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Midlake album cover

Midlake “For The Sake Of Bethel Woods”

Questa band forse pensata perduta dai fan ritorna con un malinconico ma intenso album intriso di sonorità anni Settanta

Per parlare di questo ritorno dei Midlake, uscito il 19 aprile 2022 per Bella Union, non possiamo non partire dalla copertina, che ci introduce alla ricerca del perduto, e del significato delle perdite, concetti che pervadono l’album. L’immagine raffigura il defunto padre del flautista e tastierista Jesse Chandler, e apparso in sogno al figlio per dare un invito senza ironie a rimettere insieme la band che, dopo il successo di “Antiphon” del 2013 si era dispersa in progetti individuali.

Il padre di Chandler è raffigurato sedicenne, in un fotogramma del film “Woodstock”, arrivato al famoso festival in autostop, per poi trasferirsi lì negli anni ‘80 crescendo il figlio nel sacro rispetto di Bethel Woods, il luogo dell’evento. L’immagine di quel ragazzo adolescente, padre per uno di loro, ma attore inconsapevole di un passo essenziale della propria vita, immerso nelle vibrazioni di gioventù, speranza, amore e pace di quel momento, rappresenta per la band la sintesi del messaggio musicale e lirico di questo album. Prodotto da John Congleton, questo è anche il primo album dei Midlake ad avere un produttore esterno.

“Commune” è un breve prologo dopo un periodo di disconnessione, forse di assenza della band ma comunque di lockdown, che evoca nostalgia di rimettere in “comune” valori e anche rituali ormai dimenticati. “Bethel Woods” malinconica e risonante del lato più scuro di Woodstock, quello che presagiva il fallimento della strategia della pace preparando il decennio di delusione e violenza musicale o sociale, portando l’esperienza psichedelica verso un tentativo di fuga dalla realtà che improvvisamente non prometteva più un futuro di fiori e di pace, anticipa la più saltellante e quasi Funky “Glistening” che affida a cori Sixties e a una coda psichedelica un messaggio criptico ma pessimista che parla di un’uscita di scena.

Questo pezzo introduce il brano seguente che infatti titola “Exile” e vibra di un ritmo incalzante e spaziale veicolando concetti claustrofobici che trovano l’uscita negli ultimi versi “Get out, get out, get out, get out” verso “Feast of Carrion”, quasi-Prog up-tempo che sembra alleggerire l’umore con frasi melodiche di tastiere e di flauto, cambi di tempo e riferimenti a eroi Woodstockiani (carry on) finché non ci accorgiamo che l’invito e il gioco di parole carry on – carrion ci portano a un banchetto di… carrion (carogna?).

“Noble” è una delicatissima canzone dedicata al rapporto del batterista McKenzie Smith con il figlio, nato con una rara malattia mentale chiamata oloprosencefalia semilobare. Pulido, amico dall’adolescenza del compagno di band, ha scritto cercando di interpretare i sentimenti verso un bambino che causa al padre l’inguaribile sentimento di chi ha un figlio con una condizione cronica, ma anche la consolazione che, nel suo modo innocente, il piccolo Garrett Noble ama la vita, inconsapevole del fatto che esistono altre configurazioni dei lobi cerebrali che però sicuramente non rendono migliori le altre persone, soprattutto alcune. Se vi commuove, cercatevi un’associazione che sostiene i genitori e pazienti di malattie rare e fate una buona azione.

“Gone” si avventura in una relazione che ha perso il legame che unisce e nei suoi reiteranti meandri, narrati attraverso un ritmo quasi-Swing sottolineato da una linea di walking bass che incede costante reggendo scariche di chitarra e linee melodiche di flauto e tastiera, e si disperde in una coda psichedelica. Nel frattempo, “Meanwhile…” dalle melodie vocali che richiamano i tardi anni ‘70 ma dal testo che non ci risolleva da pensieri oscuri sul futuro (the end is near), ci lascia in “Dawning”, una canzone dal sound malinconico ma che finalmente apre a un possibile futuro del quale annuncia l’albeggiare. Una possibile speranza è stroncata dalla canzone seguente, che oltre a un testo sul peso della vita (è la terza canzone a contenere la parola “burden”, peso, fardello) ha melodie alleggerite da un ritmo sostenuto e lunghi momenti di accordi maggiori, che si trascinano però poi nell’inevitabile caduta minore che sottolinea il titolo, “The End”.

Forse potremmo mitigare la sensazione di nostalgia e “male di vivere” collegando questo titolo con il prossimo, “Of Desire”, ottenendo quindi una “fine del desiderio” che se non gioia è almeno assenza di ricerca, e in effetti una “end of desire” è il tema di questa avventura sonora che parte da una introduzione ambientale e cresce fino a un ritornello quasi epico dalle armonie più rassicuranti. Anche se la difficile traduzione del gioco di parole means to an end… of desire in cui la parola “end” significa “fine” nei due sensi italiani, in un verso che suona come mezzo per un fine… del desiderio rende ambiguo proprio il significato della parola (sarà una fine… o tutto succede per un fine?) ci lascia sospesi in un limbo ricco di emozioni sonore ma carico di riflessioni sulla vita. Grazie ai Midlake per riconnetterci con gli echi di valori ormai a ascoltare se si è solidi emotivamente. 

Articolo di Nicola Rovetta

Tracklist “For The Sake Of Bethel Woods”

  1. Commune
  2. Bethel Woods
  3. Glistening
  4. Exile
  5. Feast of Carrion
  6. Noble
  7. Gone
  8. Meanwhile…
  9. Dawning
  10. The End
  11. Of Desire

Lineup Midlake: Jesse Chandler flauto, tastiere / Eric Pulido voce, chitarra / McKenzie Smith batteria / Eric Nichelson chitarra / Joey McClellan  basso

Midlake online:
Website: https://www.midlakeband.com
Facebook: https://www.facebook.com/midlake
Youtube: https://www.youtube.com/midlakeband

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