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Myrkur live Milano

Due proposte scandinave diverse e totalmente ammalianti

Il pomeriggio di domenica 14 aprile è caldo, molto caldo, quasi un anticipo di estate, ma gli artisti offerti da Hellfire di cui vi parlerò oggi, ci porteranno in un viaggio rinfrescante nei paesaggi nordici, quelli da cui proviene. Quasi a farlo apposta c’ è una brezza costante e ristoratrice proprio tra gli alberi all’ ingresso del Circolo Magnolia di Segrate, Milano, una brezza del Nord che stasera ci porterà parte del patrimonio culturale scandinavo.

Jonathan Hultén

Dopo una serie di burocrazie all’ingresso, arrivo giusto giusto in tempo a mettermi la macchina al collo ed entrare nel pit, e quello che mi si para davanti agli occhi mi fa sussultare come se mi fossi trovata a Narnia dopo essere passata dall’armadio dei vestiti: il palco è completamente decorato e ricoperto di piante, fiori di varie forme e colori, ovviamente sintetici, ma che rendono molto bene la sensazione di essersi ritrovati in una sorta di giardino dell’Eden. In questa Shangri – La si sentono cinguettare uccellini, e le luci fanno sì di portarci in un paesaggio quasi lunare, come se fossimo passati di colpo dal giorno a una notte illuminata dalla fredda luna nordica, quella che fa brillare i cristalli di ghiaccio sotto i suoi raggi.

Jonathan Hultén

Preciso e puntuale, compare in questa ambientazione bucolica, spirituale e contemplativa, Jonathan Hultén, primo artista di questa sera, che ci presenterà alcuni pregevoli lavori del suo progetto solista.
Solo lui e la sua chitarra, circondati dall’ oscurità e da alcuni raggi di fredda luce, per lo più di tonalità sul blu. Jonathan Hultén è un enigmatico e tormentato cantautore dark folk svedese, vincitore di un Grammy con i suoi Tribulation, band death / progressive death metal di cui è stato il chitarrista fino al 2020, anno in cui si dedica completamente alla sua carriera solista.

Jonathan Hultén

Ispirato soprattutto dalle composizioni sepolcrali folk e dai canti medievali dei suoi luoghi d’origine, troviamo anche altre influenze nelle sue melodie, dalla musica classica al Grunge. Indossa un sofisticato costume in stile gotico di stoffe pregiate e trine, particolare come il suo make up, che lui vive come un vero e proprio rituale di passaggio da Jonathan uomo a Jonathan artista.

Jonathan Hultén

Leggero e dalle movenze delicate, raffinate, curate nel minimo dettaglio, ci accompagna con la sua chitarra e le sue perfette armonie vocali in un viaggio interiore profondo e mistico, e anche se l’aria all’interno della sala è satura di calore, scommetteresti di percepire un brivido glaciale ogni volta che questo particolare artista ti posa addosso lo sguardo.

Jonathan Hultén

Il suo set è tutt’altro che rumoroso: non si sente volare una mosca, mentre il pubblico ascolta e partecipa senza fiatare, rapito e assorto, al punto tale che risuonano chiari e forti i click delle macchine fotografiche. Verrebbe fin quasi da scusarsi con Hultén per il disturbo. Lui è assolutamente equilibrato, posato e felice di poter supportare l’headliner in questo tour. Impressionante è la sua capacità di creare, da solo, suoni potenti, evocativi e fragili allo stesso tempo, in perfetta sintonia col suo personaggio, che a volte si presenta forte e a volte delicato come un cristallo di Boemia.

Jonathan Hultén

Le canzoni che esegue sono una delizia per le orecchie e la mente, e fanno da contraltare alla vita movimentata e frenetica che si svolge all’esterno del Magnolia: per tutta la durata della sua esibizione l’attenzione è concentrata sulla natura, sulle emozioni, sui sentimenti. Chiunque, sia chi è venuto fin qui solo per l’artista principale, ma anche coloro che conoscono Hultén dai tempi dei Tribulation, rimane piacevolmente sorpreso e tutti battono le mani tra un brano e l’altro senza mai eccedere in escandescenze, come a non voler rompere un incantesimo esile ed etereo come una bolla di sapone.

Jonathan Hultén

Jonathan Hultén conquista il cuore del pubblico con facilità, che anche se per la maggior parte è qua per ascoltare una musica più “pesante”, resta inevitabilmente affascinato da questi suoni che scaldano il cuore. Quando questo moderno menestrello rientra nell’oscurità da cui è arrivato, significa che è giunto il momento di lasciare lo spazio all’ artista principale della serata.

Myrkur

I concerti migliori sono esperienze di trasformazione, quelli in cui tutti i sensi sono così stimolati che lo spettacolo va oltre l’intrattenimento e si addentra nel misticismo. Va bene, questo sarebbe l’ideale, e pochi riescono ad avvicinarsi a quel mitico picco, figuriamoci raggiungerlo: Myrkur, però, ci arriva dannatamente vicina.

