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Turin Brakes live Roma

La band appare solida e in perfetta armonia

Chi mi conosce sa quanto sia legato ai Turin Brakes, fin dagli albori: precisamente da quel 5 marzo 2001 in cui vide la luce il loro primo album: “The Optimist Lp”. Averli già visti dal vivo in un paio di occasioni (sempre a Roma, insieme a Coldplay, The Coral e Viva Lion) non era certo abbastanza, ed è con l’anima aperta alle loro magie che il 21 aprile affronto il traffico romano quasi senza accorgermene, diretto all’Alcazar-Live. Il locale, situato nel cuore di Trastevere, è un gioiellino d’intimità, e questo mi permette di portarmi subito in terza fila, in modo da riuscire a gustarmi lo show praticamente in braccio alla band.

Aprono i Dog Byron, band del musicista romano Max Trani attiva da oltre un decennio, forte di collaborazioni internazionali che hanno permesso al combo di girare mezza Europa. Il sound è avvolgente, il timbro del leader suona caldo e appena graffiato; il risultato è un ottimo show che riesce a interessare grazie a una commistione fra il Rock Blues classico e l’Indie più intelligente. Avere una voce artistica originale non è semplice né scontato, e ai Dog Byron va senza dubbio conferito questo merito.

Poi ci siamo: il locale si riempie, l’attesa si fa palpabile, e tocca alla beneamata band inglese salire sul palco. Il quartetto scalpita per proporre il materiale del nuovo album “Wide-Eyed Nowhere” (la nostra recensione) che, almeno dalle parole scambiate col frontman Olly Knights nella nostra ultima intervista, in tour sembra scorrere come se fosse sempre stato sul set. E, a quanto pare, è proprio così visto l’impatto della opener “Isolation”, che fila via potente e decisamente più elettrica rispetto alla versione studio.

I Turin Brakes appaiono solidi e in perfetta armonia, lo si nota da tante sfumature. Dal sound innanzitutto, dalla sicurezza con la quale hanno perfezionato i brani vecchi e nuovi, ma soprattutto dai loro sorrisi, dal modo in cui si trovano con sguardi complici e seguono perfettamente l’evoluzione l’uno dell’altro. Il la la la-la-la richiesto per supportare “Up For Grabs” risuona tondo e deciso da parte di tutto l’Alcazar, che spalleggia la band con un calore che s’infiamma quando Olly ci chiede: Ricordate un album chiamato “The Optimist Lp?” È infatti la volta di “The Door”, che ai tempi fu il primo singolo e il primo videoclip del gruppo. Si resta in scia grazie alla poetica “Future Boy”, con quello struggente crescendo finale che mi riporta indietro, dritto a un quarto di secolo fa, alle migliaia di ascolti macinati in macchina.           

L’ipnotica “Into The Sun (Visualiser)”, brano dedicato alla libertà, mi ricorda per l’ennesima volta quanto la band riesca a invadere con personalità spazi siderali alla Pink Floyd, tuttavia senza plagiare o scimmiottare mezza nota. “Keep Me Around”, brano del 2016 tratto da “Lost Property”, fila che è un amore coi suoi tu-tu-tu-tutù e l’aria primaverile scanzonata. Poi Rob Allum ed Eddy Myer lasciano i rispettivi strumenti per supportare “We Were Here” con i cori, e ne viene fuori una versione ispirata che mi resterà addosso per parecchi giorni. È la volta di “World Like That”, con la sua struttura solida e l’importante messaggio green, che lascia il passo alla zona calda della scaletta. Eh sì, perché si inizia a fare proprio sul serio. “Long Distance”, singolo pazzesco che da solo spazzerebbe via mezza discografia di tante pallide band oggi sulla cresta dell’onda, c’investe con la sua coralità catartica, e l’Alcazar urla a squarciagola quella visione chiara di fine ritornello: Now there’s a river! Now there’s a river!       

“Last Chance” resta sugli stessi livelli di ballo e potenza, pescando finalmente anche dallo splendido “Dark On Fire”, del 2007. Ma, citando le telecronache del mitico Galeazzi, non c’è più tempo per morire: tocca a “Pain Killer (Summer Rain)”, senza dubbio il loro singolo di maggior successo, un vero e proprio inno che nel 2003 riuscì a entrare nelle classifiche calde di mezzo globo, trascinando “Ether Song” al successo mondiale. I Turin Brakes reputano la loro set-list una scala per condurre sempre più in alto l’emotività dello spettatore. Vero anche questo, perché in una successione che non sente pietà per i nostri cuori provati, tocca alla magia acustica di “Fishing For A Dream”, tratta da “JackInABox” (2005), che all’epoca fu un altro videoclip in heavy rotation in quella Mtv che di lì a poco avrebbe esalato l’ultimo respiro.

La chicca a conclusione del set base è una folgorazione: “Black Rabbit”, traccia di chiusura di “Lost Property”, con i suoi sette minuti di lisergia sospesa. Il chitarrismo fluido di Gale Paridjanian, presente e personale, mai superfluo e sempre narrativo, mi rapisce del tutto, e sembra suggellare un concerto a dir poco perfetto.

Il primo encore è aperto da una granitica “Something In My Eye”, seguita da quella che, a mio avviso, è stata la traccia più riuscita delle proposte tratte dal nuovo album: “No Rainbow”. In una parola: magica. Con “Underdog (Save Me)” si torna di nuovo indietro, a quello che fu il singolo più famoso del primo album, e mentre i Turin Brakes ci salutano per la seconda volta, penso che sentirei volentieri un’altra vagonata di canzoni.             

Olly, tra un ciao e un grazie, sembra far caso al suo orologio. Ci guarda con un’espressione emblematica: in fondo non è così tardi. Il pubblico coglie al volo l’occasione per chiedere un altro bis e la band si riunisce in un cerchio da squadra di football, inginocchiandosi per decidere il proseguo. Io, per non saper né leggere né scrivere, urlo la mia richiesta: “Feeling Oblivion!”, il mio brano preferito di tutta la loro discografia. Olly imbraccia di nuovo la chitarra, sorride e … parte proprio “Feeling Oblivion”. Ora, lo so che la canzone era già fra le papabili in scaletta, e che magari l’avrebbero suonata comunque. Ma lasciatemi sognare un po’. Lasciatemi pensare che forse quella richiesta accorata li abbia indotti a regalarmela. Io chiudo gli occhi e canto. E durante l’ultimo ritornello piango. Piango e ringrazio.

A terminare le danze tocca al muro di voci armonizzate di “Slack”, una scoccata suonata con la canna giusta. Ma cuore e anima sono ancora lì, qualche minuto indietro, intrappolati in quella sensazione di oblio. Di oblio e rinascita. Sulla strada del ritorno continuo a cantare e, non pago, metto su un gruppo a caso: i Turin Brakes. La band che, più di tutte, mi rimette in equilibrio col mondo.

Articolo e foto di Simone Ignagni           

Set list Turin Brakes Roma 21 aprile 2023

  1. Isolation
  2. Up For Grabs
  3. The Door
  4. Future Boy
  5. Into The Sun (Visualiser)
  6. Keep Me Around
  7. We Were Here
  8. World Like That
  9. Long Distance
  10. Last Chance
  11. Pain Killer (Summer Rain)
  12. Fishing For A Dream
  13. Black Rabbit
  14. Something In My Eye
  15. No Rainbow
  16. Underdog (Save Me)
  17. Feeling Oblivion
  18. Slack
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