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Mephisto Ballad live Prato

Esiste un presente che accarezza il futuro con suoni più contemporanei, ma eseguiti da chi fa dell’esperienza un valore di continua evoluzione

Mephisto Ballad foto_FrancescaCecconi

Ci sono energie che non scompaiono mai, anche se passano anni. Ci sono fuochi che sembrano spenti, eppure sono lì, vivi più di prima, capaci di trasformarsi ed evolversi per essere sempre gli stessi e sempre diversi. Ci sono momenti in cui tutto questo prende corpo in artisti che non sono la storia della musica, bensì il cuore pulsante che batte ancora forte come non mai su un palco, come il Teatro Politeama di Prato, il 28 ottobre 2021, dove Gianni Maroccolo e Antonio Aiazzi hanno portato dal vivo lo spettacolo tratto dal progetto “Mephisto Ballad”.

L’idea di “Mephisto Ballad” nasce da un evento che avrebbe dovuto celebrare la Firenze del Rinascimento Rock dove la New Wave si sviluppò senza mai spegnersi completamente, ma che viene, purtroppo, annullato a causa dell’emergenza pandemica. Aiazzi e Maroccolo non si arrendono e trasformano un ostacolo in un’occasione per creare un progetto più elaborato che li porta a produrre per la prima volta un disco a loro nome. L’album (qui la nostra recensione e la nostra video-intervista) prende spunto da “E.F.S. 44”, il brano che rivela l’aspetto più sperimentale e oscuro dei Litfiba e ricorda l’indimenticabile Mephistofesta, svoltasi a Firenze nel 1982. Questo, però, non deve far pensare a un’operazione intrisa di nostalgia, e chi se lo aspetta non può che rimanerne deluso; crogiolarsi in ciò che è stato non è assolutamente nelle corde dei due artisti che hanno voglia di osare e andare oltre, qualunque cosa questa parola voglia dire, per approdare al Mephisto Ballad Live Tour riunendo attorno a loro chi crede in questa avventura.  

La serata si apre in un’atmosfera fatta di ombre e luci rosse circondati dal silenzio reverenziale del pubblico con il fiato sospeso. Il synth e i beat elettronici diventano il segnale di partenza del viaggio, introdotto da una lettura scandita dal basso di Maroccolo che accoglie, poi, la chitarra di Flavio Ferri, il piano di Antonio Aiazzi e i tamburi di Mariano De Tassi, a cui, durante l’esibizione, si aggiungerà l’esraj di Beppe Brotto. Mentre sullo sfondo vengono proiettate le immagini di un cortometraggio surreale e noir realizzato dallo stesso Ferri, la forza delle percussioni evoca profondità ultraterrene, una sensazione di inquieta ineluttabilità e desiderio di esserne parte.

Le sonorità svelano il desiderio di sperimentare e creare un futuro, mentre Ferri lascia le sue corde per avvicinarsi al theremin, non per suonarlo, ma per fare del proprio corpo un’onda sonora; Ferri perde forma umana e si trasforma in rito del suono stesso, e come lui anche gli altri musicisti si fondono con il proprio strumento in un crescendo che diventa più cupo e fortemente scandito, a tratto distorto e dissonante, ma il ritmo è forte e sempre più veloce, tanto che solo la musica è signora e padrona e noi possiamo solo lasciarci andare al suo volere.

A un tratto, l’aria si riempie delle sole note del pianoforte di Aiazzi, l’atmosfera si fa più minimalista e ci traghetta verso la performance di Giancarlo Cauteruccio, figura di spicco del teatro sperimentale italiano, e che fino a metà concerto ha fatto parte del gioco di luci e ombre dello spettacolo, con un movimento di forma e velocità eseguito con le sole mani che si ergevano da una poltrona posta al centro della scena, con lo schienale rivolto al pubblico. Cauteruccio legge i suoi stessi testi e la sua voce è un graffio che colpisce tutti con rabbia mista a sofferenza, per una parola piena di suggestioni angoscianti e che in quelle stessa angoscia si libera dai tabù. Nel frattempo, si avvicina il basso di Marok che trattiene l’attore ancora sulla scena, lo chiama, e Cauteruccio risponde evocando con tutto il suo corpo l’immagine del Dotto Faust e del “Doppelgaenger” che abita ognuno di noi, per parlare senza freno di tenebre e di perdizione per squarciare il velo di ipocrisia che nasconde chi siamo veramente: ombre e luci che abitano la stessa pelle.

Di nuovo, il pianoforte di Aiazzi entra in questa atmosfera di perdizione e rivelazione da toni gotici e terrestri per dare più leggerezza e respiro, opporre la luce all’oscurità, il divino al mefistofelico. I suoni si muovono soli con leggere variazioni ritmiche come quelle di un battito d’ali, a tratti si appesantiscono come se fossero trascinate verso terra da una forza più potente di loro, per poi liberarsi e risalire. Tutto lo spettacolo si svolge in questa alternanza musicale tra cielo e terra, leggerezza e potenza, inquietudine e sollievo, dove i musicisti sono loro stessi strumenti di qualcosa di inafferrabile a cui non vogliono dare forma, ma di cui vogliono solo liberarne l’emozione.

Il live si avvicina alla sua conclusione con un aneddoto di Cauteruccio su Franco Battiato, ricordato nel suo grande talento e la sua grande umanità che si racchiudevano nell’infinito amore per la musica, sentimento vissuto come un dono da regalare agli altri sotto forma di un “ponte di suono”. La chiusura è affidata al timbro elegante di Andrea Chimenti, che ci avvolge in un canto che diventa preghiera laica di riscatto e luce, per un’anima che fortemente vuole risvegliarsi a nuova vita. L’interpretazione è efficace e diretta, mentre la sinergia che sia crea con i musicisti sul palco è talmente forte che potrei descriverla in ogni dettaglio tanto riesce a rimanere impressa nella mente. Però non lo farò, perché queste non sono emozioni solo da leggere, sono anche sensazioni da provare assistendo a questo live, da sentire buttate addosso alla pelle per viverle davvero e intensamente. Perché a cosa servono le riaperture e i teatri al pieno della loro capienza se poi queste esperienze non decidiamo di viverle in prima persona?

Il Mephisto Ballad Live Tour è deludente per chi si aspetta della pappetta rimasticata da musicisti che scaltramente si adagiano sul tempo che fu, per chi dà per scontato che non ci possa essere sperimentazione anche in quelle mani che hanno fatto la storia della musica contemporanea italiana. Lì dove molti vorrebbero vedere il passato, esiste il presente che accarezza il futuro con i suoi battiti che si trasformano in suoni più contemporanei ma eseguiti da chi fa dell’esperienza un valore di continua evoluzione, perché l’arte è vera quando è senza barriere, e la voglia di innovare se ne infischia di una data di nascita per diventare l’unico imperativo a cui dare ascolto.

Articolo di Alma Marlia, foto di Francesca Cecconi

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