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Vinicio Capossela “13 Canzoni urgenti”

Il carattere d’urgenza è il filo rosso che lega tutto questo nuovo disco

Il 21 aprile, con presentazione live in anteprima a Milano il 20 aprile al Teatro Dal Verme, esce il nuovo lavoro di Vinicio Capossela, e cioè “13 Canzoni urgenti”, fuori su Parlophone. Un album (in)atteso perché di fatto fu annunciato, per la prima volta, al live natalizio al Fuori Orario in quel di Taneto di Gattatico (RE). Vi faccio ascoltare una delle canzoni urgenti che a breve usciranno,disse durante il suo tradizionale concerto di Natale, show che da oltre 20 anni va in scena in questo magico Arci della Bassa Padana.

Il carattere d’urgenza è il filo rosso che lega tutto questo nuovo disco, e vedremo di capirne il perché. Ciò che conta dire subito, infatti, è che si tratta di un album da valutare tenendo ben distinti i due fronti: quello delle parole, e quello della musica. L’urgenza, infatti, ha forse penalizzato un poco l’aspetto della ricerca musicale, pur se, a onor del vero, negli ultimi due album c’era già stata una naturale inflessione rispetto al filotto che va da “Il Ballo di San Vito” fino a “Canzoni della Cupa”. Allo stesso tempo, va ricordato che i nuovi testi sono, senza tanti forse, fra le cose migliori scritte in questi ultimi anni dal cantautore irpino.

Bisogna comunque fare una breve premessa, mi spiace. Serve davvero dare atto, infatti, a Vinicio Capossela di esser stato fra i pochi che, durante la Pandemia, ha lavorato in ogni modo possibile per resistere e alleviare un poco, a tutti noi, quello che si stava vivendo. Ci ha fatto compagnia; ha realizzato concerti online; non si è mai dato per vinto, e ha messo in scena tre tour, uno più bello dell’altro. Anzi, prima che esplodesse il tutto, nel 2019/2020, Capossela stava portando in giro per lo Stivale “Ballate per uomini e bestie”. Personalmente ho fatto in tempo a vedere due repliche di quella tournée, sospesa poi causa Covid. Uno stop che ha sicuramente cambiato tutti i piani di Capossela, come anche i nostri, d’altronde. In quella serie di concerti c’era il Vinicio più politico di sempre. Era un live di grande impegno sociale, civile e civico, nel senso nobile dei termini in questione. Nel 2020, invece, Vinicio portò in giro – dove si poteva – uno show costruito solo con il fedele Vincenzo Vasi; realizzando un concerto di fatto senza band, ma con molti suoni in scena.

Poi, nel 2021, fu la volta della serie di concerti dedicati a Dante. Non so se questi fossero stati già in previsione prima del Covid, ma resta il fatto che si è trattato di una delle tournée più belle che Capossela ha realizzato nel corso della sua carriera (e chi scrive le ha viste tutte, dal 1997 a oggi). Nel 2022, invece, si è presentato sui palchi con una serie di concerti per celebrare i 30 anni di carriera. Accanto a lui, con sorpresa, una band minimale, con capobanda Antonio Marangolo che ha riletto con grande sapienza le prime canzoni. Il risultato? Magnifico (la nostra recensione). Insomma, questo per dire che lo sforzo musicale, per Capossela, non è venuto meno nel triennio del Covid. Il musicista, dunque, non si è affatto adagiato sugli allori.

Ora, invece, Capossela arriva lungo, e in palese ritardo rispetto ai suoi colleghi e alle sue colleghe. Non ha fatto come tutti, e cioè un album pronto a battaglia finita. Capossela ha aspettato. Poi, complice l’urgenza, ecco un nuovo album. Annunciato sul finire dell’anno, e pronto, in varie salse (cd, vinili colorati di varia tiratura), per la primavera. Il perché è presto detto (da Vinicio, ovvio): il 2022 è l’anno in cui è scoppiata la guerra in Europa. Dopo la Pandemia, la guerra, dunque. E tutto quello che ne consegue. Ecco, da lì, da quell’evento, nasce l’urgenza che porta Capossela a scrivere di getto (d’urgenza, appunto) il nuovo lavoro.

