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Korn-The-Nothing

Korn “The Nothing”

Concept album sul lutto e sulla perdita in generale che costringe a riflessioni personali

“The Nothing” è la tredicesima e ultima fatica per il gruppo di Jonhatan Davis e soci; esce per Roadrunner Records, ed è prodotto da Nick Raskulinecz (Foo Fighters, Stone Sour, Deftones tra gli altri). Tutto il disco è permeato da un’atmosfera cupa e i testi vanno a scavare come non mai in quella dimensione oscura e apparentemente senza via d’uscita che Davis affronta, in fase di scrittura, da solo, chiudendosi nel suo studio a Bakersfield, mente gli altri componenti registrano le loro parti a Nashville.

Il disco si apre con il brano “The end begins”, il cui titolo fa da preludio al mood di questo intero lavoro del gruppo californiano. Il pezzo, introdotto dall’inconfondibile suono della cornamusa, oltre a richiamare immediatamente il loro terzo album, “Issues”, fa riferimento alla morte della madre di Davis nel 2018 e a quella della sua ex moglie Deven, scomparsa solo sei mesi dopo, per overdose. Why did you leave me? è la frase di inizio. “Cold” è la seconda traccia che parte con un accenno di chitarre stoppate e incalza immediatamente con batteria e voce in growl, per aprirsi in un ritornello molto melodico caratterizzato da un incedere rapido e immediatamente riconoscibile.

La successiva “You’ll Never Find Me”, che tra le altre cose vede lo zampino di Billy Corgan per quanto riguarda la composizione della linea vocale, è il primo singolo estratto da questo lavoro ed è subito evidente il motivo della scelta: qui ritroviamo tutto il DNA più puro dei Korn, per come li abbiamo sempre conosciuti e apprezzati nel corso della loro lunghissima carriera. Davis interpreta il cantato passando da un ritornello molto orecchiabile per arrivare ad un finale il cui canto si tramuta in un grido disperato, straziante, rabbioso, singhiozzato I’m lost, you’ll never find me.

In “The darkness is revealing” si apprezzano molto la compattezza del muro di suono delle chitarre e la ritmica poderosa di basso e batteria, senza tralasciare qualche incursione elettronica che arricchisce e contribuisce a rendere il pezzo subito incisivo fra tutti gli altri. Un gran lavoro anche nella parte delle voci, con la presenza di numerosissime sovra incisioni Take a look around, another morning star is coming for me e molte tecniche vocali diverse adottate, uno dei miei pezzi a 5 stelle di questo album, molto easy listening anche per i non amanti del genere.

Il verso di apertura di “Idiosyncrasy” recita And the dark seems to light my way, proseguendo il cammino su questa strada lastricata di angoscia e sofferenza interiore, di riflessione personale che Jonathan Davis scava e sviscera in tutte le forme possibili. Il disco pare sia scritto più con l’intenzione di servire a lui, in prima persona, affinché svolga un ruolo catartico dopo i recenti, ma anche meno recenti, fatti che hanno sempre accompagnato la sua vita tormentata. “The Seduction of Indulgence” ne è un esempio lampante, Skinning me, stabbing me, raping me.

Munky, chitarrista storico della band, dichiara in un’intervista che “Finally Free”, traccia numero sette, si riferisce alla morte della moglie di J. Davis, ma rappresenta anche quel senso di liberazione dalla dipendenza (dalle droghe in questo caso), che la morte stessa è in grado finalmente di darti. Sono praticamente tutti i componenti dei Korn ad averne affrontata almeno una nel corso della loro vita, perciò è un brano che tocca tutti loro molto intimamente.

“Can You Hear Me” ha radici più vecchie, sembrava dovesse uscire con “Black Labyrinth”, disco solista di Davis del 2018, invece trova spazio come singolo in questo album. “Can you hear me, cause I’m lost, and I may never come back again / and while my heart keeps holding on, I know I’ll never be the same again”, descrive in pieno lo stato d’animo di chi ha perso qualcosa o qualcuno di così prezioso e importante al punto che, per quanto il suo cuore batta ancora e tenga duro, non sarà mai più lo stesso.

Atmosfera musicalmente più sospesa ed eterea per la successiva “The Ringmaster”, dove si ha spazio per un momento di respiro all’interno del lavoro e così nella successiva “Gravity of Discomfort”, il cui testo però esprime tutto il peso che il frontman è costretto a sopportare per i lutti appena accaduti, Darker than the darkest hole recita in uno dei versi. Chiude il trittico “H@rd3r”, pezzo che inizia disteso e incalzante ma che esplode rabbioso dopo la seconda strofa, riportando il disco sui binari iniziali, dove primeggiano le chitarre in un crescendo esplosivo, fino al minuto tre, in cui spicca un intermezzo drum’n’bass con inserimenti di elettronica decisamente interessanti, per poi tornare al ritornello finale e alla chiusura in doppio pedale martellante della batteria.

Penultima traccia del disco è “This Loss”, che affronta nuovamente il tema della perdita e di un dolore così profondo che è in grado di fagocitare ogni piccola e occasionale gioia che uno possa mai aver incontrato nella vita, The feeling of this loss keeps creeping, ingesting any joy that I might find. L’inciso vocale intorno al terzo minuto è molto toccante, e in uno dei versi si legge Happyness is a club I‘ll never be in, dove si consolida ancora di più la profondità dello sconforto in cui versa Jonathan Davis.

“The Nothing” si chiude con “Surrender to Failure”, un pezzo dall’atmosfera funerea e onirica, il cui testo evoca l’immagine di Dio che si prende e si porta via la moglie di Davis ma che per farlo dovrà consegnare ai demoni un premio in cambio e quel premio è lo stesso Davis, che verrà tormentato da loro And the demons were set loose to claim their prize, I’m the prize, uscendo sconfitto e fallendo come canta, quasi piangendo, negli attimi conclusivi del pezzo.

Un disco scuro, cupo, quasi un “concept” sul lutto e sulla perdita in generale, che fa riflettere, che fa soffrire, ma che costringe anche a riflessioni personali davvero profondissime e, a volte, terribili. Un disco che va ascoltato con la profondità che merita, perché pensare a come abbia potuto e dovuto realizzarlo durante i mesi di lavorazione mr. Davis è incredibile e al frontman vanno riconosciute una forza e una tenacia di primissimo ordine.

Per il resto il lavoro è “absolutely Korn”, musicalmente si riconosce al volo, c’è un gran lavoro sulla struttura e sulla solidità dei pezzi che arrivano e suonano subito familiari, fin dai primi accordi, in un sound ormai rodato e amato da oltre venticinque anni. Inconfondibile.

Articolo di Alessio Pagnini

Track list “The Nothing”

  1. The End Begins
  2. Cold
  3. You’ll Never Find Me
  4. The Darkness is Revealing
  5. Idiosyncrasy
  6. The Seduction of Indulgence
  7. Finally Free
  8. Can You Hear Me
  9. The Ringmaster
  10. Gravity of Discomfort
  11. H@Rd3r
  12. This Loss
  13. Surrender to Failure

Line up Korn: Jonathan Davis Voice / Brian “Head” Welch Guitar / James “Munky” Shaffer Guitar / Reggie “Fieldy” Arvizu Bass / Ray Luziers – Drums

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