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Donne del Folk

Chiara Ferrari “Le Donne Del Folk”

“Cantare gli Ultimi. Dalle Battaglie di ieri a quelle di oggi.
Da Almeda Riddle e Joan Baez a Michelle Shocked, da Miriam Makeba e Juliette Gréco a Teresa De Sio e Ginevra Di Marco”

Il 23 settembre 2021 è uscito per Interno4 Edizioni “Le Donne del Folk. Cantare gli ultimi. Dalle battaglie di ieri a quelle di oggi”, preziosa opera della scrittrice piacentina Chiara Ferrari – già autrice nel 2014 di “Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati” – che racconta a parole e immagini la storia di quarantasei cantautrici e interpreti in tutto il mondo, che si sono fatte carico del compito di raccogliere e diffondere la tradizione culturale e musicale del proprio territorio. 

A partire dalla metà del Novecento, grazie a un’incessante lavoro di ricerca, archiviazione, registrazione e memorizzazione, le figure femminili del folk sono state responsabili della trasmissione di un universo di sapere e storia che altrimenti sarebbe andato perduto: il mondo contadino e operaio, l’emigrazione, le proteste che scossero intere nazioni hanno trovato voce e futuro attraverso i testi, le musiche, i canti che ne hanno narrato la storia.

Il libro è diviso in tre sezioni; la prima è un vero e proprio giro intorno al mondo del Folk, ci sono l’America Latina di Violeta Parra e Mercedes Sosa, l’Inghilterra e Shirley Collins, gli Stati Uniti con Odetta Holmes, Nina Simone, Judy Collins e Joan Baez, il Portogallo, il Fado e Amália Rodrigues e, naturalmente, il Sudafrica e Miriam Makeba, ma anche l’Egitto con Oum Kalthoum, la Grecia con Maria Farantouri e la Francia con Juliette Gréco, solo per citarne alcune. Non manca nella seconda parte, uno sguardo all’Italia: Giovanna Daffini, Giovanna Marini, Maria Monti, Caterina Bueno, Gabriella Ferri, Rosa Balistreri e poi Teresa De Sio e Ginevra Di Marco.

Chiara Ferrari compie un viaggio nello spazio, sì, ma anche nel tempo: nella terza e ultima sezione, da voce narrante delle vite delle tantissime donne – artiste, cantanti, musiciste, ricercatrici, e studiose – che dal secolo scorso in poi hanno tradotto questo sapere in musica, cambia veste e ci accompagna attraverso una serie di interviste alle cantautrici del folk odierno, quello che dipinge l’Italia del presente, con tutte le sue contraddizioni sociali, politiche e culturali, e ne preserva le tradizioni più antiche, lingue e dialetti compresi.

È una lettura illuminante e appassionante, che restituisce giustizia e riconoscimento a un atto d’amore di cui forse non sapevamo del tutto a chi essere grati, ma di cui ha beneficiato nel tempo la musica tutta, e non solo essa. Ritratti di donne coraggiose; che in virtù del loro sacrificio reclamano memoria; donne che si mettono al sole e mostrano il dolore e l’umiliazione. Donne vere che non nascondono, dietro le sbarre di un carcere, le loro vite al margine. Donne che devono vincere l’ossessione della perfezione perché la perfezione è un soffitto di vetro. Donne dalle tante identità da svelare.

Abbiamo rivolto qualche domanda all’autrice, per sentire dalle sue dirette parole come e perché questo progetto abbia preso vita.

Com’è nata l’idea di scrivere un libro sulle donneprotagoniste del Folk?

L’idea di scrivere un libro dedicato alle donne del folk è nata qualche anno fa, a seguito di una serie di scritti sul tema pubblicati su Patria Indipendente, periodico dell’ANPI nazionale con il quale, dal 2016, avevo cominciato la mia collaborazione giornalistica. L’allora direttore Gianfranco Pagliarulo mi suggerì di esplorare questo argomento attraverso un recupero delle biografie e delle incisioni delle artiste che si erano distinte negli anni del folk revival. Da quel primo spunto la ricerca si è allargata, dall’Italia al resto del mondo, supportata da alcune motivazioni: ricostruire e divulgare la memoria di interpreti e cantautrici le cui vicende biografiche e artistiche rischiavano di sparire, mancando una documentazione del loro lavoro di ricerca e di produzione musicale, e ridare loro voce. A loro, che si erano spese per le istanze degli ultimi, quelli che una voce non l’avevano mai avuta; a loro che si erano fatte carico delle ragioni degli emarginati e dimenticati della Terra.

Ritrovare in tante parti del mondo, Stati Uniti, America Latina, Africa e Medio Oriente, Europa, un numero così importante di artiste – studiose, ricercatrici, cantautrici, interpreti – legate da questo comune intento mi ha indotto a proseguire scandagliando affinità e comunanze, per arrivare a una serie di riflessioni sul valore specifico delle donne in questo contesto. L’attenzione al dato umano, l’atteggiamento empatico, la vicinanza al prossimo, la capacità di solidarizzare e di entrare in relazione con persone appartenenti a classi sociali anche molto umili, disperati o invisibili, le stesse – ultime tra gli ultimi – dalle quali molte di loro provenivano, hanno reso il loro lavoro di ricerca e di trasmissione del patrimonio popolare, straordinario. Coraggioso, mosso da autentica condivisione e compartecipazione, perché chi da sempre è emarginato sa ascoltare gli ultimi.