Una volta ascoltato con attenzione, mi sono convinto che i testi siano tutti figli di quest’epoca (2022). Basta immergersi in quelle parole per capirlo. È fin troppo chiaro. Non sono più i testi brevi, figli di Jarry e Tom Waits, declinati poi dal modus operandi di Paolo Conte, e dal cantautorato classico. La svolta, lo sappiamo bene, ormai c’è stata ai tempi di “Ovunque Proteggi”, poi affinata con “Marinai, profeti e balene”. Da lì non si torna più indietro.

Diversa, invece, è la questione musicale. Chi prenderà in mano questo lavoro, infatti, ascolterà molto del Vinicio che già conosce. Alcuni suoni sono proprio già sentiti; altri sono variazioni e rielaborazioni già note. Anche qua, però, serve essere onesti. Battiato sappiamo che non avanzava nulla; di altri, invece, è noto che ci sono accumuli in studio (perché è lì che il musicista lavora davvero, non altrove). Capossela è decisamente fra questi. Il lavoro in studio è prezioso, e i suoi archivi devono essere forzieri ben pieni di suoni di ogni sorta. C’è dell’abbondanza, dunque, che permette al Nostro di affinare, quanto messo via nel tempo, e costruirci sopra i testi. Il tutto per produrre buona musica, senza dover innovare per forza.

E così, ascoltando queste 13 composizioni, ritroviamo molto del Capossela amato in “Canzoni a Manovella”, ma anche nel misterioso “Da solo”, l’album meno frequentato live dallo stesso autore. Soprattutto, fatemelo dire, si sente molto il mood degli ultimi due lavori, e cioè “Ballate per uomini e bestie” e il brevissimo “Bestiario d’amore”. Pertanto, io non mi soffermerei troppo sulla musica di queste nuove canzoni, se non per dire che sono 13 brani tutti diversi, che mescolano ballate, cha cha cha, rock, musica popolare, passando per voci che è un piacere ritrovare, come quella di Mara Redighieri degli Üstmamò. Poi, dentro, c’è davvero tanta gente che vi suona, come il chitarrista Marc Ribot, il fedelissimo Mauro Ottolini, Alessandro “Asso” Stefana, Giancarlo Bianchetti (primo storico chitarrista), Vincenzo Vasi, Zeno De Rossi e tanti altri. Insomma, c’è tutto l’universo musicale di Capossela al gran completo, e anche di più. Quindi, i fans sono davvero stati accontentati. Un po’ meno quelli che vogliono a tutti costi la novità. Per lamentarsi poi della stessa, ovviamente. No, in questo nuovo album, sia chiaro, c’è il Capossela musicista che ben conosciamo, e al quale siamo abituati. Nessuna sferzata sul modello di “Ovunque Proteggi” e “Canzoni della Cupa”.

Sui testi la questione invece è diversa. Siamo in presenza di un Vinicio Capossela che vuole dire la sua. Vuole far sapere come la pensa. L’urgenza, parola chiave del nuovo album, dunque, è questa. Ed è sostenuta da una consapevolezza che condivido. L’arte, e gli artisti, ci devono essere quando c’è una crisi. Troppo comodo scappare e restare isolati. Serve sporcarsi le mani. Credo proprio che Capossela abbia ragione. Questi tredici brani, scritti fra febbraio e giugno 2022, sono stati composti tutti insieme, generati da un sentimento di urgenza nata dal pericolo e insieme dalla necessità di opporvi una reazione in affermazione della vita. Sono diretta conseguenza del momento storico che stiamo vivendo, momento che faccio partire dall’osceno plauso in Senato alla bocciatura del progetto di legge contro i reati di odio e discriminazione razziale (ottobre 2021). Momento storico in cui diritti costantemente elusi, ma permanenti nella loro urgenza di soluzione, dallo ius soli al diritto di scegliere il fine vita, rimangono privi di un riconoscimento,ha dichiarato il Nostro presentando il lavoro. Dobbiamo, dunque, credergli. Sulla parola.

Al netto dei due singoli già usciti, e cioè “La crociata dei bambini”, dedicata all’innocenza dei più piccoli che muoiono nelle guerre, o fuggendo da queste; e “La parte del torto” (brano che ricorda molto “Dalla parte di spessotto”, uno dei vertici del Capossela patafisico) che è una canzone che dà una bella strigliata ad una certa idea di sinistra (un poco come “Il lungo sonno” de Il Teatro degli Orrori), il resto è davvero un bel condensato di analisi e letture delle magagne che ci troviamo ad affrontare quotidianamente. Semplifico, ma qui davvero Capossela non scherza. Il valore di questo album, sui testi ripeto, è alla stregua dei grandi lavori dei nostri classici italiani, da “Radici” di Guccini a “Gli spari sopra” di Vasco Rossi; da “Riportando tutto a casa” dei Modena City Ramblers, fino ad “Anime Salve” di De André; da “Linea Gotica” dei C.S.I fino a “Il Mondo Nuovo” del Teatro degli Orrori, e l’elenco sarebbe lungo. Lavori, dunque, dove l’attualità, nel più nobile dei suoi significati, fa parlare e cantare di sé.

