Riccardo Michelucci, giornalista, traduttore e conduttore radiofonico, l’11 luglio ha fatto uscire per i tipi di Milieu il volume “Il giorno in cui la musica morì – La strage della Miami Showband e l’Irlanda nel caos” (18 euro). Il libro è un nuovo e ulteriore tassello nel percorso di ricerca dell’autore che, da diversi anni, si occupa in modo dettagliato, e con grande competenza, della storia dell’Irlanda. Una vicenda lunga e complessa, che può essere fatta risalire, da un punto di vista storico, a otto secoli fa, con l’inizio di quella che a tutti gli effetti è una colonizzazione, una delle tante da parte dell’Inghilterra. Però, restringendo un poco l’obiettivo, la storia di cui parla Riccardo Michelucci può partire negli anni ’20 del secolo scorso, quando l’Irlanda venne divisa in due Paesi.
A questo punto non resta che accendere un riflettore su quel periodo che viene chiamato The Troubles, e cioè le vicende che prendono avvio sul finire degli anni ’60 e si concludono, sommariamente, negli anni ’90, con code e vicende alterne fin dentro alla prima decade degli anni 2000. All’interno di questo lungo e complesso periodo Michelucci accende un riflettore su una vicenda particolare: l’uccisione di tre membri della Miami Showband, i “Beatles irlandesi”, come venivano definiti all’epoca.
Complice uno stile fresco, che profuma di ottima narrativa, e senza mancare mai di rispetto al lettore e alla lettrice, e cioè abusando di tecnicismi e dando per scontato fatti, luoghi e personaggi, Michelucci da quel fatto di sangue, avvenuto la notte fra il 30 e il 31 luglio 1975, esattamente 50 anni fa, dà vita a una narrazione capace di accattivare e di spingere il lettore sempre più avanti nella lettura.
Va detto subito: il fatto che lo stile contribuisca alla lettura, non vuol dire che questa sia semplice. Il testo è ricco proprio perché apre porte di continuo su vicende poco note in Italia, e quantomeno al grande pubblico. In primis, la questione storica. La vicenda dei The Troubles è nota a grandissime linee. Non solo, di quello che sappiamo c’è da dire che tanto è viziato dal fatto che la questione è sempre e solo stata inquadrata come guerra religiosa. Michelucci, invece, fa capire bene, con tanto di quadro storico dettagliato, che la questione delle fedi in conflitto è subalterna alla questione coloniale, all’odio settario e alle infiltrazioni delle forze armate. A quel punto, se si riesce a uscire da questo autentico ginepraio, allora sì, possiamo parlare della questione religiosa. L’abilità del giornalista d’inchiesta permette a Michelucci di costruire un ottimo reportage che fa chiarezza in vicende che non hanno nulla, o comunque poco, di chiaro, e che il tempo ancora non ha sedimentato come si deve. A detta dell’autore, la pace in Irlanda è vera, e dura, ma l’odio settario, più che quello religioso, serpeggia e non è mai assopito del tutto. Questo comporta che la vicenda irlandese sia intrinsecamente legata alle dinamiche coloniali e post-coloniali inglesi. Tema del quale, nella nostra attualità, conosciamo altri risvolti ben evidenti. In mezzo a tutto questo, però, si colloca la pagina della Miami Showband.
Una vicenda, quella delle Showband, tutta irlandese. La si può riassumere così: gruppi di musica per feste, da balera, da sale per il popolo. Un genere più pop della canzone tradizionale, e meno ricercato rispetto al Rock irlandese che, pochi anni dopo, prenderà ben altre strade. Nel mezzo quella stagione che nasce sotto buoni auspici, e cioè quelli di unire. Unire persone di fede diversa, di diverse appartenenze e di differenti credo politici. La musica come collante, come dimensione di divertimento che, in modo catartico, doveva allontanare spettri e provare a far vivere tutti sotto lo stesso grande cielo d’Irlanda. Il sogno, però, si infrange a contatto con la realtà di quei giorni, e cioè le vicende appunto legate ai Troubles.
La Miami Showband, formazione che negli anni si era mossa alla ricerca di una stabilità di formazione, nel 1975 aveva trovato quella che forse sarebbe stata la sintesi ottimale per un progetto musicale che voleva evolvere dalla dimensione di cover band e provare ad andare per un proprio percorso. L’ultimo membro a entrare nel gruppo è il bassista Stephen Travers, che dopo due mesi si trova a essere uno dei tre sopravvissuti alla strage nella quale perdono la vita Brian McCoy, Fran O’Toole e Tony Geraghty. Travers si salva, come Des McAlea, solo perché si fingono morti, e il tempo è dalla loro parte. Chi ha compiuto la strage deve andare via, e non si occupa di far di fino, e cioè dare il colpo di grazia. Il batterista Ray Millar si salva, invece, perché non è sul furgone con il resto della band.
I fatti, riassunti per non togliere nulla alla lettura, sono che la band, di ritorno da un concerto nel Nord, si imbatte in un posto di blocco. All’epoca era cosa normale, ma quella notte di normale c’è stato poco. I militari si comportano in modo strano, cercando di piazzare una bomba nel furgone. L’ordigno doveva esplodere dopo ore, decretando la morte della band, che sarebbe stata accusata di essere un gruppo terrorista. La conseguenza sperata era la chiusura del confine e la divisione netta dei due Paesi. Il destino, invece, modifica la storia. La bomba esplode, i due militari muoiono, e chi resta in vita spara all’impazzata verso la band.
Di quella notte resta una lunga eco che risuona ancora oggi in Irlanda, tanto che Netflix ha dedicato un bel film documentario alla band, e la TV irlandese ha realizzato due puntate condotte da Adam Clayton, bassista degli U2. A tutto questo si aggiungono i tentativi di rimettere insieme la band, e soprattutto la ricerca di giustizia da parte quantomeno di Travers. Il libro racconta anche tutta questa parte del dopo attentato.
Una doppia storia, di musica e politica, come ne accadevano tante all’epoca che, però, non terminavano in modo così tragico. Neppure il governo statunitense arrivò a tanto. John Lennon, che come è ormai noto, era oggetto di spionaggio da parte di forze governative. In questa vicenda l’aggravante è la perdita di vite, di possibilità di storie, di successi e di infinite direzioni che le singole esistenze avrebbero preso, e che il gruppo avrebbe canalizzato. Tutto è stato spazzato via dalle bombe e dai proiettili. Questo accade in tutte le guerre, ed è per questo motivo che tutte le guerre sono da abolire.
Un libro che fa conoscere storie, vicende singolari che sono gli atti di resistenza che la storia oppone alla macro narrazione storica. Un testo che racconta di un mondo musicale fino a ora oggetto di intenditori e appassionati. Pagine ben scritte che trasformano un saggio di storia in un’appassionata lettura che non vi lascerà indifferenti.
Articolo di Luca Cremonesi
