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Lucio Corsi live Firenze

Cantautore delicato, fuori dalle mode, con un tocco surreale e pubblico molto pop mainstream. Lui va avanti senza snaturarsi: il successo lo trova restando se stesso

Una delle prime tappe del tour primaverile nei teatri per Lucio Corsi tocca Firenze, il 16 aprile al Teatro Cartiere Carrara (sì, il Tenda). Posso esimermi di fare anch’io tutta la solfa ormai nota su chi è, da dove viene, cosa mangia, dove spende il tempo libero il Nostro maremmano? Posso esimermi da buttare nel calderone dei commenti, giudizi, ipotesi post-Sanremo i miei pensieri? Ribadisco solo che non è esploso dal nulla, dall’oggi al domani, ha seminato a lungo, con perseveranza, passione e visione, e ogni passaggio del percorso, tra cui le centinaia di live, ha contribuito a rendere più solido il progetto.

Vorrei attenermi al concerto, a ciò che è stato sul palco fiorentino, immaginandomi soltanto che sia quello che più o meno è accaduto e accadrà sugli altri palchi del paese, concerti tutti sold out in prevendita. Le coordinate per leggere l’articolo sono basate su due sostantivi: coerenza – di Lucio / superficialità – di gran parte del pubblico. Da quest’ultimo tiro fuori ovviamente la fan base storica, quella costruita nel tempo album dopo album, concerto dopo concerto, un ascolto alla volta, infastidita dal comportamento quasi isterico degli ultimi arrivati (da febbraio 2025), che rincorrono le mode, non la buona musica.

Sul palco fa da sfondo il maxi schermo con un disegno sognante, ipotizzo un dipinto della madre, e due enormi finti amplificatori valvolari. La band, o meglio la banda, si è allargata: ai suoi fidi compagni si sono aggiunti un altro chitarrista e un altro tastierista. Ma sostanzialmente il sound resta quello di Lucio, solo un po’ “rinforzato” per riempire le grandi venue invece dei localini nei quali eravamo abituati ad ascoltarlo (i nostri report precedenti).

Qualcosa però manca, è stata sottratta: è la valigetta degli attrezzi in cuoio, che Lucio teneva vicino all’asta del microfono. Chissà dov’è volata via …

Ore 21 e una manciatina di minuti, sale sul palco fumando (novità), accompagnato da un boato (nuovo pubblico), attacca il cavo alla chitarra, la Les Paul nera, e si parte per il viaggio nel suo mondo artistico. I primi tre brani ci rendono subito chiaro che questo sarà un concerto rock eccome, con un suono, come accennavo, denso, pieno, ma perfettamente bilanciato, merito dei suoi tecnici sui mixer. Ottimo, davvero.

Lucio, adrenalinico, si lancia subito sulle casse sotto palco, e sale sulle transenne, appoggiandosi al pubblico (coerenza). Poi Lucio lascia l’elettrica e prende la sua acustica, sempre la stessa tutta scortecciata (coerenza), passa al piano, e così farà per tutto il concerto, passando da uno strumento all’altro, inclusa l’armonica a bocca, anche nello stesso pezzo, portandosi dietro il microfono, sempre a cavo, avvitandosi spesso in esso, mettendolo per gli assoli di chitarra tra la cinghia e il petto, appeso ciondoloni tra la cinghia e il corpo della chitarra, o sotto l’ascella. Ma è un animale da palco, come sappiamo bene, e non poteva essere altrimenti dopo aver suonato ovunque e in mille situazioni diverse.

Oltre all’aggiunta di due musicisti, trovo che nonostante le tre chitarre, di cui quella di Lucio sempre mixata a un volume maggiore, il lavoro di fino spetta sempre al fidatissimo amico di sempre, Filippo Scandroglio “Chuck”, che in “Sigarette” si cimenta anche alla lap steel.

Tra le poche parole di Lucio, che non è mai troppo chiacchierone e ovviamente, visto che il nuovo pubblico sa tutto di lui sa anche il perché, la presentazione della sua versione di “Short People” di Randy Newman, che lui definisce il suo cantautore preferito; il testo è tradotto in italiano in “La gente bassa”, e prima o poi lo registrerò.

Con “Il re del rave” Lucio si butta nuovamente sulle prime file di spettatori con il solo microfono, e poi, mentre la banda completa il brano, sparisce dietro le quinte per il consueto (coerenza) cambio di look. Le ali gialli, suo look signature, sono sostituite stavolta da maglietta verde, pantacollant in lycra bianchi e rossi, spolverino e cappello a tesa bianchi.

Inizia poi il set centrale, quello semi-acustico, da tempo presente nei suoi concerti (coerenza). Per “Certe orme” Scandroglio è all’acustica, l’altro chitarrista e il bassista sono ai cori, ma poi escono anche loro, Lucio resta solo per “La ragazza trasparente”, seguita da un classico della musica popolare toscana, una traditional folk song si può dire, ovvero “Maremma amara” (oddio, me la faceva suonare il prof di musica al flauto in prima media, ma questa versione me la riabilita decisamente). In “Senza testo” uno dei pochi interventi a parole, per ribadire con eleganza la stupidità delle polemiche tirate su da portali web dediti al mondo della scuola, prima di cantare la strofa “incriminata”: ora viene la parte seria .. a scuola avevo un professore che non era saggio …

Torna la full band per “Nel blu, dipinto di blu”, ovviamente acclamatissima, cellulari in alto gente! (nuovo pubblico). Per “Situazione complicata”, dismesso il cappello a tesa e indossato un basco comincia a saltare dalla chitarra al piano, con una nuova confidenza: prima suonava uno strumento alla volta, nei suoi live c’erano i momenti alla chitarra e quello al piano, che non era il suo personale, si sedeva a quello del tastierista. Ora ne ha uno tutto suo, a fianco dell’asta del microfono, dove può sedersi agilmente, anche con la chitarra addosso, e come sempre avvitandosi un po’ nei cavi (ma con il buon Dado sempre pronto a risolvere la situazione).

