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Rick-Wakeman

Rick Wakeman “The Red Planet”

È questo il modo di Wakeman di rappresentare il presente, il suo presente, scevro da ogni velleità sgomitona di contemporaneità, tutto fedelmente assorbito in una musica che non ha tempo

Con l’album “The Red Planet” – in uscita il 28 agosto 2020 – torna il “Wakeman Prog”, e stavolta il tema è il pianeta Marte, ispirato dal fatto che il prossimo anno ricorrerà il cinquantesimo anniversario della prima missione con atterraggio.

Si fa fatica a considerare Rick Wakeman, questa sorta di sacerdote-maestro del Progressive britannico, che compra cavalli dalla regina Elisabetta e si unisce ai cavalieri Templari, come una rock-star. Wakeman è semplicemente un musicista e compositore di enorme spessore e carisma, con una carriera che entra di diritto nella storia del Rock.

Possiamo dire che è una stella del Rock ma non è, né ha mai voluto essere una “rock-star”. Lo conferma una volta di più la stratificata tessitura orchestrale di questo ultimo album, co-prodotto dall’ingegnere del suono Erik Jordan (Il Signore degli anelli, Shakespeare in Love, The Full Monty), cui partecipano strumentisti di razza: il chitarrista Dave Colquhoun (Brian May, Paul Young, Ozzy Osbourne, Procol Harum), il bassista Lee Pomeroy (Steve Hackett, ELO) e il batterista Ash Soan (Del Amitri, Marianne Faithfull, Trevor Horn).

Il soggetto raccontato nelle otto tracce strumentali dell’opera è il pianeta Marte, con i suoi crateri, sterminate distese di rocce in frantumi, canyon con fenditure alte fino a otto chilometri. “Ascraeus Mons” (un vulcano alto più di 18 chilometri) apre l’album con una intro di organo, una sequenza discendente di accordi che avviano la costruzione dello scenario extra-terrestre e sacralmente enigmatico al quale è ispirato il lavoro. Basso e batteria dritti in 4/4 a delineare meglio imponenza e solidità. Colquhoun rovescia un assolo di chitarra elettrica che si intreccia magistralmente con la linea melodica sviluppata dal coro, o meglio, dal corale.

“Arsia Mons” contiene uno splendido segmento di chitarra classica, certo Colquhoun non è Howe ma l’inserimento è perfetto e funzionale all’atmosfera meravigliosamente malinconica e desolata che Wakeman non smette di tracciare sullo sfondo. “Olympus Mons” è il trionfo delle tastiere così come Wakeman le ha consegnate alla storia, con quello stile riconoscibile e personale, in cui si alternano gloria e passione, epica e malinconia, divertimento e disfatta, fraseggi rock 70’s e scale vertiginose, uno stile fortemente apparentato alla musica classica, in particolare quella del periodo Romantico.

La seconda metà dell’album si apre con “The North Plain”, la composizione più suggestiva, con un ingresso di percussioni e reminiscenze himalayane, presto gettate in pasto a un Rock cadenzato e scuro, punteggiato dal synth di Wakeman, con scale guizzanti e fulminee come strali. Pause che si aprono nel brano come crepe abissali sul suolo del pianeta rosso, il tono spiritico dei suoni di Wakeman a suggerirci che quel pianeta è disabitato ma non privo di “presenze”.

“South Pole” è un altro esempio di celebrazione celestiale dello spazio cosmico, pilotato da un suono di flauto assolutamente sublime, una quieta sorgente di fascino, un mistero che non potremo mai misurare. E a esprimere l’incommensurabile in musica (quanti sarebbero capaci di farlo?) ci pensa un fraseggio di pianoforte da brivido: non vorrei ascoltare nient’altro al mondo se mi fosse concessa la possibilità di andare a spasso nel nostro sistema solare. Una composizione perfetta nei suoni, nell’arrangiamento, nell’interplay, nelle armonie. E a dirvi tutto questo è un discepolo del Punk-Rock, non un prog-nerd fissato con le isoritmie e accordi di nona.

A chiudere questo piccolo gioiello è la lunga traccia “Valles Marineris”, con una cavalcata introduttiva un po’ di maniera che però svela ‘progressivamente’ una sapiente sovrapposizione di partiture su cui spicca la chitarra elettrica, come lama scintillante che emerge dal fondo di un enorme pozzo. Nella trama della tastiera affiora un vago richiamo alla poetica e alle fioriture romantiche del precedente album “Six Wives of Henry VIII”. Eppure c’è una dolcezza inedita, un fresco idillio che su quel capolavoro non c’è ed è questo il modo di Wakeman di rappresentare il presente, il suo presente, scevro da ogni velleità sgomitona di contemporaneità, tutto fedelmente assorbito in una musica che non ha tempo.

Articolo di Riccardo Pro

Track list “The Red Planet”

  1. Ascraeus Mons
  2. Tharsis Tholus
  3. Arsia Mons
  4. Olympus Mons
  5. The North Plain
  6. Pavonis Mons
  7. South Pole
  8. Valles Marineris

Line-up

Rick Wakeman – Keyboards

Dave Colquhoun- Guitars

Lee Pomeroy – Bass

Ash Soan – Drums

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