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La morte mi fa ridere, la vita no

“La morte mi fa ridere, la vita no”

“La morte mi fa ridere, la vita no. Maledetti e dimenticati della canzone italiana”, Edizioni Arcana 2020, è l’ultimo libro di Elisa Giobbi. A detta della stessa autrice, una Spoon River dei precursori e dei

“La morte mi fa ridere, la vita no. Maledetti e dimenticati della canzone italiana”, Edizioni Arcana 2020, è l’ultimo libro di Elisa Giobbi. A detta della stessa autrice, una Spoon River dei precursori e dei dimenticati della canzone (italiana n.d.r.), spesso snobbati o persino emarginati in vita, segnati da quel male, la pesantezza di vivere, che li ha condotti ad un drammatico destino.

Fred Buscaglione, Piero Ciampi, Luigi Tenco, Franco Califano, Gabriella Ferri, Mia Martini e Rino Gaetano, sette maledetti (anti)eroi (che) hanno dovuto combattere (..) contro grandi nemici, fuori e dentro di sé; hanno dovuto superare alti ostacoli, spesso nel mondo che avevano scelto, quello della musica e dello spettacolo, fatto anche di invidie, pettegolezzi e stupide calunnie, ma anche in una società spesso ottusa e ostile.

Chi potrebbe dire di non conoscere nomi del genere? La risposta è “in molti, purtroppo”, più di quello che si potrebbe pensare, soprattutto tra i più giovani, come è normale che sia. In molti, comunque, non conoscono le loro biografie. Questo libro è fatto proprio per gli amanti delle storie di vita, raccontante in maniera fluida e con la passione di chi non solamente narra, ma com-patisce, nell’originario significato di “patisce insieme” ai protagonisti. La partecipazione dell’autrice si può sentire dall’incalzare dei fatti e delle emozioni, offerti affannosamente, senza soluzione di continuità, perché è proprio nelle pieghe della vita delle persone che si può davvero catturarne l’anima.  Ci sono anche le canzoni, certo, ma i versi citati sembrano quasi una decorazione, un rafforzativo, una sponda su cui giocare per rendere in versi una realtà quotidiana a cui ruotano intorno amici, autori, produttori, discografici, collaboratori che hanno saputo riconoscere talento e bisogno di aiuto.

Nell’ultima parte del libro, il viaggio si sposta sui “Dimenticati”, cioè artisti che, a dispetto della qualità della loro produzione, sono passati nel dimenticatoio, snobbati, incompresi o ignorati per vari motivi, non solo per la memoria corta che affligge il Bel Paese. Si tratta di Daniele Pace, Ugolino, Franco Fanigliulo, Enzo del Re, Stefano Rosso, Guido Toffoletti, Massimo Riva. Un’occasione per ognuno di noi per conoscere qualcuno di cui ci eravamo colpevolmente scordati. Sono ritratti fedeli di artisti ricordati nella maggior parte dei casi da coloro che li hanno effettivamente conosciuti, fosse per motivi di lavoro, per amicizia o addirittura per parentela, come nel caso della toccante testimonianza delle sorella di Massimo Riva.

Dopo la lettura, abbiamo rivolto qualche domanda all’autrice, Elisa Giobbi, per soddisfare qualche curiosità in più, come se leggere non fosse bastato.

La prima parte del libro è dedicata agli artisti “maledetti” della canzone italiana, dannati le cui vite sono state caratterizzate, dici, da uno squilibrio tra talento e fortuna. È stato facile sceglierli?

Per alcuni è stato più semplice: quasi automatico che ci vengano in mente Luigi Tenco o Piero Ciampi quando pensiamo all’artista “maledetto”, per le caratteristiche che incarnano come persone e come artisti, tanto che resta difficile distinguere le due sfere. In altri casi li ho scelti più per le circostanze della loro morte – per esempio Fred Buscaglione o Rino Gaetano – o per certi percorsi esistenziali particolarmente tortuosi e sofferti, compresi i guai con la giustizia (come Franco Califano o Mimì) o in genere per via di un’anima “pesante”, con molti lati scuri, come quella lunare dell’indimenticabile Gabriella Ferri.

C’è un personaggio a cui sei particolarmente affezionata?

Direi di no. Mi piacciono tutti per motivi diversi, sono tutti pezzi unici. A Piero Ciampi mi lega anche la conterraneità: anche se sono fiorentina amo Livorno e la “livornesità” a cui è sempre rimasto fedele, mi piace la purezza artistica che ha contraddistinto il suo percorso da sempre. Anche il Califfo è un personaggio che si ama o si odia, senza mezze misure…e io non l’ho mai odiato. Di Gabriella Ferri amo il suo essere universale partendo da Testaccio, di Rino Gaetano mi conquista la capacità di dire cose importanti, politiche, con leggerezza, mentre il percorso a ostacoli di Mia Martini non può lasciare indifferenti. Se poi la senti cantare…

Pensi esista ancora oggi la figura dell’artista talentuoso e maledetto, relegato ai margini del panorama discografico ma a cui è permesso comunque fare musica? Oppure non esistono più i presupposti, cioè quel rapporto così intimo, stretto, tra musicista e produttore, in cui una casa discografica credeva e investiva nel talento aspettando che emergesse e  pagandone anche le conseguenze?

