I Post Death Soundtrack ci regalano un notevole album indipendente, “Veil Lifter”, uscito il 16 aprile. Ai fan del Grunge non potrà non piacere questo disco, che emula i suoni più cupi della scena di Seattle e li mischia a Doom, Prog e Rock psichedelico. Quello che viene fuori è un sound di un’intensità pazzesca che trasporta l’ascoltatore in un mare di introspezione e spiritualità.
Ma parliamo dei Post Death Soundtrack: la band nasce a Vancouver come duo formato dal cantante e chitarrista Stephen Moore e dal bassista, chitarrista e produttore Jon Ireson. Per questo album la coppia ha introdotto un nuovo membro, il batterista Casey Lewis, che si è occupato anche di mix e mastering.
Rispetto agli album precedenti, la band ha cambiato radicalmente genere: spariscono tutti gli elementi elettronici e i synth presenti nel resto della loro discografia. Si può dire che siano tornati indietro nel tempo, rinunciando alla modernità per ricalcare sentieri conosciuti ma che sono indubbiamente molto efficaci. È un album completamente diverso rispetto a tutti gli altri: è più intenso, più sofferente e più malinconico. Come già dichiarato dal gruppo stesso, infatti, questo nuovo approccio è guidato dai loro eroi musicali, ovvero i “big” del Grunge e del Doom.
Le atmosfere richiamano il rock più oscuro degli anni ’70, ’80 e ’90: pur avendo delle influenze molto chiare, la band riesce comunque a dare un tocco personale a un genere molto caratterizzato. L’album presenta però dei tratti più fusion, riscontrabili per esempio in “Killer Of The Doubt”, dove la parte strumentale strizza l’occhio al Prog Metal e le vocalità restano pulite e chiare. C’è anche qualche tocco thrash, presente soprattutto in “Pin Prick”, in cui la voce si sporca e il ritmo incalza in un sound più hardcore. Le sonorità sono generalmente oscure e drammatiche, i testi introspettivi.
“Icy Underground” è degna di nota. Trasporta in melodie cupe che spaziano tra il Grunge e lo Stoner Metal, un groove lento ma travolgente. “Arjuna’s Hunting Hand” cambia invece totalmente registro all’album, in un Grunge più cavalcante, quasi rock ‘n’ roll, che forse non è del tutto convincente considerato lo spessore emotivo del resto dell’album. C’è un ottimo lavoro sulle singole tracce, ma alcune si perdono nella totalità dell’album. Il tutto resta comunque molto piacevole all’ascolto e non risulta mai noioso.
L’unica pecca è la produzione, forse perché indipendente; perde di qualità soprattutto nella parte vocale, che andrebbe resa più omogenea alla parte strumentale. In ogni caso, dato il richiamo a generi passati, questo non disturba necessariamente l’ascolto e potrebbe sembrare parte dell’esperienza dell’album. Tutto ciò comunque non va mai a discapito della performance del cantante, che è di invidiabile talento e assolutamente centrato in questo genere musicale.
In generale l’album ha un suono organico, poco patinato, che rispecchia perfettamente il genere che vuole riprodurre. Nella totalità “Veil Lifter” è un album che definirei incisivo. Lasciandosi alle spalle il loro caratteristico sound elettronico che era rimasto invariato dal 2008, i Post Death Soundtrack hanno dimostrato di essere capaci di reinventarsi e di avere il coraggio di osare.
Articolo di Marta Mazzeo
Track list “Veil Lifter”
- At The Edge Of It All (Intro)
- The Die is Cast
- Killer Of The Doubt
- Icy Underground
- Arjuna’s Hunting Hand
- Lowdown Animal
- Tide Turns Red
- Burrowing Down the Spine
- Pin Prick
- Immovable
- Hammer Come Down
Line up Post Death Soundtrack: Stephen Moore voci, chitarra / Jon Ireson: basso, chitarra / Casey Lewis batteria
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