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Massimo Zamboni “Bestiario Selvatico”

Zamboni, dopo un lungo silenzio, si è messo in moto su due fronti: quello musicale e quello della scrittura

Zamboni è un intellettuale. Parola di Giovanni Lindo Ferretti, alter ego, per lungo tempo, del chitarrista reggiano. I due, insieme, hanno dato vita ai CCCP (la mostra in corso) e ai C.S.I, cambiando per sempre la musica italiana. Poi si sono divisi. In questa esplosione nucleare, che ha lasciato pezzi e cocci per strada, Zamboni, dopo un lungo silenzio, si è messo in moto su due fronti: quello musicale e quello della scrittura. In quest’ultimo ha dato davvero il meglio di se, con ottimi libri, degli U.F.O, seguendo la definizione di Wu Ming, e cioè libri alieni, oggetti unici. Romanzi e saggi, oltre a veri e propri ibridi di auto-fiction. “Bestiario Selvatico – Appunti su ritorni e sugli intrusi”, uscito per La Nave di Teseo con le illustrazioni di Stefano Schiaparelli, è un testo ben definito, nel senso che ha un oggetto specifico, e allo stesso tempo settoriale.

Zamboni vi affronta un tema figlio dell’epoca che stiamo vivendo, e cioè quella dove il cambiamento climatico sposta tanto gli essere umani quanto gli animali. Dopo aver cantato, per 20 anni, lo spaesamento dell’essere umano occidentale, in queste pagine ha deciso di affrontare il tema puntando la lente d’ingrandimento sul mondo della natura. Alieni, dunque, non nel senso di marziani che arrivano da altri pianeti, ma forme di vita che si spostano, migrando, in ecosistemi che non gli appartengono. Da qui lo sguardo del curioso: cosa succede alla natura, agli habitat e all’uomo che vi entra in contatto? Nessuno giudizio morale, semplice osservazione.

Un volume che non ti aspetti, anche perché di musica non si parla, non se ne fa accenno. Tuttavia, il nostro chitarrista dimostra metodo, e licenzia un bel volume dove si tratta, in modo ovviamente non troppo specialistico, di natura, e in particolar modo cosa sta accadendo nelle campagne padane ed emiliane. La sua attenzione si concentra qua, perché questo è il suo mondo. Rane, lupi, garzette, ma anche insetti di varie specie, farfalle e api, insetti e mantidi, arrivando fino ai gabbiani, presenti nei campi (e Zamboni ci spiega il perché), fino agli ibis, per poi passare alle acque emiliane, e, dunque, ai granchi blu, ai gamberi della Louisiana, ai siluri, fino alle ostriche portoghesi. Un vero bestiario selvatico, come recita il titolo, di specie aliene che sono arrivate, per colpa o per merito dell’uomo, in modo diretto o indiretto, a cambiare ecosistemi che, da anni, sembravano immutabili.

Il libro ha il pregio di non generare eco-ansia, ma di essere figlio di uno persona che guarda con occhio curioso questi starni fenomeni. I rimandi sono stanti, da “La sesta estinzione” e “Sotto un cielo bianco. La natura del futuro” di Elizabeth Kolbert, al testo specialistico “Alieni in natura: storia delle specie alloctone del Po” di Davide Persico (Università di Parma). Il fatto, però, che Zamboni sia un musicista non comporta che non possa avere altri interessi. Poi, da buon montanaro quale è oggi, si occupa, come il ritrovato amico Ferretti, di guardare e osservare la natura. Attività degna di grande nota.

Ne deriva una bella lettura propedeutica per avvicinarsi a quello che è un tema serio: l’arrivo, in natura, di animali che sono figli di un altro ecosistema. In una puntata storica de I Simpson, si mostrava Burt, il figlio discolo della nota famiglia gialla, immettere clandestinamente una rana nell’ecosistema dell’Australia. Ben presto il quinto continente veniva letteralmente sbranato da queste rane. Iperbole, senza dubbio, ma basta leggere l’ultimo volume di Elizabeth Kolbert, edito da Neri Pozza, per capire che la fantasia non è poi così lontana dalla realtà.

Di certo non faremo quella fine prospettata nel noto cartono animato, ma è anche vero che la domanda finale del volume è comunque rivelatoria di una situazione che tutti stiamo vivendo e osservando con interesse: siamo diventati noi, gli alloctoni? Non è strano che un cantante, musicista, ma soprattutto una persona colta che, in questi ultimi lustri, ha saputo riflettere sugli anni della Guerra Fredda, sul proprio passato, con un libro splendido come “L’eco di uno sparo” (Einaudi), oggi abbia interesse e voglia di interrogarsi su cosa accade al mondo della natura.

Una lettura che apre porte, genera curiosità, indaga sul presente, spinge a cercare altre informazioni, e nuove letture al fine di approfondire i temi affrontati, mai con superficialità, da Zamboni. Non mancano passaggi belli, quasi poetici, costruiti ad arte da chi, ormai, da ben utilizzare parole e metafore. Il chitarrista non pretende mai né di essere un naturalista, né di essere un entomologo. Questo è il volume di un uomo attento che ci aiuta ad appagare un poco della nostra curiosità, soprattutto alla luce delle molte parole versate sulla natura che si ribella. Un volume bello per chi non cerca sempre e soltanto termini legati al passato del musicista. Questo, in sintesi, è un bel volume, per iniziare a comprendere cosa ci attende, nei prossimi anni.  Nella parte finale del volume, poi, ci sono illustrazioni, molto interessanti e belle, realizzare da Stefano Schiaparelli. Grazie al disegno, sembra davvero di avere nelle proprie mani un antico testo medioevale; un vero bestiario insomma.

Articolo di Luca Cremonesi

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