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Lucio Corsi intervista

Il cantautore maremmano è ancora in tour nelle arene all’aperto, e noi attendiamo di rivederlo

Dopo aver assistito alla prima del tour estivo e in attesa di una delle ultime il 9 settembre a Firenze, abbiamo parlato con Lucio Corsi del suo tour, del suo nuovo album e della sua Maremma.

Il tour per “Cosa faremo da grandi” è stato brutalmente interrotto dalla pandemia nel 2020. Il tour per “La gente che sogna” è il tuo primo tour completo. Com’è stata questa lunga stagione di concerti?

A Maggio il tour è iniziato con i locali al chiuso ed è poi continuato durante l’estate all’aperto (il nostro report a Pisa), erano anni che non riuscivo a fare un tour con la band. Ad ottobre ripartiremo con le date nei club, al chiuso, luoghi a mio parere molto adatti alla performance che proponiamo.

Ti ho visto aprire il concerto al Firenze Rocks a Tom Morello e agli Who. Com’è stato aprire il concerto a due colossi della musica?

È stato sicuramente emozionante, ma anche formativo. Un’esperienza con un palco così grande è stata veramente emozionante e divertente. È stato interessante anche capire come funzionano eventi così importanti, enormi, con migliaia di persone.

Hai preparato una scaletta molto lunga. Qual è la tua canzone preferita da eseguire live e perché?

La scaletta infatti dura due ore e un quarto! All’interno della scaletta troviamo momenti diversi, dal momento più rock’n’roll alla parte più folk, ma anche momenti dove rimango solo con chitarra e voce o pianoforte e voce. La scelta è varia, e ci divertiamo. Suono con dei ragazzi che sono miei amici, compagni del liceo. Suono con loro da sempre ed è bellissimo girare e suonare in posti nuovi, non sono semplicemente dei turnisti scelti, ci lega qualcosa di più. Del disco nuovo ci piace molto suonare “La Bocca Della Verità”, abbiamo ri-arrangiato il finale ed è divertente da suonare, ci scateniamo. Ci diverte anche “Altalena Boy”, una ballata folk – rock che facciamo a fine live, ci piace suonarla perché è lenta e ci divertiamo a “tirarla indietro”. Ma anche la cover di Battisti “Ho un anno in più” non è da meno, l’abbiamo mixata alla “Ladytron” dei Roxy Music, mescolando due generi opposti.

Ti ascolto dall’epoca di “Cosa Faremo da Grandi” e il Lucio Corsi che ho conosciuto era un artista molto diverso. Il cambiamento attraversato è stato sia musicale che stilistico. Non sei più il ragazzo delle collaborazioni con Gucci e dai i vestiti floreali, ma dagli stivaletti in pelle e dalla matita nera. C’è qualcosa che ha influenzato questo tuo cambiamento?

Iniziando con la musica, credo che la cosa più bella ma anche più difficile, nelle forme di espressioni, sia proprio il cambiamento. Ho vari interessi a livello musicale, passo dal Cantautorato al Glam Rock, al Prog e così via… Nel corso degli anni e con le nuove idee di dischi, cerco di approfondire le mie espressioni musicali e di trovare un mio modo di far canzoni seguendo gli stili che amo. Mi fa piacere che tu abbia notato questo aspetto e spero di riuscire a cambiare ancora in futuro, è l’elemento che mi preme di più. Anche il livello estetico va di pari passo con la musica. La mia collaborazione con Gucci è stata molto bella e interessante perché in quel periodo Gucci guardava e si rifaceva al Glam Rock, c’era anche Nick Rock che faceva le foto della campagna… Perciò è stata una cosa inerente alla mia musica. Io non sono però un appassionato di moda, lo dico sempre. Sono appassionato a uno stile conosciuto in adolescenza sfogliando le foto di Bowie, di Lou Reed e dei Rolling Stones. Sono appassionato di questo tipo di estetica e la porto avanti perché è ciò che mi piace. Da disco a disco la mia estetica cambia perché cambia quello che voglio raccontare, è uno strumento in più come lo è anche la copertina o il videoclip. Sono aspetti che vanno di pari passo con la canzone, sono tutti strumenti per raccontare un particolare in maniera più approfondita.

Anche io scrivo canzoni, non sono un granché ma ci provo. Non so se anche per te è così, ma ci sono canzoni che ho scritto che amo in modo particolare, in modo intimo. C’è una canzone del tuo nuovo album di cui sei particolarmente soddisfatto e perché?

Forse direi “La Gente Che Sogna” è quella a cui sono più legato, è stato uno dei primi pezzi che ho scritto per il nuovo album. Un giorno di due estati fa io e la mia band ci siamo ritrovati per suonare dal pomeriggio fino alle sei di mattina, nel mio studio in campagna. Tante delle tracce di quel brano sono state registrate quella notte, dalla traccia di clarinetti del pianista alle linee vocali. La canzone quella notte è stata radicalmente cambiata, è stata variata negli accordi, è cambiato proprio lo sviluppo della canzone. Abbiamo smontato e rimontato il brano, è così che ha assunto la sua forma finale. Alle sei di mattina, quando finimmo la canzone verso l’alba, eravamo stanchi ma soddisfatti. È stata una notte bellissima.

Nel tuo processo compositivo scrivi prima il testo o prima la musica?

Cambia di volta in volta, spesso è un processo parallelo. Ci sono volte in cui parto da una semplice frase, altre volte in cui parto da una melodia o da un riff.

Io quando penso alla tua musica penso a un dipinto surrealista, infatti “La Gente Che Sogna” sembra essere indirizzato alle persone che non si accontentano del mondo sensibile ma che hanno bisogno di un’altra dimensione, della dimensione onirica. Cosa rappresenta per te la dimensione del sogno?

La dimensione del sogno è una fuga, un mezzo di trasporto. Il sogno riesce a calarci in altri panni, ci trasporta in altre epoche. La musica, come il sogno, deve essere un inganno. Tutte le forme d’arte devono essere ingannevoli, non devono raccontare il mondo così com’è ma aprire la porta ad altre dimensioni. Questo accade anche nei sogni, sono strumenti in più per poter fuggire dalla realtà oppure per cambiarla, migliorarla o peggiorarla. La musica, il sogno, sono tutte sfaccettature della fantasia che ci permette di plasmare il mondo a nostra discrezione.

Sei cresciuto in mezzo alla natura ed essa è molto presente nel tuo immaginario musicale. In canzoni come “Freccia Bianca” accusi la mancanza e la perdita del verde in una città come Milano. Sei riuscito ad imparare a convivere con questa perdita o torni a casa ogni volta che puoi?

Non ce l’ho con Milano in particolare ma con tutte le grandi città e ogni volta che posso tornare a casa, lo faccio. Preferisco la tranquillità della Maremma, a mio parere sono stato fortunato a nascere in campagna. Preferisco la pace alle opportunità che offrono le grandi città anche se è fondamentale vivere un’altra realtà. È una fortuna poter alternare due mondi così diversi tra loro.

Ogni volta che ascolto un artista mi chiedo sempre quale sia il suo album preferito. Se finissi su un’isola deserta e potessi portare solo un album da ascoltare per il resto della tua vita, che album porteresti?

Difficile, difficilissimo. Dipende dai periodi ma cosi su due piedi…. Non so, faccio una compilation con diverse canzoni dentro.

Articolo Ambra Nardi, foto di Michele Faliani

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