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Alberta Cross “Sinking Ships”

Lavoro Indie intimista e gradevole, a tratti frizzante ma sempre in un contesto delicato

Avvertenza: a seconda del tipo di ascoltatori che siete, potreste esclamare che noia! Oppure che atmosfera! Personalmente, sono passato da un atteggiamento del primo tipo a quello del secondo, attraversando il mare di questo “Sinking Ships” degli Alberta Cross uscito per Dark Matter. Petter Ericson Stakee, svedese di Uppsala influenzato da tonalità americane, è stato fondatore con l’inglese Terry Wolfers di questo progetto che si muove in un genere delicato e analogico. Proiettati dal primo album in estenuanti tour sui due lati dell’Atlantico, con apparizioni in show televisivi americani e con canzoni scelte come temi per serie TV, sentendosi a casa in diversi posti del mondo ma in nessun posto, dopo due album i due diventano uno, quando Wolfers si allontana per seguire altri progetti.

Il successo in giovane età non fa bene a Stakee e ansia, depressione e dipendenze sono la conseguenza della poca attenzione ai segnali interiori, inascoltati negli anni della forsennata attività musicale. La salute mentale è anche un tema chiave del nuovo album, pur se non l’unico fra i riferimenti interiori che risuonano particolarmente in sintonia con lo stato del resto dell’umanità in questo periodo storico, il tutto immerso in acqua, acqua del mare, acqua della pioggia, l’elemento che ricorre in quasi tutto l’album.

“Mercy” è più interessante come parte del puzzle che come prova da isolare. Anche se la produzione è interessante e il brano di atmosfera, la cosa più bella della canzone è la fine, non solo perché ci liberiamo dell’ipnotico andamento, ma perché nell’ad libitum finale arriva un barlume di vita. Il testo, accurato e ispirato come è tipico di questo autore, introduce l’argomento dell’alienazione e dell’incertezza del vivere con invenzioni liriche intraducibili come can I right my wrong? “Sinking Ship” è più emozionale con suoni Vintage, e la voce sempre pulita e acuta si intreccia con accordi più sognanti. Infine arriva il ritmo, ma le rullate alternate non tolgono delicatezza a questa ballata indie e nostalgica che continua il tema introdotto dalla prima canzone, perché siamo navi che affondano sott’acqua.

Le prime composizioni dell’album hanno preso vita nello studio svedese dell’amico Johan Zeitler, ma il carattere definitivo all’album lo dà la produzione del consolidato collaboratore Luke Potashnick, che dopo aver lavorato nel proprio seminterrato con Stakee ha completato il progetto di ridare vita al vecchio studio Wool Hall creato a Frome, in Somerset. In un suggestivo storico edificio in pietra dalle sembianze di una cappella ma in realtà nato per la vendita della lana, al centro di un antico villaggio, lo studio nato per i Tears for Fears e poi di proprietà di Van Morrison negli anni ‘80 è stato modernizzato e dotato di una sala per le registrazioni live, e in questo luogo unico Luke produce i suoi artisti. L’atmosfera ha sicuramente dato un’impronta al lavoro, finito di scrivere proprio fra queste mura. Anche gli altri musicisti che hanno preso parte all’album ne hanno certamente contribuito al colore, come Tom The Lion alla batteria e Richard Causon alle tastiere.

Con “Glow in the Dark” il ritmo si fa più interessante, ma l’andamento costante fa tornare a galla, per restare in metafora, i temi dell’album, ancora l’acqua qui claustrofobica che ci sommerge, sostenuti solo dalla gratitudine verso chi ha attenzione per noi e spicca nel buio come fluorescente. Lo “Yacht Piano” di Potashnick è suonato appropriatamente da Stakee in questo ulteriore brano marino. L’autore esprime come la sensazione di essere un’isola persa nel mare possa essere anche ricercata, e ricorda come il ritornello circolare, che libera dall’oppressività del resto della traccia, richiami un meccanismo di difesa per superare le nostre battaglie interiori.

A mio parere siamo a un punto di svolta dell’album, che si fa più animato e positivo: “Between You and Me” è un brano mosso, con un ritornello orecchiabile, che se non fosse inguaribilmente Indie, per il contesto e i suoni, sarebbe facilmente catalogabile come Pop. Non che il fatto di esserlo sia un punto a favore, ma è come se darsi il permesso di essere più accessibile avesse tolto un peso all’autore dei brani che da qui in poi vivono di maggiore dinamica e energia.

“Come To a Place” ha un interessante frammentazione lirica che rende la canzone meno da sottofondo e mima le difficoltà di emozioni contrastanti, mentre *Morning Drum” è più Rock anni ‘80 completa di woooh orecchiabile da cantare in concerto, anche se risuona di cieli grigi nord-est europei. “Near Misses and Defeats” ha ritmo più incalzante, melodia a due voci e linee di chitarra e di synth, appoggiate su un letto di organo Hammond. Ha un legame con l’album del 2020, in cui parti di questa canzone erano state presentate come interludi ma avevano più sapore di demo confrontati con questa versione completa e prodotta che risulta un pilastro dell’album.

L’album diventa più intenso man mano che ci si inoltra, con “Vespertine” e le sue lugubri note di piano che sostengono il lamento prima dell’arrivo delle percussioni e l’armonia che si apre senza però diventare serena. Quando entra il ritmo, è un inaspettato basso funky che anticipa interventi di chitarra fuzz, poi con wha wha, e in un crescendo arrivano il rullante riverberato su un passaggio armonico che ricorda gli antichi titolari dello studio, l’obbligato di chitarra acustica quasi dissonante, voci minacciose che poi si uniscono in una melodia… Se tutte le canzoni dell’album fossero così, non avrei forse diviso il possibile pubblico in due fazioni.

“Bloom” è di nuovo energetica, ha un andamento ritmato e suoni analogici, si rinforza di suoni di chitarra e di un ritmo tribale e Root. Finisce tronca in un intreccio melodico di voci e fiati sintetici, sfociando inaspettatamente in “Every Time The Sun Comes Up”, una nota di sorpresa nell’album. Questo brano conclusivo dà conferma a chi vede un certo Young, famoso cantautore canadese, fra i riferimenti musicali di Alberta Cross, per l’atmosfera bucolica e molto distesa che ricorda il cantautorato americano anni ‘70, anche se i suoni sono sempre quelli europei del resto dell’album. Tutto ciò è curioso, perché in effetti si tratta di una cover di Sharon Van Etten. Non è abituale per Stakee avventurarsi in brani non originali, ma a suo dire questa esecuzione in studio è venuta così bene che è stata inclusa nell’album, a concludere con una nota rarefatta ed elegante questo lavoro intimista e gradevole, a tratti frizzante ma sempre in un contesto delicato e moderato, che tratta temi struggenti ma con la serenità della consapevolezza. Da ricordare il lavoro visuale del pittore inglese Cristopher Gee e del regista Luis Velasco che ha girato in Super 8 il materiale video che accompagna l’opera.

Articolo di Nicola Rovetta

Tracklist “Sinking Ships”

  1. Mercy
  2. Sinking Ships
  3. Glow In The Dark
  4. Between You And Me
  5. Come To A Place
  6. Morning Drum
  7. Near Misses And Defeats
  8. Vespertine
  9. Bloom
  10. Every Time The Sun Comes Up

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