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AAVV “Quando il ROCK si chiamava POP”

(e ci scambiavamo i dischi per strada)

Ecco un libro che mi ha incuriosito notevolmente fino dal momento in cui l’ho individuato fra gli scaffali della libreria. Sulla copertina sono raffigurati alcuni leggendari album degli anni ’60 e ’70, un periodo aureo nella storia del Rock, che sulla scorta dei grandi cambiamenti sociali di quell’epoca, si vide coinvolto anch’esso in un profondo rinnovamento. L’evoluzione degli stili di quel periodo fu talmente variegata che risultava complesso identificarla in un unico nome. Un’ondata di nuove prospettive che ha influenzato non solo il genere ma la stessa idea del fare musica. Il concetto di canzone stereotipata dai classici tre minuti usa e getta, mutò la sua forma in una musicalità più evoluta e non bastava più il termine “Rock” a includere questo crogiolo di sonorità nuove e dirompenti.

È allora che l’appellativo “Pop” divenne una sigla nella quale si collocava tutto questo fermento di nuove sonorità. In questo termine trovava spazio ogni genere, dal cantautorato alla canzone più impegnata. Prima di allora, ogni giovane si identificava in una specifica cultura musicale, desiderando trasmettere ad altri questo suo modo di pensare, soprattutto attraverso lo scambio dei dischi o delle musicassette (ndr). Nel contesto di rinnovamento che seguì, questa tradizione è proseguita ma era evidente che la percezione monolitica dei generi fosse mutata.

Questa è l’idea di fondo da cui nasce il testo “Quando il ROCK si chiamava POP”, pubblicato il 18 novembre 2022 da Arcana. Un gruppo di amici, R. Ceresini, R. Sirocchi, F. Bolsi, El Grifo, A.M. Sirocchi, cinque parmigiani doc, appassionati di quel periodo storico, hanno sviluppato idee e sensazioni diverse che li hanno portati a accese discussioni e allo scambio di dischi, rendendo quel periodo degli anni ’70 formativo anche delle loro personalità. Tutto ciò li ha ispirati a trasferire su carta alcuni dei loro innumerevoli dibattiti, senza velleità giornalistiche, ma con il preciso intento di far rivivere certe emozioni e trasmetterle magari anche alle nuove generazioni.

Il libro si lascia leggere piacevolmente attraverso questo racconto costellato da riflessioni, idee anche ironiche e articoli. Il tutto raccontato in una forma semplice e fruibile, un bel pregio del volume, poiché aldilà degli aspetti musicali relativi ai lavori di cui si va a raccontare, traspare il coinvolgimento emotivo che ognuno degli autori ha voluto comunicare al lettore fra le righe.

La prima delle quattro parti in cui è suddiviso il testo, riguarda i cosiddetti “Graffiti”, con illustrazioni di Roberto Sirocchi, che raccolgono considerazioni di importanza capitale sui personaggi musicali raffigurati.
Si passa poi al secondo capitolo, il più consistente, dove gli autori descrivono attraverso loro liberi pensieri album e artisti dell’epoca. I musicisti vengono menzionati in ordine alfabetico. Salta subito agli occhi l’enorme amore dell’autore Franco Bolsi per i mitici Beatles, ai quali sono dedicati ben tre paragrafi. In particolare, nella sezione denominata Primo Amore si cita la profonda evoluzione del gruppo che negli anni li portò a allargare il loro orizzonte delle liriche, passando dalle canzoni d’amore a testi più introspettivi e viranti verso il sociale. Si narra anche di un’avanguardia nascente, dall’uso incisivo dell’organo Hammond da parte di Brian Auger, alla ricerca vocale di un fine cantante come Chris Farlowe.

Molto toccante il paragrafo riguardante David Crosby, da poco scomparso, il cui album del 1971 “If I Could Only Remember My Name” viene definito da Bolsi, a ragione, uno dei dischi più interessanti di tutto il panorama country rock americano; viene ricordata la sua voce splendida usata quasi come uno strumento. La lista di leggende che trovano spazio nei racconti di Bolsi, come per esempio Eric Clapton, Fleetwood Mac e Rolling Stones è davvero consistente e variegata e si lascia scoprire pagina dopo pagina.
Sempre dalla stessa sezione mi piace però citare, data la mia passione per il Prog, un excursus di Roberto Ceresini sul gruppo East of Eden, da me considerati una leggenda di tale movimento, che invece l’autore mi ha fatto riconsiderare in un’altra veste, quella di una musicalità multietnica, raffinata, quasi filosofica; questo dimostra che non esiste la catalogazione assoluta di una band in un genere e ancora di più quanto sia forte il messaggio che la musica può trasmettere.

