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Francesco Guccini “Canzoni da intorto”

L’album è un Guccini inedito, non un lavoro inedito di Guccini

Chi lo avrebbe mai detto che il 18 novembre 2022 sarebbe uscito un nuovo album di Guccini? Da quando chiuse la porta, nel 2012, a live e album, il suo No a cantare era sembrato davvero categorico. Scriverò libri, ricordò in più occasioni. Poi ci fu il terremoto in Emilia, e lì non poteva sottrarsi. Poi ci fu Mauro Pagani, e il progetto è così bello (“Note di viaggio” 1 e 2), che Guccini non ha potuto non entraci con un pezzo inedito. Poi nel 2015 è arrivato il maxi cofanetto che, nell’edizione deluxe, conta 9 cd, e parecchio materiale inedito, o comunque raro. Poi, nel 2017, la perla, e cioè quel live “L’osteria delle dame”, un vecchissimo concerto del primo Guccini in quel di Bologna. Anche qui, merita l’edizione deluxe per avere tutto il documento. Insomma, fermo del tutto il Nostro non lo è stato mai (e nel mezzo ci sono tutti i libri che ha scritto, con tanto di candidatura al Campiello).

Un disco nuovo, però, non era atteso da nessuno. Tanto meno di cover. “Canzoni da intorto” è sostanzialmente un disco di brani di altri interpretati da Francesco Guccini. Però non si tratta di canzoni di colleghi cantautori, come capita spesso che succeda. E neppure di brani tradotti, come fece qualche anno fa – con grande grazia – De Gregori per Dylan. L’album di Guccini è un disco di cover alla Guccini. Anzi, è Guccini al 200%. Vediamo il perché.

Pescare dalla tradizione popolare è cosa che il Nostro ha sempre fatto. Sia nella musica, sia nella sua letteratura. Basta acquistare, sempre di quest’epoca, il cofanetto che celebra i 50 anni di “Radici”, per capire come Guccini abbia lavorato parecchio sulle tradizioni. Il suo legame con Pàvana è risaputo, come quello con i monti che lo hanno visto nascere: il paese e il mulino dei nonni, già location del suo – ormai – penultimo album (non era un caso). Insomma, tutto già c’era in essere. Eppure questo è un album particolare, e davvero molto bello. Anzi, lo dico subito, c’è da incrociare le dita, e sperare in un bis l’anno prossimo. Le vendite incredibili, al momento dell’uscita, lo esigerebbero per qualsiasi altro cantante. Io stesso ho fatto il compito che mi ha assegnato il Maestro. Niente edizione digitale? Bene, ho fatto incetta di tutte le edizioni fisiche uscite: cd normale, cd edizione limitata e numerata (con libretto e spiegazioni del Nostro), vinile normale, vinile colorato e vinile deluxe con le edizioni analogiche delle musiche. Tutti denari ben spesi.

L’album in questione è un Guccini inedito, non un lavoro inedito di Guccini. Gli arrangiamenti sono solari, festosi e canterini. Credo che “l’intorto”, e cioè imbonire e circuire come spiega il Maestro, venga da qua, più che dal significato delle canzoni. I temi, infatti, sono l’anarchia, la lotta partigiana, l’antifascismo, le lotte operaie. Insomma, argomenti cari al Nostro, dai tempi de “La Locomotiva” fino a “Piazza Alimonda”, e non serve ricordare tutte le altre. Eppure, anche qua, nelle canzoni di Guccini c’è sempre stata una solennità negli arrangiamenti. Riascoltando “Radici” (nella nuova edizione), non si scherza con le musiche. Come succede in brani vari quali, citando a braccio, “Canzone per Silvia”, “Stagioni”, “Shomèr ma mi llailah?”, “Noi non ci saremo”, “Atomica cinese”. Qui, in queste canzoni da intorto, Guccini e i suoi musici (e son parecchi, oltre ai soliti suoi musicisti), ci consegnano un lavoro allegro, meno solenne, più popolare, nel vero etimo della parola. Canzoni, cioè, che si cantano insieme, in compagnia, e che servono per esorcizzare, raccontare, far passare via, far diventare memoria collettiva, con-vivere e con-dividere, far trascorrere la notte.

È come, insomma, se dopo tanti anni nei quali Guccini ci ha indicato una via, giusta o sbagliata che fosse, consapevole (ne sono convinto) o inconsapevole (non c’ho mai creduto), oggi ci dica che serve tornare a essere popolari, dalla parte cioè del popolo, che ha sempre vissuto la musica non come showbiz, ma come momento di condivisione collettiva.

In altre parole, qui Guccini sembra salutare Dylan, al quale tanti devono parecchio, e non solo in Italia, e si rifaccia invece a quell’epica popolare che va dai canti delle trincee fino ai cori delle mondine, dalle lotte nelle piazze fino alle canzoni attorno al tavolo nei pranzi di ex partigiani e combattenti. C’è un respiro popolare davvero intenso, fresco, vivace e coinvolgente. Certo, anche le altre sue canzoni portavano a cantare, però con lui sul palco. Spesso un suo disco è e resta un’esperienza d’ascolto intensa, per cogliere parole e sfumature. Testi come “Acque”, “Bisognerebbe fare del cinema”, “Scirocco”, “Il pensionato”, e altri ancora, sono brani poetici, ricchi di parole, di suggestioni e mondi che vanno appresi nel silenzio. In questo ultimo lavoro, invece, la dimensione che si vive è davvero quella delle immagini che sono circolate come promo: un tavolo, amici, formaggio e vino rosso, insaccati, bambini che corrono, e gente che canta. A battaglia finita…

Sul valore intrinseco di ogni canzone si è scritto tanto. Lo stesso Guccini lo fa nel libricino allegato all’edizione numerata del cd. Quindi lì vi rimando, anche perché la promozione è stata massiccia e tosta (da Fazio, Guccini è apparso molto stanco…). Merita grande attenzione il brano che chiude il lavoro, e cioè “Sei minuti all’alba” di Jannacci. Per due motivi. Testo splendido e dedicato alla morte del padre. Commuove, e qui Guccini tira fuori ancora tanta arte, mestiere e cuore che il tempo non hanno fatto venire meno. Inoltre, in questa canzone Guccini ci mostra cosa vuol dire davvero “popolare”. Un termine nobile che, come insegna anche Branduardi, qualifica il lavoro di una vita. Quando qualcosa diventa popolare, è perché supera le barriere del genere e diventa di tutti. Del popolo appunto. In quel momento non si tratta più di riconoscimento, ma si diventa tradizione.

Il valore di questo album è di averci consegnato un Francesco Guccini davvero popolare, e che ha omaggiato non solo canzoni, ma la nobile arte della cultura comune. Di tutti. Popolare. Del popolo. Splendido, davvero. Un bel regalo, che c’è stato fatto. A tutti e tutte.

Articolo di Luca Cremonesi

Track list “Canzoni da intorto”

  1. Morti di Reggio Emilia
  2. El me gatt
  3. Barun litrun
  4. Ma mi
  5. Tera e aqua
  6. Le nostre domande
  7. Nel fosco fin del secolo
  8. Green Sleeves
  9. Quella cosa in Lombardia
  10. Addio a Lugano
  11. Sei minuti all’alba
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