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Giovanni Lindo Ferretti “Òra”

Il senso di questo piccolo libro è nel parallelismo onesto fra vita, musica, arte e pensiero

Giovanni Lindo Ferretti è uno degli artisti più intelligenti e raffinati che calcano le scene del panorama musicale italiano, e non solo. Le sue prese di posizione personali, legate quasi tutte al suo periodo post-CSI, hanno fatto e fanno discutere. Bene, perché fino a prova contraria questo è il vero compito degli artisti e, in generale, dell’arte. Non che non lo abbia mai fatto in passato, ma a quel tempo era il cantante e leader dei CCCP prima, e poi C.S.I, e tutto andava bene. Poi, una volta smessi questi panni, e non dimentichiamo che lo ha fatto volontariamente, senza imposizione alcuna (da quanto c’è dato sapere), perché ha semplicemente deciso di essere se stesso, e non più un ruolo. Basta questo per renderlo fedele alla linea, anche se, in definitiva, una linea non c’è, e che semplicemente è quella delle sue idee.

Detto meglio, essere leader di un gruppo impone(va) un ruolo, una posizione e un modo d’essere. Tutto questo, lo ha dichiarato lui stesso più volte (vedi anche la nostra recensione all’incontro con Zamboni), lo ha portato alla necessità di tornare a casa. Chi ha inteso questo come un mollare il tutto,ha frainteso. Tornare a casa, infatti, voleva dire (ri)tornare a essere se stesso. E lo ha ampiamente dimostrato nei lavori marchiati Pgr, e in quelli da solista, uno più bello dell’altro. Certo, il patto è accettare che un artista non sia sempre e solo una canzone, un ruolo e una posizione. Il nostro modo di essere fan, però, ci porta a quello: vorremmo sempre e solo “Spara Yuri”, e le novità dovrebbero essere sempre e solo declinazioni, neppure troppo distanti, da “Spara Yuri”. Un artista, invece, ha il diritto di muoversi, ed evolve, si trasforma, cambia, torna sui suoi passi, smette costumi e indossa abiti a lui più congeniali.

Ed ecco che questo agile (solo nel formato) volumetto dal titolo “Òra – difendi conserva prega”, che esce per i tipi di Aliberti, non è solo un condensato del Ferretti pensiero di questi due decenni post-C.S.I e, dunque, post successo da primi in classifica. Fra le pagine di questo libello, pur se in maniera distillata e rarefatta, ci sono anche spiegazioni e narrazioni di cosa sia successo e, soprattutto, merce preziosa, del perché siano accaduti determinati eventi. Si apre un velo, uno squarcio su qualcosa che non abbiamo mai saputo nel dettaglio. Il tutto con il contagocce, ma Ferretti sa distillare il suo elisir. Vero alchimista.

Sbaglia, dunque, chi crede che questo volume sia solo un manualetto di preghiere del Nostro. Non è un breviario, e cioè un libretto che si deve consultare camminando, pregando e stando in silenzio. Io vi consiglio di leggerlo ascoltando gli album che GLF cita. Leggetelo senza fretta. Pur se breve, non è per chi ha fretta. Come la retta… come cantava lo stesso Ferretti, anni fa. Sì, senza dubbio i testi di alcune preghiere ci sono, ma qui GLF racconta del suo rapporto con la fede, con il silenzio, con la sua terra, la sua famiglia, le sue montagne, ma anche il successo, il suo rapporto conflittuale con questo, dolore e sofferenze, e poi quello che è successo dopo. Dopo quella rottura con Zamboni che, di fatto, chiusa la più bella esperienza musicale degli anni ’90 in Italia, e non solo.

Poche parole, dunque, ma buone, per raccontare la nascita e la genesi di alcuni pezzi come “Madre”, “Annarella” e, soprattutto, “Amandoti”. Senza dubbio fra le pagine più belle e intense di questo manuale del Ferretti pensiero. “Amandoti”, per tanti, oltre a essere canzone della Nannini (e non dei CCCP), è anche testo d’amore. Non è lontano dalla verità, ma è un amore diverso da quello che si crede. Non è il sentimento per la donna lasciata, o meglio, che ci ha lasciati, ma è un atto d’amore per la propria nonna. Un sentimento alto, profondo e intenso che lo legava alla nonna. I nonni sono un dono prezioso, sempre. Per tutti. Perderli è un dramma. Per tutti. Ferretti ce lo consegna con “Amandoti”. Raccontare così questo amore, con la genesi di questa profondità, basta e avanza per giustificare l’acquisto del volume. Due pagine davvero intense, preziose.