Altre scoperte non hanno ancora smesso di appassionarmi.  Il fatto, per esempio, che molte di queste artiste siano state protagoniste nei momenti più drammatici del loro Paese, sconquassato da rivolte, dittature, che hanno fronteggiato, cantando, militando, rischiando censure, esilio, la vita stessa. Sempre dalla parte degli oppressi. Il fatto che il recupero della canzone popolare nascesse da una identica missione: restituire dignità alle classi sociali più emarginate, per elevarle e renderle consapevoli di una propria specifica cultura. Farsi, così, strumento di un cambiamento, una rivoluzione sociale per il diritto all’uguaglianza. Il fatto che per queste artiste il folk fosse un’attitudine: espressione di libertà e denuncia delle discriminazioni; resistenza alle dittature; racconto della marginalità; ricerca delle origini di un popolo; autenticità e ritorno alle tradizioni, alle radici; grido di rabbia; protesta, rivoluzione dal basso; canto necessario, voce collettiva. Consapevolezza di una eredità, di ciò che, con le parole di Teresa De Sio, “non smette mai di dire quello che non muta e dà radici al mondo”.

Ho cercato, poi, accordi e comunanze con le voci di oggi, con l’intenzione di far emergere esperienze di contaminazione tra passato e nuove istanze. A quel punto si è completata l’idea di un libro che raccontasse la storia al femminile di questo complesso universo musicale, il folk, dal punto di vista geografico e di evoluzione nel tempo. 

Tra le figure femminili che descrivi nel libro, in molti casi troviamo interpreti, in tanti altri cantautrici; che si trattasse di brani inediti o di canti della tradizione reinterpretati, sono sicuramente serviti a dare voce al legame forte, viscerale, imprescindibile con il contesto sociale, culturale e politico che faceva da sfondo all’attività musicale dell’epoca. Credi che questo legame sopravviva ancora? Il cantautorato folk del presente è ancora in qualche modo voce di protesta?

Credo di sì, credo di aver individuato queste artiste anche per il loro impegno di protesta sociale, seppure meno urlata di quanto fosse negli anni Sessanta o Settanta.  Si affronta il tema della mafia che entra nella quotidianità di una vita semplice, quella di una figlia che vede accusato il padre, e la distrugge: ne parla Cristiana Verardo in Non potevo saperlo. Si parla del diritto allo jus soli, di discriminazioni razziali e di doppia discriminazione: l’essere donna e l’essere nera. Della rabbia e dei problemi di integrazione e di identità delle seconde generazioni si fa carico Karima DueG.

Del tema della violenza sulle donne, ma anche del loro riscatto si fanno portavoce in tante. Tra queste Francesca Incudine con canzoni come “Mi metto o suli”. O Cristiana Verardo che ricorda figure femminili dimenticate, lasciate in secondo piano dalla Storia, come la sorella di Mozart, protagonista della canzone “Nannerl”. Parità di genere, femminismo come strumento di consapevolezza e di azione per l’autonomia e l’emancipazione delle donne sono temi cari a Rachele Colombo. Come l’inclusione sociale, la biodiversità, la realtà transgender, il diritto a essere se stessi, al di là di ogni etichetta di genere, razza o credo. C’è il racconto della marginalità e la voglia di darvi voce, con le canzoni di Agnese Valle, come L’altra metà, nata da un progetto sociale nel carcere di Rebibbia. 

La lotta per la difesa dell’ambiente che mette di fronte alla mancanza di coscienza ambientale è presente nei testi di diverse autrici. Come anche il contrasto all’indifferenza verso disparità e disuguaglianze. Del dramma dell’emigrazione, dei migranti e delle loro tragedie umane ne parla Giovanna Marini che scrive Cantata a Riace sulla vicenda di Domenico Mimmo Lucano e l’esperienza di integrazione in quel borgo della Calabria.

Credo che una forma di protesta sia anche la strenua difesa del dialetto come patrimonio da salvaguardare contro l’omologazione linguistica imperante. Un lavoro che portano avanti in tante: Elsa Martin e le variopinte sfumature del friulano, Eleonora Bordonaro, con il gallo-italico e la lingua dei canti arbëreshë, Claudia Crabuzza e il catalano di Alghero, Rachele Colombo e il veneziano antico, Sara Marini e il dialetto umbro. Ma anche Ginevra di Marco che canta il folk di tutto il mondo. Negli Stati Uniti Michelle Shocked non smette di battersi contro le piattaforme digitali che riconoscono ai musicisti un misero valore economico sui diritti d’autore.

Le storie che racconti ritraggono donne brillanti, intelligenti, curiose, coraggiose, che hanno dovuto lottare per essere libere, che hanno sofferto, che hanno esplorato la vita attraverso il canto, la musica, le storie; tra tutte queste figure incredibili ce n’è una che ti ha colpito maggiormente? 

