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Garbo “Nel vuoto”

Lavoro compatto, ben suonato, con testi chiari e cristallini, che non vogliono compiacere nessuno

Che bell’album! Non si può che partire così, credetemi. Anzi, la sparo subito grossa. Se è pur vero che, per certi versi, l’inizio di questa nuova fatica discografica di Garbo (all’anagrafe Renato Abate), lavoro uscito il 21 aprile 2023 per Incipit/Egea, può far ricordare un poco il suono dell’ultimo Battiato, è però altrettanto vero che questo è un album che ci aspettavamo non certo da Garbo, ma dai talentuosi Baustelle. Invece, con grande piacere, ce lo regala un artista che, da anni, si è preso e conquistato il suo spazio nella galassia della musica d’autore, e colta, del Bel Paese. A questo luogo si è aggrappato con tutta la forza in corpo e ha difeso la posizione, come i giapponesi che non lasciavano le isole dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.

L’immagine è anche buona per descrivere questo lavoro di resistenza che Garbo, tornato – nella forza dei testi – ai suoi due primi lavori (vere pietre fondanti della New Wave italiana), e cioè “A Berlino… va bene” e “Scortati”, di recente ristampati, ci ha messo a disposizione. Sì, va detto con forza, perché qui in Italia c’è da resistere a ogni ultimo soffio di vento commerciale che passa. Forza immensa del mercato, tabula rasa elettrificata di una musica che si vuole solo come oggetto di consumo. Resistere e farlo, dopo tanto tempo, con stile, caparbietà, e producendo, quasi di fatto in solitario, un album così denso, e che suona così bene come questo “Nel vuoto”, vuol dire provenire da un altro pianeta e, soprattutto, essere di un’altra generazione.

Per questo motivo a Garbo gli si può perdonare anche l’aver ceduto alla moda della versione limited in vinile, tirata in 300 copie, del nuovo album con copertina diversa (che fatica recuperarla, ma sono tra quei 300, dai), ed è comunque molto più bella della versione disponibile a tutti. Otto tracce, come si faceva un tempo, quattro per ogni lato dell’album. Cinque canzoni, e tre omaggi al mondo della musica elettronica che è sempre stata nel suo Dna, dal Kraut Rock fino al miglior David Bowie.

Per cominciare a capire questo nuovo mondo musicale di Garbo, basta leggere i titoli, e subito ci facciamo un’idea dei temi trattati. Anzi, a mio avviso, dello sguardo del Nostro su quanto stiamo vivendo. Il vuoto, in sostanza, del quale Garbo canta e racconta, è quello nel quale ci troviamo immersi quotidianamente. Ed ecco perché il titolo è “Nel Vuoto”, e non semplicemente “Vuoto”. Non solo, come si ascolta in modo chiaro nella seconda traccia, perché ci stiamo precipitando dentro, tutti, nessuno escluso. Il testo è chiaro, a prova di qualsiasi anima che voglia non credere a ciò che Garbo ci dice nel titolo. Anzi, questo vuoto assomiglia molto al “Nulla” che distruggeva Fantàsia, il mondo creato ne “La storia infinita” di Michael Ende. Un vuoto, come quel nulla, che attira, avvolge, ci circonda. Un vero buco nero che, con il suo orizzonte di non-eventi, ci fagocita e ci fa precipitare giù, sempre più giù, fra pistoleri, neri, fino al prossimo tormentone dell’estate 2023 (per fermarci al mondo della musica). Il problema più impellente, canta Garbo, in sostanza non è solo che cadiamo in questo vuoto, ma che ci stiamo pure galleggiando, e pare anche con disattenzione e soddisfazione.

La prima traccia è da manuale. Vorrei cantare le parole / con un senso nuovo qui / ma nel vuoto non c’è un suono / non c’è aria libera / e le parole erano pietre / oggi vapore. Incorniciamo e rendiamo grazie, davvero. Non perché ci fosse bisogno di ribadirlo, ma perché serviva dirlo in modo così chiaro e incisivo. Un tempo, le canzoni, erano pietre scagliate contro sistemi, ingiustizie, modi d’essere e di pensare, vite che necessitavano di voce… Ora, invece, sono vapore, volano via, non restano neppure il tempo necessario per prendere senso. Vuoto e vapore, belle immagini fatte funzionare insieme (un leggero richiamo a “Steam” di Peter Gabriel, ma solo per assonanza). Vorrei cantare le parole / con un senso nuovo qui / ma nel vuoto non c’è un suono / non c’è aria libera … e le parole erano pietre / oggi vapore.