Sì, penso che esista ancora. Per esempio un artista come Bobo Rondelli, che cito anche nel libro, può essere avvicinato al concittadino Piero Ciampi per certe caratteristiche e anche per certe scelte artistiche ed esistenziali. Però è anche vero che adesso le cose sono molto cambiate rispetto agli anni 70, in cui i ruoli erano nettamente distinti e prima di lanciare un cantautore si dovevano superare parecchi step, in cui intervenivano fiori di autori, collaboratori, produttori…

Nell’introduzione ti auguri giustamente che il libro possa avvicinare le nuove generazioni a quelle figure talentuose e precorritrici della canzone italiana che hai descritto. I tempi attuali sono segnati da un consumo usa e getta spesso legato al singolo pezzo e non tanto all’artista, in certi casi i ragazzi non sanno nemmeno chi sia che canta una canzone. Tu parli, invece, di storie di vita. Pensi che sia una reale possibilità quella di raggiungere le nuove generazioni? Attraverso quali canali pensi sia possibile? 

Non lo so, è un auspicio che riguarda in genere i miei libri a tema musicale. Credo molto nel valore della passione e le storie di vita e di musica che racconto scavano in questo fertile territorio: chi è mosso da un amore autentico e tenace per la musica non si ferma davanti alle contrarietà della vita e agli ostacoli piccoli e grandi: a partire da Califano fino ad arrivare a Petrucciani o a Mozart, la storia dell’arte è piena di fulgidi esempi in tal senso. Mi sembra un buon insegnamento in un’epoca un po’ apatica e sonnacchiosa come quella che stiamo vivendo.

Quando affronti i “dimenticati” o comunque non abbastanza apprezzati del panorama italiano, la seconda parte del libro per intenderci, citi nomi di altri artisti, oltre a quelli che tu hai presentato, che secondo la tua opinione non hanno ricevuto abbastanza riconoscimento: Jannacci, Graziani, Freak Antoni, Giuni Russo, Sorrenti e molti altri.  Ad alcuni di loro il tempo ha dato ragione, penso a Rino Gaetano, ma anche a Ivan Graziani, che ultimamente sta raccogliendo molto interesse, altri invece, penso a Freak Antoni in primis, sono ancora nel limbo, e spesso in vita ne hanno sofferto di questo. Pensi ci sia una ragione comune secondo te della loro emarginazione? O ognuno è caso a sé?

Nel libro elenco le varie motivazioni che possono stare dietro a questa emarginazione, che a volte è un esilio scelto. Prendi Nino Ferrer, per esempio, o Renzo Zenobi: non tutti sono adatti a trascorrere la vita sotto la luce dei riflettori, non tutti amano la popolarità, molti artisti si sono sentiti stritolati dallo show business, dai ritmi infernali dei tour, non solo in Italia ma in tutto il mondo, basti pensare a Kurt Cobain, Jimi Hendrix, Amy Winehouse o Brian Jones di cui parlo in un altro mio libro che è uscito qualche anno fa, sempre per Arcana: “Rock’n’Roll Noir”. A volte invece ci si è messa la sfortuna o la droga a far naufragare sogni di grandezza, come nel caso di Massimo Riva, oppure in altri casi non si è saputo mantenere il livello delle aspettative suscitate grazie a esordi straordinari, come quello di Alan Sorrenti. Talvolta certe proposte erano talmente sperimentali e raffinate che il grande pubblico ha fatto fatica a coglierle: un esempio è il misconosciuto Mauro Pelosi, autore di pezzi meravigliosi. Altri artisti invece sono stati ostracizzati in vita, a partire proprio dal loro ambiente, quello dello spettacolo: non solo Mimì, ma anche Umberto Bindi, che ha pagato a caro prezzo le proprie inclinazioni sessuali. Il mio libro è un omaggio a tutti questi grandi della canzone italiana, a prescindere dalla fortuna – più spesso sfortuna – che ha accompagnato la loro parabola.

Articolo di Marco Zanchetta

Elisa Giobbi

Elisa Giobbi è nata a Firenze. Laureata in lingue e letterature straniere moderne, è presidente dell’associazione culturale Firenze Suona, promotrice di festival musicali, contest di rilevanza nazionale e rassegne culturali. Membro del CDA del Teatro della Toscana, scrive regolarmente di musica e arte su vari blog e siti web ed è autrice dei testi dello spettacolo multimediale “Club 27” in collaborazione con il collettivo artistico Project-To (Museo del Cinema di Torino, Mole Antonelliana per Seeyousound 2017). Ha fondato e diretto la casa editrice Caminito e in seguito in veste di autrice ha pubblicato “Firenze suona” (Zona, 2015), “Rock’n’roll Noir” (Arcana, 2017), “Eterni” (Vololibero, 2018), “La rete” (Stampa Alternativa, 2018 – romanzo vincitore del premio Mangiaparole 2017), “Love & Music Stories” (Odoya, 2019), “La sposa occidentale” (Robin, 2019 – romanzo vincitore del Premio Mario Luzi per la narrativa inedita 2018), “La morte mi fa ridere, la vita no” (Arcana, 2020 – candidato al Premio Macchina da Scrivere).

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