Il 30 settembre 2022 gli Slipknot rilasciano il loro settimo album “The End, So Far” per Roadrunner Records, nonché l’ultimo con questa etichetta con la quale hanno collaborato sin dal 1998. Quando si scrive riguardo a un nuovo lavoro di divinità come gli Slipknot a mio avviso si rischia molto: il terreno è sconnesso, pieno di buche e insidie e si fa presto a cadere. Si rischia di cascare nel banale, nella celebrazione del mito o al contrario nel dare opinioni frettolose del frutto di un lavoro artistico.
Ovviamente è complesso anche dare motivazioni sul perché un lavoro si discosti o meno dai precedenti, sul perché differisce dai canoni che ci si aspetta da questo genere di band, o quello che un fan più old school o un semplice ascoltatore possa volere; cercare di capire ad esempio se quello scostamento è stato fatto per scelte artistiche automatiche e frutto dell’estro, oppure se è il risultato di uno studiato compromesso per dare ad una parte pubblico ciò che vende e/o ciò che si sa può piacere maggiormente. Un rompicapo per chi scrive, fisso nell’idea del principio evolutivo della musica, un’entità quasi a sé stante che per certi versi si espande in maniera indipendente, in quanto forma d’arte, al di là della mano che la crea.
Tornando nei meriti dell’album una delle prime impressioni è che pur avendo una sua atmosfera, pare meno capace di creare quella tensione e quel tiro tipico della band con una trama che sembra sfilacciata e poco coesa. Anche i momenti riflessivi, di solito pregni di pathos al quale siamo stati abituati nelle altre fatiche dei 9, cadono in un loop a spirale che li rendono poco consistenti anche in episodi apprezzabili come “Yen” per esempio.
Le idee messe sul piatto risaltano a macchia di leopardo, in cui si trova una soluzione di continuo solo in alcuni frangenti come “Acidic” e “Hive Mind” e nella più convincente “The Chapeltown Rag”. Tra le note positive c’è sicuramente il lavoro di basso e batteria: dal punto di vista compositivo Venturella e Weinberg dimostrano una capacità e un gusto che spiccano e illuminano, dipanando parzialmente le ombre di alcuni passaggi; basti pensare a “De Sade” e “Adderall”; a questo si aggiunge la prova vocale sul pulito di Corey Taylor che raggiunge un’egregia performance.
Le grandi band per stessa ammissione di Corey Taylor non si muovono mai su una linea retta e questo album è sicuramente un tentativo di rompere l’ennesimo schema, con risultati però claudicanti. Le produzioni degli Slipknot hanno d’altronde sempre portato ad impatti e considerazioni contrastanti a caldo e alcune di esse hanno necessitato di un periodo di decantazione, che spesso solo dopo mesi dall’ascolto e/o anni dall’uscita, gli ha dato la giusta meritata collocazione.
A mio parere questo “The End, So Far” è considerabile come un disco di passaggio, un ponte che collegherà gli Slipknot a un’ulteriore fase tutta da scoprire, con estrema curiosità di chi vuol vedere dove porta.
Articolo di Pierluigi Laurano
Track List “The End, So Far”
- Adderall
- The Dying Song (Time to Sing)
- The Chapeltown Rag
- Yen
- Hive Mind
- Warranty
- Medicine for the Dead
- Acidic
- Heirloom
- H377
- De Sade
- Finale
Line up Slipknot: Corey Taylor Voce / Jim Root Chitarra / Mick Thomson Chitarra / Alessandro “V-Man” Venturella Basso / Jay Weinberg Batteria Sid Wilson DJ / Craig Jones Tastiera, Programmazione Dei Suoni / Shawn “Clown” Crahan Percussioni / Michael Pfaff Percussioni