Era l’agosto del 1988 e i Mudhoney pubblicavano il loro primo singolo “Touch Me I’m Sick”. Sono 2:23minuti che sarebbero passati alla storia definendo alla perfezione il Grunge (termine, tra l’altro, introdotto proprio da Mark Arm a Seattle agli inizi degli anni ’80). Da allora son passati 35 anni e i nostri, ignari del tempo che scorre, continuano a divertirsi e far divertire, prendendosi il merito di essere rimasti fedeli a se stessi e per nulla influenzati dalle mode, soprattutto quando si spensero i riflettori su Seattle. Quando si tratta di Grunge o anche solo Seattle, una è stata la band fautrice della musica di quel periodo. Non erano i Nirvana, ma i Mudhoney. I Nirvana hanno esportato il Grunge nel mondo, ma i Mudhoney è la band di quel suono dichiarò Eddie Vedder dei Pearl Jam.
Poco importa se all’anagrafe si avvicinano ai 60 (e Mark li ha pure superati), continuano allegramente a suonare e fregarsene tanto che il 7 aprile 2023 rilasciano la loro undicesima fatica discografica “Plastic Eternity”, pubblicato per la mitica e immortale Sub Pop Records. Le differenza da quell’epocale esordio son poche; si tratta del solito Garage nevrotico e senza compromessi, perversamente bluesato e devoto agli inferi anni ’70 (Stooges, MC5, Count Five), con la chitarra di Turner perennemente fuzzata e la voce di Arm mai così ispirata e giovane.
Si parte subito con “Souvenir of My Trip” e un sospiro di sollievo mi avvolge: si, sono sempre loro! Arricchito da rimbombi di synt e tastiere (che ricordano il fangoso organo di “A Thousand Forms Of Mind” del 1998), esplode con uno degli inconfondibili assoli di Steve Turner, sporco e zeppo di wha wha. Ritmi tribali e bonghetti nel singolo che ha anticipato l’album “Almost Everything”, brano che sarebbe potuto essere tranquillamente su “My Brother The Cow”. Quasi un classico. “Cascades of Crap” sorprende per la strofa tra il Surf e il Country-western alla Calexico, fino ad approdare in un tipico ritornello dei nostri. Basso sintetizzato, riflessi New Wave e atmosfere minimali del primo Nick Cave in “Flush the Fascists”, mentre veloce come un treno “Move Under”, il quale riecheggia tanto gli anni ’90.
Ritmi più sostenuti e paesaggi cupi in “Severed Dreams in the Sleeper Cell” che anticipa i dinamici e inebrianti Garage-Punk di “Here Comes the Flood” e di “Human Stock Capital”. Proprio in quest’ultima da segnalare la poderosa prova vocale di Arm il quale, nonostante l’età, ci da ancora dentro come trent’anni fa. “Tom Herman’s Hermits” e “One Or Two” fanno respirare l’ascolto con i loro momenti più introspettivi al limite della psichedelia, soprattutto “One Or Two”. Ritorno al Garage più scanzonato con “Cry Me an Atmospheric River”, impreziosito da una sognante parte centrale al limite del psych e dal classico degli assoli di Turner. A concludere “Plasticity” con il caratteristico e affermato (negli anni) stile della band e “Little Dogs” che invece ripesca Iggy Pop e lo rende moderno. Cala il sipario.
“Plasic Eternity” è una corsa attraverso tutti i proto-generi del passato ed è perfettamente un disco “alla Mudhoney”. I suoni sono inesorabilmente fuori moda, come d’altronde lo erano anche negli anni ’90, proprio quando era il Seattle Sound ad essere di moda. Rispetto al passato c’è giusto una pulizia maggiore delle chitarre e qualche lieve accenno di stanchezza, ma davvero si può pretendere qualcosa di più da chi ha scritto una pagina di storia della musica mondiale e che continua a comporre musica dopo 35 anni di attività? Si, ora ho la conferma: il Grunge non è mai morto. Bentornati Mudhoney.
Articolo di Giulio Ardau
Track list “Plastic Eternity”
- Souvenir of My Trip
- Almost Everything
- Cascades of Crap
- Flush the Fascists
- Move Under
- Severed Dreams in the Sleeper Cell
- Here Comes the Flood
- Human Stock Capital
- Tom Herman’s Hermits
- One or Two
- Cry Me an Atmospheric River
- Plasticity
- Little Dogs
Line Up Mudhoney: Mark Arm voce, chitarra / Steve Turner chitarra, cori / Dan Peters batteria / Guy Maddison basso
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