvertigo. Ecco, Il Teatro degli Orrori questo non lo ha mai fatto, fin dal loro primo cd, “Dell’impero delle tenebre”, pubblicato nel 2007, album che, quest’anno, diventa maggiorenne, e che è l’ossatura di questo show del ritorno, con sette brani in scaletta, tre dei quali, in apertura, esattamente nello stesso ordine presente nel disco originale. Era naturale, dunque, che la loro parabola si consumasse in 9 anni, con quattro album formidabili, per suoni, ma soprattutto per temi.

L’ultimo lavoro, “Il teatro degli orrori”, uscito 10 anni fa esatti, conteneva l’ultima canzone politica di questo Paese, quella “Il lungo sonno (Lettera aperta al Partito Democratico)”, che Capovilla a Nonantola ha cantato e introdotto con un discorso che, solo 10 anni fa, avrebbe strappato lunghi applausi. E invece…

E invece qui sta il problema di questo ritorno. Non tanto nella band, ma nel pubblico. Procediamo con ordine. Se, a onore del vero, serve riconoscere che, questa data zero, non sia stata delle migliori, con una buona fetta di pubblico, all’uscita, insoddisfatto della resa dello show, allo stesso tempo serve inquadrare bene questa insoddisfazione, che è figlia di astanti ormai assuefatti.

Certo, il concerto, che vede in scaletta 21 canzoni, prese da tutti gli album della band, con particolare attenzione al primo disco, e poco a quel “Il Mondo Nuovo”, album che prima o poi verrà capito, ma che all’epoca aveva deluso un poco rispetto al più celebrato, e non senza ragione, sia chiaro, “A sangue freddo”, è una bomba sonora.

Si può dire che questi suoni, oggi, e questo mood, te li aspetti nel circuito indipendente, degli Arci e dei piccoli club, non di certo in palazzetti che devono celebrare tour di ritorni commerciali. Quindi, ci sta che in tanti si siano sentiti disturbati. Bene così, onore a Capovilla e soci, e cioè Gionata Mirai alla chitarra, Giulio Ragno Favero al basso (monumentale nell’esibizione di Nonantola), e Francesco Valente alla batteria (se Favero è stato monumentale, Valente è roccia pura, duro e secco per tutto lo show), che hanno dato un pugno in faccia a lustrini e paillettes, oltre a furbesche operazioni alla Topo Gigio, mettendo il pubblico davanti a una realtà: la musica non è solo intrattenimento.

Cantare Ken Saro-Wiwa, ma anche Majakovskij, eseguita tenendo presente la grande interpretazione teatrale che Capovilla ha messo in scena in questi anni da solista, è cosa davvero coraggiosa perché, oggi, credo proprio che nessuno si presenterebbe su un palco con queste frecce nella propria faretra. Allora va detto, a tutte quelle persone che, uscendo, sottolineavano come i suoni erano tagliati nelle frequenze, che il mood era più da remaster digitale che grezzo, e che Capovilla non era proprio a tempo nei primi brani (vero, non si deve aver paura a dirlo).

Va detto e ricordato, si diceva, che qui non siamo a Sanremo, dove la parola non conta, ma ci troviamo al cospetto di una band, pur se rimessa insieme non proprio con grande convinzione di tutti i membri (così raccontano i rumor degli addetti ai lavori), che ha fatto dei contenuti politici, sociali e civili, la propria ragion d’essere.

Il perché dello scioglimento, nove anni fa, sarà di certo legato a fatti personali, ma anche a un mondo dove ormai cantare questi aspetti non aveva più pubblico. Ricordo che Capovilla, davanti allo scoppio della guerra a Gaza, ha preso posizione, e anche forte, e il commento più bello e gentile che ha ricevuto è stato: “ma chi ca… è Capovilla?”.

Così fa male trovarsi a dover commentare con persone che ormai guardano solo all’estetica, non tenendo conto dell’etica, di uno spettacolo che deve essere rodato senza dubbio, ma che ha messo in scena contenuti, che sono stati gettati in modo grezzo, pur se con suoni troppo puliti, in faccia a un pubblico, questo sì, troppo addormentato da una musica capace solo di essere oggetto di consumo.

Sul fronte musicale, Capovilla e soci tornano alle origini, ed è per questo che i primi due album suonano quasi come rimasterizzati, ma fedeli alla linea, mentre i pezzi degli ultimi due lavori, sono quelli che sono apparsi più decontestualizzati, ma ri-territorializzati con un suono minimale che comunque funziona. Certo, “Io cerco te”, brano splendido di “Il mondo nuovo”, ne risente parecchio, come ne avrebbe pagato dazio anche “Rivendico” che, con sapienza, non è stata eseguita (purtroppo). “La canzone di Tom” è uno dei momenti più alti dello spettacolo, come lo è sempre stato anche in passato, unito alla già citata “Majakovskij”, dove Capovilla, che già dall’esordio sul palco aveva fatto capire che questi nove anni di frequentazioni teatrali, con spettacoli dedicati ad Artaud, Pasolini e lo stesso Majakovskij, lo hanno cambiato.

Nell’insieme, insomma, il Teatro degli Orrori è tornato, ma al netto del rodaggio di questo spettacolo, che sarà necessario e utile, ciò che emerge è che questa réunion, fra le tante in corso, dai CCCP agli Offlaga Disco Pax, passando per gli Afterhours, i Diaframma, e staremo a vedere chi altri (nel breve tempo di questi anni), è quella di certo più ostica da far digerire a un pubblico che viene acquistato, e che non acquista un biglietto per condividere un’esperienza.

Quel mondo è finito, e con esso anche la storia di band, come il Teatro degli Orrori, che oggi avrebbe senso, come insegna Giorgio Canali, unico baluardo vero di quel mondo, in piccoli circuiti e club. Ma, a questo punto va detto, avrebbe senso una storia presente fatta in quel mondo e in quel modo? Non credo, perché il Teatro degli Orrori quella storia l’ha già fatta. Forse andava lasciata dov’era, per evitare di rovinare, con commenti superficiali, l’ultima esperienza che ha realizzato un’opera, in quattro dischi, dove dal post-punk alla parola significante, si era convinti di essere utili, alla società, con la musica.

Andate a vederli, ma con la consapevolezza che quel mondo è finito, e con esso quell’esperienza musicale. Il disturbo che ne proverete, è la conferma di quanto quella band è stata davvero importante. Appunto, è stata… in quegli anni.

Articolo di Luca Cremonesi, foto di Francesca Cecconi

Set list Il Teatro degli Orrori Nonantola (Mo) 20 febbraio 2025

  1. Vita mia
  2. Dio mio
  3. E lei venne!
  4. Disinteressati e indifferenti
  5. Due
  6. È colpa mia
  7. Lavorare stanca
  8. La canzone di Tom
  9. Direzioni diverse
  10. Il Terzo Mondo
  11. Vivere e morire a Treviso
  12. Majakovskij
  13. Io cerco te
  14. Il lungo sonno (Lettera aperta al Partito Democratico)
  15. Non vedo l’ora
  16. Compagna Teresa
  17. Padre Nostro
  18. A sangue freddo
  19. Mai dire mai
  20. Lezione di musica
  21. Maria Maddalena
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