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Martina Corgnati “Milva. L’ultima diva”

A leggere della sua carriera c’è da restare a bocca a aperta

C’è stato un tempo nel quale in Italia c’erano le dive. Non era privilegio solo degli Stati Uniti, ma anche di noi italiani. Non c’erano solo starlette, letterine, letteronze, showgirl, veline, e prodotti da talent: c’erano le dive. E cioè quelle personalità capaci, a 360°, di essere grandi nei settori delle varie arti. “Milva L’ultima diva – Autobiografia di mia madre”, scritta da Martina Corgnati, uscito il 21 aprile 2023 per i tipi de La Nave di Teseo, racconta la storia di quella che, a tutti gli effetti, è davvero l’ultima rappresentante di questa singolare categoria.

Attrice, cantante, interprete, musa, presenza scenica importante, bellezza incontrastata, stile, dedizione al lavoro, il tutto fuso in una donna che, da piccola, è nata e vissuta in un paesello di provincia, e cioè Goro. La storia di tanti artisti del nostro Olimpo è questa: si parte dalla provincia, fucina di talenti, per poi arrivare nelle città, che consacrano. È così dai tempi di Leopardi, figlio di Recanati, ma si potrebbe tornare anche agli albori della nostra letteratura, con la Scuola Siciliana, voluta e fondata dall’imperatore Federico II. Il concetto, però, è chiaro, ed è interessante scoprire come molti artisti, maschi o femmine che siano, cerchino, in tempi recenti, di ripulirsi dalla provincia, adottando una città. Pochi, oggi, mantengono vivo il legame con il paese di origine. In questo, ed è uno dei valori del volume del quale si parla, dimostrando di essere molto provinciali, e per niente divi o dive.

Milva, nome d’arte di Ilvia Maria Biolcati, perché quel nome strano, che voleva la famiglia, non piaceva al prete del paese, Don Camillo nostrano di Goro, ma molto più conservatore del sacerdote creato da Giovannino Guareschi, parte dall’ABC. In questo, per dire, simile a Vasco Rossi, che percorre la stessa strada, in montagna, ma pur sempre in Emilia. Dalle prime esperienze a Goro, al cantare in corali, poi gruppi locali e feste di paese. Piano piano si sale, ma quando la strada viene spianata, per Milva si aprono autostrade.

A leggere della sua carriera c’è da restare a bocca a aperta per due motivi. Il primo è legato ai nomi: Franco Battiato, Luciano Berio, Alda Merini, Astor Piazzolla, Vangelis ed Ennio Morricone, senza scordare la collaborazione che, su tutte, ne ha caratterizzato la sua arte, e cioè il legame, forte e potente, con Giorgio Strehler. Chi, attualmente, nel nostro Paese, può vantare queste collaborazioni? Serve anche essere onesti, perché la cultura musicale non ha nulla che vedere con le visualizzazioni, i like, e le presenze in Tv. Il secondo è figlio di questo ultimo aspetto: possibile che il nostro Paese dimentichi tutto? Il problema direi che è endemico, e non può solo essere colpa dei device o delle trasmissioni televisive. Qui c’è una mancanza totale di senso storico, che permea da sempre la nostra nazione.