Poi Ferretti racconta e spiega quella che ritiene essere la sua tetralogia della preghiera: da “La terra, la guerra. Una questione privata”, live dei C.S.I., nato come preghiera dedicata a Beppe Fenoglio. Poi quel capolavoro (fatemelo dire senza ansie) che risponde al nome di “Montesole”, primo album del progetto Pgr (gruppo ancora troppo sottovalutato), live intimo che apriva un’epoca diversa. Un concerto magico, destabilizzante, ma di una bellezza unica. Se, chiaramente, ascoltato con predisposizione d’animo. E Ferretti, nelle pagine del volume in questione, ne dà la giusta misura,

Poi si prosegue con il progetto – altrettanto bello – di “Litania”. Qui Ferretti incontra Ambrogio Sparagna, uno dei più importanti rappresentanti della musica popolare europea, con all’attivo numerosi progetti realizzati con artisti italiani e solisti da tutto il mondo; musicista che da far impallidire Peter Gabriel, se si ha la pazienza di trovare (a fatica) i suoi lavori, e di ascoltarli con attenzione. Tradizione popolare, musica etnica, canto e cantori, tutto fuso in una grande ricerca sonora, e di intimità, che fanno di Sparagna uno dei grandi autori e musicisti della tradizione popolare e colta. “Litania”, ristampato di recente, è un lavoro dove la voce di Ferretti esalta il canto religioso popolare che diviene vera festa. Un album e un progetto davvero imprescindibili per capire la poetica del nostro dopo l’avventura rock. Un’intimità che l’estrinsecazione della sua personalità, della sua anima e del suo essere. Credo proprio che in questo volume, come in questi progetti, Ferretti si sia messo a nudo, con grande onestà. E con intelligenza.

Infine, GLF racconta di quello che, al momento, è il suo ultimo lavoro discografico uscito sul mercato, e cioè “Bella gente d’Appennino, di madri e di famiglie”. Anche in questo caso si tratta di un progetto dove la dimensione della preghiera si fonde con quella della tradizione. Una religiosità, insomma, che lo avvicina a Pasolini più di quanto si possa credere. Il fatto, poi, che abbia a cuore Benedetto XVI°, che racconti del suo incontro privato, e di quanto questo Pontefice abbia inciso sul suo essere, è una questione privata. Cosa sua. E lì deve restare, e trovare posto. La racconta, certo, per condividerla, ma legare e giudicare il suo essere artista a questa dimensione, è scorretto davvero.

In questo modo, dunque, diventa chiaro anche il progetto “A cuor contento”, esibizioni live durate, in totale, quasi 4 lustri, in giro per l’Italia, con voce e poco più. Poi c’è stato il progetto che lo vide protagonista con i suoi amati cavalli. “Saga, Il Canto Dei Canti”, un’opera monumentale, rappresentata, dove è stato possibile, alla mattina e alla sera. Alba e calar del sole, ritmi di vita quotidiani. Gente da basto / Da bastone. Da galera, raccontate in queste sue opere, dai libri fino a “Ultime Notizie Di Cronaca”, fatica terminale del progetto Pgr (se volete leggere un’interpretazione graffiante di questo album, recuperate la quasi introvabile monografia di Giorgio Canali), fino a questo ultimo lavoro discografico dove le canzoni e testi i vengono montate e smontate per dare vita a un canto religioso. Un progetto che, però, non ha mai ottenuto il successo che meritava. Poco importa, come d’altronde allo stesso Ferretti, che sta semplicemente mettendo insieme vita e arte, senza dover camuffare l’una con l’altra.

Un Ferretti, insomma, dismesso, ma non ritirato. Nascosto certo, ma come la bellezza. Un qualcosa che deve essere trovato, svelato non con facilità, con ricerca. Il senso di questo libello, e detto così solo per l’esiguo numero di pagine, non di certo per il peso specifico della parole scritte, è tutto in questa intimità, in questo parallelismo onesto fra vita, musica, arte e pensiero.

Articolo di Luca Cremonesi

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