Difficile rispondere a questa domanda perché ognuna di queste artiste ha lasciato un segno, mentre ne scrivevo, ne ricercavo notizie, ne ascoltavo le voci. Tra le più emozionanti non si può non menzionare Rosa Balistreri per il suo percorso di vero e proprio riscatto attraverso la musica, con cui ha trasformato una vita segnata dalla violenza, sociale e domestica, dalla miseria e dall’ingiustizia, nella forza di una voce con cui ha potuto cantare delle disgrazie della sua terra, la Sicilia di Mafia e Parrini, dei soprusi a cui erano costretti i poveri jurnatari come lei, lavoratori senza diritti e perennemente sotto ricatto se donne.

O di Giovanna Daffini che, con tanta dignità, ha portato sul palcoscenico se stessa, la sua vita di lavoratrice umile – una mondina -, di donna e di artista che ha dovuto abbattere tanti stereotipi. Lei, che non era professionista ma con una voce unica e inimitabile perché temprata dalle acque gelide dei campi di riso, era disprezzata da un marito diplomato violinista che la faceva sentire inadeguata. Invece è anche grazie a lei che i canti delle mondine sono giunti a noi, insieme alle loro lotte e alle rivendicazioni per i diritti sul lavoro, alla storia di emancipazione femminile che ha avuto come collante il sentimento della sorellanza, come hanno ricordato anche le mondine del Coro di Novi che oggi cantano e rinnovano quel repertorio.

Colpiscono fortemente anche le vicende delle artiste che, al contrario di quelle appena citate, provengono da classi sociali molto elevate. Come Daisy Lumini, figlia di un pittore ebanista che ottenne grande fama nella Firenze degli anni Sessanta e di una madre di origini nobili. Diplomata al Conservatorio in pianoforte e canto, avviata a una carriera stellare nel mondo della musica, approdata presto alla RCA come autrice e richiesta dalle maggiori trasmissioni musicali in Italia e all’estero, rinunciò al successo e a quel mondo scintillante. Il sistema del marketing l’aveva trasformata nello stereotipo della brunetta sexy, che non le apparteneva, anzi la umiliava. Scelse di dedicarsi alla canzone popolare e scelse di essere se stessa.

Guardando fuori dall’Italia, l’impresa di Violeta Parra, madre del folk mondiale, è quella gigantesca di una figura leggendaria. Profetica e visionaria, i suoi tanti progetti, tra cui un’Università del Folklore, furono sempre ostacolati, il suo impegno dalla parte della povera gente perseguitato, impedito. Politicamente pericoloso. Ancora oggi in pochi conoscono ciò che è stato davvero il suo lavoro, come ricorda Claudia Crabuzza, che ne ripercorre il repertorio, e le artiste come Elena Ledda, Joan Baez, Gabriella Ferri, che l’hanno celebrata e la celebrano cantando la sua “Gracias a la vida”. 

Attraverso le interviste nell’ultima parte del libro, conosciamo meglio voci e personalità del Folk italiano femminile più recente; guardandosi attorno, tante cose sono apparentemente cambiate rispetto al passato, tante altre invece non sembrano essere andate molto lontano. C’è ancora bisogno di difendersi, di ribellarsi, c’è ancora questa insostenibile necessità di dimostrare quanto valiamo, in qualsiasi ambito. Ho adorato la frase: “Donne che devono vincere l’ossessione della perfezione perché la perfezione è un soffitto di vetro”. Cosa credi che canti (o vorrebbe cantare), oggi, la voce delle donne?

La voce delle donne mai come oggi credo si sollevi per affermare principi e per denunciare situazioni in cui esse sono ancora discriminate. Come fa Francesca Incudine che racconta di donne che subiscono la violenza più atroce e subdola, quella dei mariti e compagni che scambiano l’amore con il possesso e agiscono da padroni sui corpi delle donne. Nelle sue canzoni incoraggia a reagire. O Karima DueG che affronta il tema dell’immaginario bianco che sulla donna nera ha costruito lo stereotipo della prostituta. 

Oppure mettono in luce situazioni in cui le donne stanno perennemente in guerra: con il mondo esterno e con quello interiore, uno specchio che restituisce un’immagine distorta dalla paura di non essere all’altezza, come racconta il “Com un soldat” di Claudia Crabuzza. Donne impossibilitate ad andare al di là del soffitto di vetro, di cui fa menzione Eleonora Bordonaro citando la metafora ideata dalla manager americana Marylin Loden. Metafora che rappresenta quell’ostacolo invisibile che limita le donne nella carriera. Quell’ostacolo è l’ossessione della perfezione che spesso le trattiene dal proporsi con slancio e dal mettersi alla prova in campo professionale. Diversamente dagli uomini che sono allevati nell’ideale del coraggio e della sfrontatezza.

Così, alle bambine si dovrebbe insegnare il gusto dell’imperfezione. Perché davvero si possa giungere a un equilibrio di potere tra uomini e donne come speranza di progresso. 

Articolo di Valentina Comelli

Pagine: 468 con illustrazioni

Formato: 17×24

Prezzo: 22 euro

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