Come sempre noi scegliamo alcune di queste tredici canzoni, come esemplificazione di un lavoro molto ricco. Il disco si apre con “Il bene rifugio”, brano classico, che ricorda le prime canzoni di Vinicio. L’amore vince, sempre. Messaggio iniziale, e dunque anche finale di questo album. L’amore e la bellezza. Uniche vere armi atomiche da utilizzare; soli e veri beni nei quali possiamo sempre trovare rifugio. Anche in questi tempi oscuri. Un tema caro a Capossela che, in vario modo, ce lo ha declinato in tanti brani che risuonano in questa prima traccia (“Una giornata senza pretese”, “Ovunque proteggi”, “Con una rosa”, cito a braccio). Senza scordare, però, che quando Vinicio torna a suonare il piano, è sempre un vero piacere, e le sue canzoni migliorano, immediatamente (riascoltate “Live in Volvo” e capirete).

“All you can eat”, con Marc Ribot alle chitarre (per me basterebbe questo per farne il pezzo migliore dell’album, ma non è così…), è un brano che sembra arrivare dagli anni ’90. Se dovessi scommettere, sarei pronto a dire che questo è davvero uno scarto (all’epoca) de “Il ballo di San Vito”. Tuttavia, come si diceva, è molto più probabile che la musica sia rimasta negli archivi, per poi essere ben mescolata con questa famelica libertà che siamo obbligati tutti a vivere.

Lo stesso accade con “Gloria all’archibugio”, brano rumoroso, figlio dello stile che si rifaceva a Tom Waits. In questo caso, però, la canzone non potrebbe essere nata separata da questo testo ricco di parole e di pensiero. Un brano storico, che porta inevitabilmente a pensare ai moderni fabbricanti di armi e, dunque, alla guerra. Tuttavia, la costruzione del brano sembra quasi un pezzo a tinte liriche, dove il canto camuffa senso e significato. Un Vinicio in grande forma, con cambi di ritmo, di timbrica e di melodie. A chi piace il Capossela caciarone e danzante, questa produzione solitamente lascia l’amaro in bocca. Chi ama ascoltare, invece, qui ha da divertirsi.

Personalmente, in conclusione, ritengo però che “La parte del torto” e “Staffette in bicicletta” (cantata con Mara Redighieri) siano i pezzi che resteranno nell’immaginario e nel canzoniere dei fans, e questo ovviamente per i temi che trattano. Poi, come ci ha abituato il cantautore in tutti questi anni, il brano che pone termine all’album è sempre il classico per eccellenza. La chiusura del sipario. La fine dello spettacolo. In questo, davvero, Capossela è sempre stato maestro. Prendete in mano i suoi dischi, e ascoltate, di fila, solo le ultime tracce. Solo quelle. E vedrete che “Con i tasti che ci abbiamo” è un modo meraviglioso per salutarci. Allo stesso tempo, è la canzone che chiude il cerchio.

L’amore e la bellezza ci salveranno. Vero. Gli artisti lo faranno con i loro mezzi, come d’altronde lo sapranno fare i musicisti. Se poi, di formazione, sei un pianista, allora saranno davvero solo i tasti bianchi e neri, a salvarci.

Articolo di Luca Cremonesi

Track list “13 Canzoni urgenti”

  1. Il bene rifugio
  2. All you can eat
  3. La parte del torto
  4. Staffette in bicicletta (feat. Mara Redeghieri)
  5. Sul divano occidentale (feat. Bunna, Sir Oliver Skardy, Raiz)
  6. Gloria all’archibugio
  7. Ariosto Governatore
  8. La crociata dei bambini
  9. La cattiva educazione (feat. Margherita Vicario)
  10. Minorità
  11. Cha cha chaf della pozzanghera
  12. Il tempo dei regali
  13. Con i tasti che ci abbiamo

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