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Giuseppe Scaravilli “Van Der Graaf Generator generatori di emozioni”

Volume che ripercorre tratti essenziali del Rock contemporaneo attraverso un’analisi competente e ragguardevole sull’epopea della band

Per una fortuita ma significativa coincidenza, l’uscita di questa pubblicazione avviene proprio a pochi giorni dallo splendido concerto di Peter Hammill al quale abbiamo assistito a Firenze (il nostro live report). La casa editrice Il Cuscino di Stelle ha dato infatti alle stampe nel mese di dicembre il libro “Van Der Graaf Generator, generatori di emozioni – Dagli inizi ai giorni nostri” di Giuseppe Scaravilli. Un testo interessante che tratta le vicende di una delle band britanniche più apprezzate da sempre non solo dagli amanti del Prog, ma più in generale, da tutta la platea del Rock internazionale, per il suo messaggio modernissimo, capace di resistere al tempo e in particolare all’uragano punk di fine anni ’70.

Pur trattandosi di un volume monografico che ripercorre la cronistoria del gruppo e dei suoi musicisti, l’autore ha impresso in queste pagine una narrazione appassionata e avvincente per riuscire a esprimere questa splendida storia soprattutto attraverso le emozioni che hanno contraddistinto la longeva carriera di questi artisti. Giuseppe Scaravilli, musicista egli stesso e protagonista della scena progressiva nostrana come leader del gruppo Malibran, dimostra una fine abilità di scrittore facendo scorrere sotto gli occhi di chi legge una moltitudine affascinante di scorci di umanità, tra aneddoti, dettagli e microstorie, capaci di comunicare la vera anima dei Van Der Graaf Generator aldilà degli aspetti meramente biografici.

Dopo la prefazione del celebre pianista e compositore Arturo Stalteri, che come chi scrive, ammette di aver un po’ perso di vista il lavoro del gruppo nei tempi più recenti, si entra immediatamente nel vivo del racconto. Più precisamente ci troviamo al Bataclan di Parigi, dove la band ha tenuto il 18 marzo del 1972 uno dei suoi concerti più famosi.

La magia di Peter Hammill, David Jackson, Hugh Banton e Guy Evans (senza dimenticare anche il membro fondatore Judge Smith e i bassisti Keith Ellis e Nic Potter) rivive in questo saggio che quasi riesce a riecheggiare le sensazioni uditive di quel sound caratteristico, a volte epico, a volte metafisico, volto a indagare le angosce e i drammi dell’uomo moderno attraverso spunti di grande lirismo poetico.

Viene quindi trattata l’evoluzione della band sino dal primo album “The Aerosol Grey Machine” del 1969 e passando per i successivi gioielli di “The least we can do is wave to each other” e “H to He Who am the Only One” per arrivare al capolavoro universalmente riconosciuto di “Pawn Hearts”, momento che vide il primo scioglimento ufficiale dell’ensemble, proprio all’apice del successo. Proprio riguardo alla rottura del 1972, Scaravilli argomenta con precisione e sensibilità le motivazioni di quella scelta che di fatto rispecchiava la coerenza intellettuale degli artisti che, non avendo mai mirato al mero profitto, hanno sempre scelto di privilegiare il valore creativo spontaneo della musica. Non è un caso che pur divisi nel lavoro, i componenti del combo sono rimasti sempre grandi amici nel privato.

Altro aspetto interessante di questo libro è il racconto della band nei contesti internazionali che ha frequentato nel suo periodo aureo. Ci immergiamo, a esempio, nel clima del mitico festival pop di Villa Pamphili del 1972 a Roma dove i Van Der Graaf si esibirono come ospiti accanto a realtà emergenti della scena nostrana. Oppure seguiamo i musicisti nei viaggi di lavoro in compagnia dei Genesis e degli Audience. Un periodo ricco di idee e di artisti mitici, ma anche segnato dagli aspri contrasti sociali derivanti dalla controcultura e i movimenti di protesta, che spesso prendevano voce anche nel corso dei concerti. L’esperienza sul palco poteva perciò essere fonte di grande gioia, ma anche trasformarsi in momenti di accesa contestazione.

Fra gli episodi che possiamo apprezzare c’è quella volta che Hugh Banton girando per Roma durante il tour italiano del ‘72 rimase ammutolito davanti all’immensità di piazza San Pietro, oppure sapere della simpatia dichiarata dal gruppo nei confronti di Patty Pravo, che, a loro dire, non trovava in quel periodo interpreti femminili di simile valore in Gran Bretagna. Trovano spazio anche due importanti paragrafi sulle collaborazioni di Hammill con il gruppo de Le Orme e quella del sassofonista David Jackson con l’altro astro nascente di quegli anni Alan Sorrenti.

L’Italia occupa una parte in effetti non secondaria nella storia della band, a seguito dei frequenti concerti nel corso degli anni e soprattutto della calorosa accoglienza che fu loro sempre riservata a differenza della madrepatria, dove inizialmente l’accoglienza fu decisamente più scostante.

Un’altra parte del libro descrive con dovizia di particolari l’opera dei Van Der Graaf attraverso i loro tredici album in studio, offrendo tra l’altro anche la lettura di alcuni dei testi visionari della band. Completano il volume tante altre preziose informazioni, il report minuzioso di alcuni live, la descrizione delle pubblicazioni antologiche e un’interessante intervista ai musicisti datata 2011 da parte di Carlo Massarini che rievoca i tempi passati e fa luce sulle prospettive attuali del gruppo.

Un percorso, quello dei Van Der Graaf, che, come sappiamo, prosegue ancora adesso con una formazione a trio composta da Hammill, Banton ed Evans. Siamo certi che il loro lavoro “Do Not Disturb” del 2016 non sarà l’atto finale della carriera per una band che, come scrive lo stesso autore, ha ancora molte cose da dire.

La parte centrale dell’opera propone una sostanziosa galleria fotografica con bellissime immagini, sia in bianco e nero che a colori, che spaziano dai primi anni di attività al presente, con il finale dedicato poi alla discografia in studio e live; segue l’indicazione, pregiata per i collezionisti, di raccolte, video, singoli, nonché suggerimenti di una biografia del gruppo attraverso anche altre pubblicazioni e diversi numeri della rivista musicale di culto Ciao 2001 pubblicati negli anni ’70. La chiusura mostra una foto a dir poco iconica di David Jackson scattata da Guido Nardi nel 2013.

Ho rivissuto tanti ricordi fantastici grazie a quest’opera di Scaravilli, che ripercorre tratti essenziali del Rock contemporaneo attraverso un’analisi competente e ragguardevole sull’epopea Van Der Graaf Generator. Il volume è corposo ma la lettura scorre piacevole e coinvolgente, senza mai dimenticare di trasmettere quella passione che questi giganti della musica contemporanea sanno ancora ispirare come pochi altri.

Articolo di Carlo Giorgetti

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