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Gigi Cavalli Cocchi “Il respiro del tamburo”

Musicista reggiano che da anni si muove tra progetti solisti di grande qualità, a matrice Prog, Rock d’autore e Pop/Rock

Ricordate quel suono secco e pulito che dà corpo a “Sopravvissuti e Sopravviventi” di Ligabue? Lo stesso ragionamento lo si può applicare anche per parlare dei primi due album del Liga, senza scordare l’ep pubblicato nel mezzo. Quei lavori, insomma, che gettano le basi del mito. Ecco, a quelli mi riferisco. Lì, come in tanti sanno, c’era quel Rock genuino ed emiliano che sapeva fare la differenza. Il cuore pulsante di quel Rock era, ed è ancora (quando quei brani vengono riproposti nella loro versione originale), il protagonista di questo libro.

Però, allo stesso tempo, serve anche ricordare che questo musicista non è noto solo per il Pop/Rock, perché il suo apporto è stato dato anche nel mondo del Rock alternativo, prodotto, con ottimi risultati, nell’Italia degli anni ’90. Insomma, ricordate quei colpi pesanti, asciutti, quasi tribali, che si sentono in T.R.E, e cioè in Tabula Rasa Elettrificata dei C.S.I? Ecco, quei suoni escono dalle stesse braccia che hanno creato quelli di cui si stava disquisendo. Si, parrà strano, ma è la stessa persona. Già, a ribadire, una volta per tutte, che le manichee distinzioni esistono solo nei negozi, fra i critici, e fra i talebani dei generi.

Il nostro protagonista è Gigi Cavalli Rocchi, musicista reggiano che da anni si muove tra progetti solisti di grande qualità, a matrice Prog, Rock d’autore e Pop/Rock privo di secondi fini. A questo campionario, che basterebbe già per essere nell’Olimpo musicale in qualsiasi Paese dotato di un minimo di vera cultura musicale, aggiungete un secondo e terzo talento (e come non svilupparli in Italia, dato che pochi possono campare con quello che sanno fare al meglio) che sono propri di una generazione emiliana irripetibile: l’ironia e l’arte grafica. Schakerate bene il tutto, ben dosato ovviamente, e avrete fra le mani parte del ritratto ufficiale di questa ricca personalità che, in modo forse troppo stringato, si racconta, in prima persona, ne “Il respiro del tamburo – Storie di successi e di mai successi” (Anniversary Books).

Stringato non è detto in accezione negativa, perché Cavalli Cocchi in realtà non lesina a spalancare le porte, per non dire le praterie, ad un dietro le quinte di realtà musicali, Ligabue e C.S.I in primis, che ormai hanno una storia più o meno codificata, e che viene raccontata solitamente con poche sfumature di differenza. Qui troviamo, invece, alcune informazioni in più. Non molte, ma comunque preziose. Nel volume in questione, infatti, il batterista dei Clan Destino, prima band di Ligabue, nel suo racconto genuino e diretto, senza tante costruzioni artificiali, (si) mette a nudo con alcuni vissuti e alcuni episodi che riempiono spazi lasciati spesso vuoti dalle biografie ufficiali degli artisti con i quali ha collaborato.

La lavorazione di “Ligabue”, primo album di Luciano Ligabue, si perde ormai nell’epica fra la via Emilia e… Memphis. Allo stesso tempo il dietro alle quinte dell’ultimo tour dei C.S.I. è quello che tutti i fan di quella che è stata la più importante esperienza musicale degli anni ’90 in Italia, vorrebbero sapere e conoscere. Cavalli Cocchi squarcia un poco il velo e lo fa, come succede in alcuni film sperimentali del regista cinese Zhang Yimou, come se avesse avuto con se una piccola telecamera per registrare immagini in presa diretta. L’effetto pertanto è quello di un documentario spezzettato che lascia molto lavoro all’immaginazione (ottima scelta) e che, allo stesso tempo, concede qualcosa alla curiosità di un pubblico ormai drogato di vita privata dei suoi idoli. I social ormai ci hanno messo dentro le case dei nostri idoli. Sappiamo cosa fanno, cosa mangiano e cosa guardano in Tv e, peggio ancora, cosa pensano. Un tempo, invece, c’erano solo le canzoni, o il mito del camerino e del dietro le quinte, oppure i libri. Cosa preziosa quando poi un artista decide di proteggere la sua privacy, e di non investirci molto nel mondo social.