Ed eccoci arrivati al clou (per il nuovo pubblico) della serata, quello dove tutti cantano a squarciagola con i cellulari alzati: “Volevo essere un duro”. Ok, cosa aggiungere? Anche dal vivo regge davvero bene. Aseguire un momento atteso: appare sul palco, in posizione frontale (fino all’ora restava nascosto dietro gli ampli o imboscato nel pit) Francis Delacroix in persona! Allora esiste davvero … Arriva in concomitanza per il brano a lui dedicato, pubblicato nell’ultimo album ma ormai conosciutissimo poiché Lucio era da tempo che lo proponeva dal vivo. Fotografa Lucio da vicino, gli gira intorno, a da qui resterà una presenza scenica sul palco.

In “Magia nera” Lucio si lancia in un bell’assolo, liberandosi dello spolverino; il pezzo ha molto più tiro dal vivo, molto più rock, così come decisamente rock’n’roll è la versione di “Let there be Rocko”, giustamente, vista la fonte che ha ispirato il titolo della canzone.

Ma ecco che la magia nei cuori della gente subisce una battuta d’arresto: cos’è questa canzone in inglese? si chiedono le quattro giovani ragazze sedute davanti a me, mentre spippolano sui cellulari per capire in quale album di Lucio è (spoiler: non c’è), e con lo smarrimento delle vecchiette sulla settantina abbondante sedute alla mia destra e sinistra. Ma signore mie, Lucio fa questa cover dal vivo da sempre (coerenza), è la bandiera del Glam Rock, scusate, ma qui l’ignoranza non è ammessa (nuovo pubblico): Lucio omaggia sempre Marc Bolan T Rex con il classicone “20th Century Boy”. Calano i cellulari, nessuno salta più. A parte me, felice di questa continuità nei live, di questa fedeltà ai suoi amori musicali.

Segue altro brano meno conosciuto (difficile ormai reperire l’album, pubblicato da Piccica dischi), “Il Lupo”, del quale Lucio confessa di non ricordare mai perfettamente il testo, che ha dunque sul leggio; si mette a torso nudo, e lo rende un brano molto bluesy con giri all’armonica.

Torna poi al piano per “Nel cuore della notte”, il pubblico, soprattutto femminile, si rianima e accende le torce dei cellulari (sintomo di felicità ai concerti pop mainstream – il mio stomaco si ribella un po’, ma c’è troppo caos, non posso allontanarmi) (nuovo pubblico).

Ci avviciniamo, dopo oltre due ore, verso il termine, Lucio presenta la banda, non solo i musicisti, ma tutti i suoi collaboratori, sopra e sotto palco, con il solito affetto riconoscente di sempre. Per esempio Dado, tutto. Camilla, tutto. Non fa la pantomima di uscire, di farsi reclamare e acclamare (coerenza). Dopo inchini e saluti, riprende il concerto con due brani aggiuntivi, “Astronave giradisco” e “Altalena boy”, e poi il vero bis, in stile Corsi (coerenza).

Il bis vuole appunto che si rifacciano brani già suonati: il primo è “Francis Delacroix”,  riarrangiata in versione basic rock’n’roll, un po’ alla Status Quo in certi passaggi; chiude come sempre (coerenza) con “Freccia bianca”, lanciandosi di nuovo nel pubblico con la Les Paul (ma ha usato anche la sua Marauder a tratti durante il concerto), in un vero crowdsurfing, mentre suona l’assolo piomba in mezzo alla gente e sparisce alla vista, ma continuiamo a sentire il  suo assolo. Riescono a recuperarlo gli addetti alla sicurezza e il concerto finisce davvero, dopo 2 ore e un quarto di musica, con tre minuti in tutto di chiacchiere. Così devono essere i concerti: musica vera, suonata senza trucchi, senza spettacolarizzazione, senza tempo perso. Un bel tiro, il suo tiro (coerenza).

Articolo e foto di Francesca Cecconi

Set list Lucio Corsi Firenze 16 aprile 2025

  1. Freccia Bianca
  2. La bocca della verità
  3. Danza Classica
  4. Questa vita
  5. Radio Mayday
  6. Trieste
  7. Cosa faremo da grandi
  8. Sigarette
  9. La gente bassa (Randy Newman cover riadattata)
  10. Amico vola via
  11. Il re del rave
  12. Certe orme
  13. La ragazza trasparente
  14. Maremma amara
  15. Lepre
  16. Senza titolo
  17. Nel blu, dipinto di blu (Domenico Modugno cover)
  18. Situazione complicata
  19. Volevo essere un duro
  20. Francis Delacroix
  21. Magia nera
  22. Let There Be Rocko
  23. 20th Century Boy (T. Rex cover)
  24. Il Lupo
  25. Nel cuore della notte
  26. Astronave giradisco
  27. Altalena Boy
  28. Francis Delacroix
  29. Freccia Bianca

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