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The Last Drop Of Blood “The Last Drop Of Blood Season II”

Album musicalmente ricco: dal Blues Rock, si passa al Funk, fino al Rock classico

Tornano, dopo cinque anni, i The Last Drop of Blood, band nata nel 2018 e che il28 aprile hanno immesso sul mercato il secondo album della loro carriera, prodotto ancora una volta da Vrec, casa discografica che, in questi ultimi anni, ha dato vita a progetti davvero molto interessanti (da Andrea Chimenti a Talèa, dai Casablanca al meravigliosa ultimo album di Thomas Frank Hopper, tuti recensiti su Rock Nation). “Season II”, il secondo capitolo (modello serie Tv, come si usa oggi) è un lavoro decisamente più maturo, ricco e coinvolgente dell’esordio. Non che quel disco non avesse queste caratteristiche, ma di certo era più acerbo, meno curato e figlio forse di una strada che si stava cercando. Qua, invece, la direzione è stata trovata, e la band sa dove andare, ed è un bel viaggio quello che ci concedono di fare con queste otto tracce. Anzi, vien da dire che otto sono pure troppo poche, data la tanta ispirazione che c’è in questo nuovo lavoro.

Il primo singolo dell’album, “Blood Everywhere”, vede collaborare con la band Andrea Chimenti che, ancora una volta, dimostra di essere uno degli artisti migliori in attività nel panorama italiano (ascoltatevi il suo “Il Deserto La Notte Il mare”, sempre della Vrec, oppure recuperate il suo omaggio a Bowie… personalmente, però, vi consiglio di prendere tutto quello che trovate di suo). Un singolo che, giustamente, è stato definito come un ritorno all’America desertica e gotica, mood che aveva caratterizzato il primo lavoro. Questo secondo album, però, è più ordinato, meno frastornante del primo, e già da questo singolo, rilasciato un mese in anticipo rispetto al lancio dell’album, lo dimostra e lo si percepisce.

Al lavoro con la band c’è Shawn Lee (celebre per aver operato con artisti del calibro di Jeff Buckley e Amy Winehouse), e la mano si sente. Il singolo, ma così vale per tutto il disco, ha uno straordinario respiro internazionale. Questa frase, solitamente, fa arrabbiare perché dice tutto e allo stesso tempo nulla. In definitiva vuol semplicemente dire che qui, chi suona, non scimmiotta i veri musicisti professionisti, ma suona – perché capace e, allo stesso tempo, ben guidati – come veri professionisti. Per capirci, prendere un album di una qualsiasi rock band italiana anni ’90, ascoltatelo e, poi, mettete su questo lavoro. La differenza è lì da sentire.

Il nuovo album si apre con “Till I’m Buried”, canzone che fa subito breccia perché profuma straordinariamente di Blues e di profondo sud. La chitarra ricorda, solo per assonanza, il miglior Jack White; mentre l’armonica crea subito immagini che vanno dal miglior Sergio Leone, alle atmosfere acide, e perverse, di Breaking Bad. Carlo Cappiotti (voce) ci mette molta grinta, e sporca quel giusto questa bella melodia, tanto da far pensare di essere davvero negli Stati Uniti. A dimostrazione del fatto che, se ci si mette nelle mani giuste, il suono può migliorare. Se poi ci si uniscono delle idee, non troppo complesse, ma ben chiare, il risultato non può che essere soddisfacente. E così questo brano ci immette subito in un mondo musicale che si lega alla tradizione rock-blues degli Usa, pre-rivoluzione di Seattle. Operazione rischiosa, ovvio. Tuttavia, qui non c’è nulla da temere davvero, perché la band regge bene il confronto, non deve imitare nessuno, e procede a barra dritta per la sua strada. Ha semplicemente messo ordine nei suoni che, nel primo lavoro, erano più caotici e meno definiti. Tutto qua. Il salto di qualità è di quelli che fanno la differenza.

“Love Funeral” è davvero una bella canzone. Io scomodo i santi senza alcuna paura. Si tratta di un brano che, cantato da Nick Cave, o Leonard Cohen, non avrebbe affatto sfigurato. E invece è un bene che lo proponga una band giovane, al suo secondo lavoro. Una ballad a tinte blues, cupe, con atmosfere alla Hooper, colonna sonora perfetta per l’ultimo romanzo di Cormac McCarthy (“Il passeggero”… provate ad ascoltarla, mentre ne leggete alcune pagine, poi mi dite). Anche la parte centrale, con un bel “solo” di Michele Martinelli (alla chitarra), come si faceva un tempo, è una bella boccata d’aria fresca. La voce di Cappiotti, poi, nella parte finale, sale, dimostrando di avere margini per il Rock gridato, come nel primo lavoro, ma anche per dare corpo a melodie più intense.

Allo stesso tempo, non dimenticatelo, questo è un album musicalmente ricco. Dal Blues Rock, si passa al Funk, fino al Rock classico. Insomma, c’è molta varietà nelle otto tracce che sorprendono per ricchezza e, allo stesso tempo, per equilibrio. Per concludere, questa seconda stagione dei The Last Drop of Blood convince perché è un davvero un bell’album, e che merita un attento ascolto (una parte si trova sulle piattaforme, mentre per sentirlo tutto serve, come si faceva un tempo, comprare il disco, come è giusto che sia). Credo, poi, che dal vivo queste canzoni trovino la loro vera dimensione e, dunque, non resta che sperare, presto di incontrarli live. Nel mentre, non sbagliate a investire su questo lavoro. Vi divertirete molto ad ascoltarlo.

Articolo di Luca Cremonesi

Tracklist “The Last Drop Of Blood Season II”

  1. Till I’m Buried
  2. Love Funeral
  3. Postcards From A Ghost Town
  4. Feelin’ Good
  5. Thirty Holes
  6. Don’t Let Your Head Keep Telling Lies
  7. What If
  8. Blood Everywhere (Season II Theme)

The Last Drop Of Blood online:
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