Ecco, Cavalli Cocchi tiene fede a questo aspetto, e non ci lascia entrare a 360°, modello Facebook e Instagram, nel suo mondo. Uno spazio che – racconta nella prima parte del libro – si è conquistato colpo su colpo, senza compromessi e che, giustamente, tutela e protegge. È  un universo davvero bello quello narrato e fatto intravvedere da Cavalli Cocchi, dove si incontrano realtà come i Nomadi, Lindo Ferretti, Campovolo, Ian Anderson, Pierangelo Bertoli, Steve Hackett, ma anche il Pop, il Rock e il Prog. Nei calanchi questo mondo ci accompagna con disciplina, senza però atteggiamenti da narciso. Non si mostra e non si dà a vedere tanto per fare di sé un idolo… il nostro batterista, infatti, resta fedele al suo ruolo che lo vede, solitamente, dietro alla band. D’altronde, come ricorda bene Cavalli Cocchi, senza batteria non c’è rock. Come dargli torto, se si pensa alla rivoluzione dei Nirvana con l’arrivo di Dave Grohl. E così vale la pena seguirlo, prestando attenzione alla sua disciplina.

Insomma, questo libro ha molti meriti, nonostante sia (troppo) breve per chi è assetato di retroscena. Già l’abbiamo detto. Fra questi c’è quello di raccontare e fra conoscere un mondo artistico, quello degli anni ’90 che, soprattutto in Emilia, ha saputo fare la differenza in modo ruspante, artigianale e genuino. Se (ri)pensate ai suoni, meravigliosi, dei primi tre album di Ligabue, sapete di cosa si sta parlando; se siete poi fra i non assuefatti di T.R.E., allora non faticate a capire che non esiste cura per togliersi dalla testa e dal cuore quegli album che suonano così bene. E se continueranno a suonare e risuonare è anche per merito di Cavalli Cocchi, in quanto fra i responsabili di quei suoni.

Poi c’è spazio per parlare anche di tutta la sua produzione da solista, che merita d’essere scoperta. Chi segue il musicista la conosce bene, non lo metto in dubbio. Ma il Prog italiano post anni ’70 non ha goduto di grande fama, anzi. Eppure anche qui, nei progetti da solista e con band, Cavalli Cocchi ha saputo fare la differenza. Come d’altronde nell’avventura, ormai non più citata da nessuno, della Dinamo Rock, la Nazionale dei cantanti e delle band rock. Quelle pagine hanno riacceso dei flash ormai sepolti nella mente di uno stanco 45enne.

Poi, come già si accennava, c’è l’altra grande dote del nostro, e cioè il talento grafico. Fra Pazienza e Bonvi, e mi permetto io di scomodare i santi, proprio perché Cavalli Cocchi è un ottimo disegnatore e illustratore, nonché creatore di grafiche, mondi e immagini. Il suo tratto, oltre che ai due grandi maestri italiani, richiama il mondo underground del fumetto Made in Usa; quelle storie, per intenderci, che uscivano mensilmente su “Il Corvo presenta” della Magic Press.

Tutto questo per un condensato di neppure 200 pagine, di grande formato, che distillano un artista unico perché depositario di una sua matrice ben identificabile. E così pure questo suo libro, messo in circolo con una fattura che richiama le grandi fanzine che uscivano in quegli anni.  Un volume che dà soddisfazioni anche quando ci lascia con la voglia di saperne di più.

Oppure c’è da valutare questo aspetto, perché credo che ci sia un metodo in questa sua follia, per scomodare anche Amleto. Potrebbe infatti avere ragione il nostro autore e batterista, che ha deciso di darci scampoli, o meglio, rose e popcorn, senza però i coltelli e il lambrusco. Anche questo vuol dire fare la differenza, a ben vedere.

Articolo di Luca Cremonesi

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