Questa sintesi è perfetta, soprattutto quando si è obbligati ad ascoltare, in radio, chi si vanta di fregarsene del passato, senza contare l’immancabile valanga di tormentoni che, con l’arrivo del caldo, giungeranno ad accentuare quel vuoto cantato da Garbo. Certo, lo insegna Nietzsche, non si deve essere per forza schiavi del passato. Serve guardare avanti. La musica, come tutte le arti, progredisce. Purtroppo, sempre come accade in ogni settore, si può anche regredire. Tuttavia, far finta che un passato non ci sia stato è, forse, il peccato più grave. Anzi, gravissimo. Non solo in musica, ovviamente…

Il saper gestire al meglio passato, presente e futuro, dunque, sono la cifra stilistica vera di un artista, che così diventa credibile. Garbo, come se ne avesse avuto bisogno, lo dimostra proprio nella traccia che dà il titolo al lavoro. “Nel vuoto” canta: Così / scavalchiamo quel muro e / disegniamo il cielo sempre / stelle sempre, il buio sempre / sorprenderci / corromperci / e poi cadiamo nel vuoto. Un testo meraviglioso, come d’altronde la musica del brano, un bel pop/new wave che, come già detto, fanno di questo album un bel lavoro inatteso. “Nel vuoto” non è una canzone di resa, anzi. Vi consiglio di ascoltarla bene, perché si tratta di un testo di speranza; la traccia per l’avvio di un cammino. Meglio lasciare le scene, quando si è davvero figli di un’altra epoca e di un altro mondo. Mettersi da parte, senza scappare, e lasciare che il vuoto, come il già citato “nulla”, fagociti ogni cosa. La speranza, poi, è che tutto possa prima o poi tornare a essere generativo. Così / sorvoliamo i confini e / regaliamo i sogni sempre / sogni sempre, luce sempre / … nasconderci / confonderci. Aspettiamo, dunque, tempi migliori, che di certo verranno. Garbo lo canta, dunque, in un testo raffinato, con arrangiamenti quasi da film natalizio, ma che denotano un gusto estetico davvero figlio di un’epoca ormai remota.

Allo stesso tempo, ed è la terza canzone della quale vi parlo, fedele al mio principio – e cioè che poi l’album va preso e ascoltato – è “Il mondo esplode”. Un pezzo figlio degli anni ’80, rimaneggiato con il gusto con il quale, oggi si (ri)farebbero gli anni ’80. In sintesi, ballabile, ma non troppo. Con innesti disturbati che, all’epoca, erano figli di quei suoni nuovi che si ceravano ovunque. Oggi sanno di industrial, senza però essere eccessivamente invasivi. Fa troppo caldo / per un’era fredda / c’è troppa luce in un tempo buio / Tu non ci sei / e non ti servi a niente / sei fermo li / e il mondo esplode ovunque / E non sopporto la non identità / numeri pari e anche dispari. Serve grazia, cura, e semplicità per scrivere, oggi, una bella canzone d’amore. I maestri lo sapevano bene nel passato e, come nel caso di Garbo, lo sanno ancora tutt’oggi.

E così, fra il miglior (ultimo) Battiato, e quelli che un tempo erano i Baustelle, tocca davvero pensarci a Garbo. E lo fa da solo, producendo tutto, dalla copertina alle musiche, passando alle parole. Il tutto arrivando a sfornare un lavoro compatto, ben suonato, con testi chiari e cristallini, e che non cercano alibi e, soprattutto, che non vogliono compiacere nessuno. Dopo una lunga carriera, percorsa anche lontano dalla ribalta per forza, Garbo se lo può permettere. Ben consapevole, ci regala un lavoro che, in questo periodo, serviva.

Garbo, per chiudere, non necessitava, dopo 40 anni di carriera, di mettersi a fare un un nuovo disco. Ma lo ha fatto e, una volta presa la decisione, ha pensato di produrlo bene e bello, da grande artista. Non solo, dunque, per muovere il catalogo, e tanto meno per mettere un nuovo mattoncino all’interno di una già articolata discografia.

Articolo di Luca Cremonesi

Tracklist “Nel vuoto”

  1. Come pietre
  2. Nel vuoto
  3. Mai più
  4. Il mondo esplode
  5. Sembra
  6. Coscienze
  7. To Mars
  8. Contatto

Garbo online:
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