Milva, in questa strana autobiografia, perché non è di fatto scritta dall’interessata, ma dalla figlia Martina, che ha vissuto gran parte della carriera della madre, fra alti e bassi, e cioè stando accanto alla genitrice, ma anche lontana per trovare la propria strada, cosa non facile come sappiamo per i figli d’arte, emerge fragile e potente allo stesso tempo. Donna instancabile, figlia di una provincia che, pur se sulle sponde del Po, risente ancora della cultura del lavoro tipica del Veneto, e allo stesso tempo della campagna. Qui, è cosa nota, questioni di genere non esistevano all’epoca. In un mondo profondamente diverso, che un moderno De Martino dovrebbe studiare, prima che scompaia, esisteva un patriarcato fatto di lavoro e conduzione domestica. Ai maschi l’opera nei campi o sulle barche; alle donne, la cura dei figli, della casa e il lavoro, principalmente, come sarte. Un ecosistema chiuso, dal quale sfuggire era difficile, ma forse neppure pensabile se non da chi, davvero, riusciva a ribellarsi e ad emergere. Ripeto, questione delicata e che andrebbe studiata, alla De Martino, da antropologi che dovrebbero andare sul campo, per raccogliere testimonianze. Un modello sarebbe quello che Pasolini mise in atto con “Comizi d’amore”, il film documentario nel quale raccontava amore, eros e sesso nell’Italia degli anni ’50 e ’60.

Da questo piccolo mondo Milva esplode. La sua arte travalica tutto e tutti. Supera cioè i generi, perché Milva non è stata solo cantante ed interprete, ma anche artista di teatro, con in mano un gigante, e cioè Bertolt Brecht, filtrato da Strehler. Sodalizio che tornerà, a più riprese, facendo di Milva la diva del “Piccolo” e di quella Milano capitale europea del teatro. Poi l’avventura in Germania, dove la Nostra conquista dischi d’oro, riempie teatri e realizza lunghe tournée. Privilegio, ad oggi, concesso a pochi, principalmente maschi fra l’altro, e non con i numeri e la portata dei suoi album.

Allo stesso tempo, chi può vantare collaborazioni con Vangelis? Il quale, si apprende dal volume, decide di lavorare con Milva mentre sta creando due dei suoi capolavori, e cioè le musiche di “Blade Runner” e di “Momenti di gloria”. Insomma, direi nel picco della sua consacrazione, si ferma e si dedica all’italiana che viene da Goro. Si capisce che all’estero, come succede spesso, ciò che conta non è la provenienza, ma ciò che un artista esprime.

Stessa dinamica con Battiato, che inizia a lavorare con Milva nel momento più importante della sua carriera, e cioè la svolta pop di “Patriots” e “La Voce del Padrone”, e mentre si rafforza il sodalizio con Alice. Battiato ha spazio, tempo e materiale per Milva, a riprova che non stiamo parlando di una semplice artista, ma di una vera diva, e cioè di una personalità capace, come Re Mida, di trasformare in oro tutto quello che… canta.  Stessa cosa con Piazzolla, con il quale nasce un sodalizio lungo. Credetemi, ascoltate i lavori che li hanno uniti. Sono un patrimonio che non va scordato. Per chiudere, in questa breve carrellata, il lavoro con Alda Merini, personaggio spigoloso, non certo facile. Il resto, a voi scoprirlo in questo bel volume.

Per chiudere, vale la pena ricordare che il libro è ricco di aneddoti, alcuni molto divertenti, come quello del viaggio in Russia con la carovana di Sanremo.  Altra questione chiave del libro, è la dedizione al lavoro che, però, porta inevitabilmente alla solitudine e, spesso, ad una vita privata tormentata e tormentante. Mi viene da chiudere con una battuta: il leone cammina da solo, le pecore in branco.

Un libro con il quale ho riscoperto l’arte di una grande interprete. Da piccolo, per quanto concesso in questo Paese, la vedevo in Tv, e vivevo della stima che ne aveva mia nonna. Quando ho preso in mano il volume, lo confesso, l’ho fatto più per cercare, alla Proust, un tempo perso, quello passato con i miei nonni a guardare un mondo di artisti che era il loro, e del quale sono stato nutrito (da Claudio Villa, per farla breve, a Mina e Milva). In realtà, ho trovato una storia meravigliosa; ho scoperto un patrimonio artistico unico, e ho comprato dischi che non possono mancare in una vera discoteca che voglia raccontare i grandi nomi della musica mondiale. A questo universo appartiene Milva. 

Articolo di Luca Cremonesi

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