Molto belli, in questa ottica, anche i paragrafi dedicati ai King Crimson da Bolsi e l’omaggio di El Grifo a un brano dei Van Der Graaf Generator che adoro, ovvero “Refugees”. Partendo dalle liriche del pezzo, l’autore racconta dettagliatamente alcuni aspetti che contraddistinguevano la vena del gruppo britannico uniti ad un testo quanto mai attuale, con uomini e donne in fuga volontaria o imposta da un mondo ostile. Condivido pienamente il suo pensiero quando afferma che il motivo è un capolavoro da ascoltare e riascoltare; infatti, ogni volta questo brano mi comunica un’emozione nuova.

Fra le storie di tanti gruppi o artisti arriviamo così, agevolmente, dato il piacere della lettura, al terzo capitolo del volume, quello riservato ai concerti. Una frazione del testo meno consistente a livello di pagine, quaranta, cionondimeno interessante. Vengono menzionate le storie e le vicende di dieci importanti live attraverso la penisola. Cito i Colosseum, ma soprattutto i Genesis a Verona il 9 aprile 1972, in una delle prime loro date italiane per presentare il loro leggendario album “Nursery Crime”. Emozioni indescrivibili e brividi a fior di pelle nel ripensare all’esecuzione di “The Musical Box”. Si dà spazio anche per chi all’epoca sosteneva con forza e coraggio, date le risorse non sempre ottimali, questi eventi, come ad esempio la rivista Ciao 2001, una dei più importanti progetti editoriali negli anni ’70 e vera e propria bibbia per gli amanti del Rock. Ancora l’autore El Grifo che ci racconta i King Crimson a Udine nel 1974 e Ceresini che ricorda in un paragrafo i Jethro Tull, insolitamente ascoltati nella magia di un’atmosfera sacrale nella chiesa di San Vitale a Parma poco prima dell’inizio del triste periodo contrassegnato dalla pandemia. Abbiamo quindi nel testo qualche passaggio a epoche più recenti che fa capire come questi artisti abbiano saputo tramandare nel tempo il loro messaggio musicale, lasciando una traccia indelebile. Mi riferisco anche al fantastico concerto di Bob Marley a Milano il 27 giugno 1980, paragrafo denominato “San Siro e il Reggae” e la più attuale esibizione di Roger Waters a Lucca nel 2018.

E si giunge così al quarto capitolo, la parte conclusiva del libro, Memorie e Riflessioni. Anche qui citazioni a ruota libera e pensieri su artisti dagli stili più differenti possibile, come AC/DC, il grande Frank Zappa o disquisizioni sul Punk e sul fenomeno Sid Vicious. Si cita fra l’altro il video del brano “My Way” dei Sex Pistols, cover di una famosa canzone di Frank Sinatra rivisitata in una particolare e stravolgente versione.
Fra queste riflessioni, sono degne di menzione quelle che ci riportano a atmosfere vissute in quegli anni: la sala giochi, il Juke box con la monetina da inserire che trasportava in un mondo da sogno, il flipper e le interminabili giocate mentre un altoparlante diffondeva le fantastiche note di “Whole Lotta Love” dei Led Zeppelin. Trova spazio ancora un’immagine toccante e piena di sentimento: un ricordo struggente di Rodolfo Maltese, chitarrista del Banco, raccontato da Alberto Maria Sirocchi. L’autore lo definisce, in una tesi che mi trova perfettamente concorde, un musicista dalle molteplici identità musicali, una notevole esemplificazione del concetto di orchestra. In una serata di beneficienza che vedeva coinvolti altre colonne del Prog come il compianto vocalist Francesco Di Giacomo e Bernardo Lanzetti (ex Acqua Fragile e PFM), Maltese, già alle prese con la sua terribile malattia, fu capace ancora di un’interpretazione sublime come solo i grandi sanno fare. Una bellissima testimonianza.

Sebbene forse il volume racconti un concentrato di artisti così diversi nelle personalità e stili musicali, questa caratteristica non sembra creare particolari criticità alla lettura. L’intento principale dell’opera non è infatti quello di generare catalogazioni o raccontare biografie, ma trasmettere attraverso il vissuto degli autori una serie di sincere emozioni e tale scopo mi pare perfettamente centrato. La lettura scorrevole e suggestiva del testo mi permette di esprimerne considerazioni assolutamente positive e di consigliarlo vivamente. Nel volume ho potuto infatti riscoprire tante pagine storiche della cultura musicale a cui sono affezionato e questo viaggio nei ricordi mi ha suscitato sensazioni intense. Trovo che anche le nuove generazioni possano cogliere nello stile frizzante con cui sono raccontati i vari aneddoti uno spunto interessante per capire alcune dinamiche che hanno contribuito a formare la musica dei nostri giorni.

Articolo di Carlo Giorgetti

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