Myrkur

Myrkur, termine di origine islandese che significa “oscurità”, è un progetto solista black metal della cantante danese Amalie Bruun, nato nel 2014. Classe 1985, figlia d’arte del produttore e cantante Michael Bruun, questa poliedrica artista è compositrice, modella, polistrumentista; tre album attivi di cui il più recente “Spine” è uscito il 20 ottobre 2023 per Relapse Records.

Myrkur

Il palco è sempre un angolo di paradiso terrestre, anche se ha cambiato disposizione rispetto a prima, per lasciar posto ai componenti della band che, a parte la bassista / corista, restano quasi sempre nascosti nella nebbia e nel buio. Sullo sfondo si legge il nome di Myrkur scritto tra le piante, un logo semplice ed efficace; la performance inizia con il lungo e sostenuto accordo di “Balfaerd”, dove la silhouette di Myrkur, a piedi nudi,  si erge tra il fumo denso (molto, molto denso)  lasciandola intravvedere  appena, con delle suggestive luci violette che spezzano il freddo blu, dando veramente l’idea di un’alba vichinga, o di un’aurora boreale. Molto bello da vedere, quanto ostico riuscire a fare qualcosa che somigli a una foto.

Myrkur

Questa affascinante artista, ammaliante come una sirena, possiede una particolare aura che diffonde sul palco e in tutta la sala, e l’ espressione delle emozioni interiori e dell’ eredità nordica rende lo spettacolo accattivante e particolarmente intenso. Tutto quello che già funziona molto bene nei suoi album ha un impatto extra in un set dal vivo: vedere Amelie Bruun sul palco genera un’atmosfera rara; un fascino ipnotizzante da cui nessuno potrebbe sottrarsi.

Myrkur

Come con Hultén, i fan ascoltano le canzoni rispettosamente, ma è il livello e il calore degli applausi tra un brano e l’altro che dimostra l’apprezzamento e l’affetto per questa artista, che macina una canzone dopo l’altra, a volte spiegandone il contenuto, sempre con umiltà e dolcezza: We love you!  Si sente dire ad alta voce (urlare sarebbe troppo), e lei ribatte immediatamente con un I love you too.
A dirla tutta, è la sua musica a parlarci, ma lei sfrutta l’occasione per ringraziare i presenti di essere venuti allo spettacolo e lo fa in un modo veramente grato; è il momento in cui l’ artista e i fan diventano una cosa sola, in modo che l’apprezzamento e l’affetto sia qualcosa di reciproco e percepito nel profondo nel cuore. Sono sensazioni di pelle che non è facile descrivere.

Myrkur

Dopo tanta dolcezza, è solo quando la signora del Nord imbraccia la sua chitarra e guida la sua band in “Dybt I Skoven”, traccia del 2014 che la performance prende una piega più pesante e aggressiva, a dimostrazione delle radici black metal del progetto, che nel corso degli anni sembra essersi un po’ perso per strada, per essere sostituito appunto da una raffinata evocazione folk dei territori della tradizione scandinava e della mitologia norrena. Chiaro, anche se ora il ritmo è più audace, non è certo il tornado dei Marduk o dei Mayhem, dimostra però come i confini di questo genere possano essere “spostati” in base al desiderio dell’artista.

Myrkur

Anche “The Serpent”, subito dopo, ci viene lanciato addosso con una forza furiosa da togliere il fiato.
Il passaggio di Bruun da fata dei fiori a valchiria e banshee maledetta è sorprendente, e il bello è che non sembra esserci mai disconnessione tra questi suoi lati: lo ying e lo yang, il bene e il male, la luce e l’ombra convivono perfettamente in lei.

Myrkur

Jonathan Hultén viene invitato di nuovo sul palco per fornire accompagnamento musicale in “House Carpenter”, di cui Myrkur racconta il significato e la trama, una canzone folk dannatamente efficace che, almeno per me, da sola vale tutto il viaggio, il traffico, l’attesa, più varie ed eventuali. Anche “Bonden Og Kragen” ci riporta al diciassettesimo secolo, una sorta di racconto popolare su di un contadino e un corvo.

Myrkur

Questa esperienza mistica si chiude con “Death Of Days”: scritta come canzone funebre, sostenuta da chitarre cupe e pesanti, soffocanti giri di basso, è il modo perfetto per salutarci e scappare via nelle nebbie di Avalon, mandandoci fuori nella notte che non sentiamo più così tanto calda, facendoci domandare se quello a cui abbiamo appena assistito è stato frutto della recente eclisse o se delle divinità nordiche, sotto le forme di Myrkur e i suoi abilissimi musicisti, si siano palesati a noi per poi tornare nelle loro infinite e gelide notti boreali.

Articolo e foto di Simona Isonni

Set list Myrkur Milano 14 aprile 2024

  1. Balfaerd
  2. Like Humans
  3. Mothlike
  4. My Blood Is Gold
  5. Spine
  6. Valkyriernes Sang
  7. Dybt I Skoven
  8. The Serpent
  9. Crown
  10. Blazing Sky
  11. Devil In The Detail
  12. House Carpenter
  13. Bonden Og Kragen
  14. Leaves Of Yggdrasil
  15. Ulvinde
  16. Death Of Days
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