17/05/2024

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17/05/2024

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17/05/2024

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17/05/2024

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17/05/2024

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VREC Summer Festival live Milano

L’etichetta veronese compie 15 anni dimostrando che la musica di qualità può avere una casa accogliente

Il Legend Club di Milano il 21 luglio è diventato la casa “fisica” di una famiglia speciale. Parliamo delle band sotto contratto con la VREC Music Label scelte per rappresentarla a questo Summer Festival, una serata di Rock adrenalinico e multiforme organizzata per celebrare il compleanno dell’etichetta.
Ho usato termini come “casa” e “famiglia” perché la prima impressione che si ha incontrando David Bonato, il fondatore e proprietario dell’etichetta, è che le band siano come dei figli, più giovani o più grandi, in diverse fasi della crescita, di cui prendersi cura dando possibilità a ognuno di esplicitare talento ed espressione in un giardino musicale ormai reso giungla dalle aziende di streaming. Spero di non causare a David una pioggia di demo promuovendo il suo stile in questo modo, anche perché l’etichetta ha un approccio non certo basato sulla quantità.

Sì, perché per guadagnare con lo streaming, la tentazione del discografico di oggi potrebbe essere quella di moltiplicare all’infinito il numero di band pubblicate in modo da massimizzare i sottilissimi margini offerti, mentre VREC per principio continua a produrre vinili, CD e cassette (sì, cassette, chiedete a mamma o papà cosa sono) di progetti musicali in cui crede e che può permettersi di curare anche in altri aspetti come la produzione e la promozione. In questo “festival” di compleanno l’aria di famiglia si è sentita e la qualità è stata una costante della serata.

Ego59

Altra costante la pioggia, che, diventata ormai una spesso pericolosa presenza dell’estate milanese, ha spinto dall’accogliente dehors del Legend Club all’interno un pubblico comunque immeritatamente ridotto per accogliere il set degli Ego59, prima band a esibirsi dopo la presentazione della serata.

Ego59

La sala poco animata rende l’esibizione della band attiva da 2016 inizialmente un po’ statica nel primo brano “Stop” con Lorenzo Costa molto serio con il suo basso headless a cinque corde e la voce di Riccardo Corradini che si perde un po’ nel mix, anche se Alberto Bellei, che, se devo eleggerne uno, è il vincitore del contest “reginetto della festa” per il suo aspetto carino da bravo ragazzo dell’ultimo anno (ha la camicia!) unito alla competenza con cui sciorina i suoi assoli mai fuori dalle righe e la sua ritmica rock sempre affidabile. Anche attraverso i ritmi più funk e la cassa potente di Stefano Roncaglia in “Immagine”, ultimo singolo uscito, stavolta con la voce dal pitch alto che caratterizza lo stile di questa line-up ben udibile.

Ego59

Alberto torna al centro dell’attenzione perché perde trenta secondi a cambiare un cavo ed è accusato bonariamente di eccessiva perizia da Riccardo (hai fatto 25 minuti di soundcheck solo tu, e ancora non sei soddisfatto) ma il suono della più melodica “Equilibrio” e della seguente “Tempi così” confermano che Alberto e compagni anche con una chitarra sola hanno i propri spazi sonori e le proprie frequenze ben distribuite in un muro di suono colorato e d’impatto, con impulso di cassa e batteria, linee di basso solide e assoli sempre originali senza “shred” eccessivi (ho sentito la citazione zeppeliniana, Alberto). Un solido Indie Rock italiano ben cantato e ben suonato che nella finale “Muori di me”, pestata e veloce, trascina verso la prima pausa.

Ego59

Nel pubblico non manca comunque Pietro Foresti, produttore dell’ultimo album della band, “Tempi Così” (qui la recensione) che si muove a ritmo dei suoni che ha contribuito a creare, come ha fatto per i Geyser che sentiremo alla fine, e per la prossima band: sono i pratesi Bluagata. La morfologia del palco cambia completamente, con la formazione a due voci e Federico Masi alla batteria, una specie di Thor dal fluente crine che potrebbe vincere a mani basse il titolo di “reginetto” della band se non ci fosse sul palco lo stilosissimo Folco Vinattieri dal viso decorato, la barba/pizzo a treccia, gli ampi pantaloni e la Telecaster sunburst maltrattata.

Bluagata

La compagine dei musicisti tendenti esteticamente al nero è completata da Lorenzo Mattei che suona un basso Rickenbacker spesso distorto mentre le due voci, Alessia Masi e Margherita Bencini, scalze e con toni di bianco su indumenti neri, presentano brani da “Di stanze e nevrosi”, il loro terzo album, con una presenza scenica fortemente energetica e teatrale.

Bluagata

I brani figli del periodo pandemico sono collegati dalla cornice narrativa di un ideale condominio in cui prendono vita diversi mondi umani, dalla nevrosi del consumismo in “Comodità” in cui si esplicita il genere eclettico giocato fra chitarra e basso di base cupo e gotico ma vivo e arrabbiato con ad esempio un intermezzo quasi Doom, a “Liberati” che dopo una intro inquietante si lancia in un blastbeat di batteria e in un gioco delle due voci che quasi ricorda il teatro di Carmelo Bene, esprimendo la parte più bestiale di noi che abitava questo appartamento. “Quattro Mani” dipinge invece un personaggio solitario e arrabbiato con la vita attraverso stacchi Metal su suoni più Industrial e la voce principale di Margherita affiancata in modo a volte dissonante da quella di Alessia.

Bluagata

Una nuova intro ancora più disturbante introduce la stravolta, quasi atonale e sorprendente cover di “I’m Blue”. La sala è un po’ più piena e il brano è accolto bene dal pubblico che viene poi accompagnato attraverso suoni elettronici e teutonici di “Persone Vuote”, che però è più lineare e cantabile date le notevoli qualità delle vocalist, per finire con la tempesta di “Non si vede” con cambi di tempo, aggressione vocale e un temporale di batteria che conclude il set.

Bluagata

L’eclettismo e l’espressività della formazione con le due voci femminili nella pur tumultuosa esecuzione è di qualità, e tiene alta l’emozione e il livello di intrattenimento. Dopo essermi espresso sulla perizia vocale posso finalmente anche pronunciarmi senza essere tacciato di patriarcato con un complimento estetico su queste due sorelle diverse che, non perché ho nominato “reginetto” il creativo Folco, siano meno magnetiche e attraenti del resto della band: sono tutti belli anche i Bluagata!

Bluagata

David Bonato torna sul palco ad annunciare, alzando le aspettative in modo penso preoccupante per loro, gli Endless Harmony da Verona che occupano lo stage con la irresistibile italo/dominicana Pamela Pérez che, malgrado l’outfit costituito da uno striminzito reggiseno nero sulla pelle ambrata che mette in risalto i riccioli scuri, anfibi e pantaloni larghi gessati, non vince il premio di reginetta della band che va invece al bassista Matteo Signorato, finalmente colorato dopo due bassisti total black, con la sua camicia stampata e i lunghi capelli rossi.

Endless Harmony

Gli Endless Harmony aprono con “Demonized” proponendo un mix esplosivo di Rock e Metal, con basso spesso slappato e scale vocali modali post-Grunge. Riccardo Cipriani è una specie di ingegnere del Metal che con una chitarra a 7 corde, una lussuosa pedaliera e un aspetto innocuo, cava fuori bombe a grappolo o arpeggi delicati con serafica tranquillità, e Giuseppe Saggin alla batteria che è una macchina da head-banging come dimostra il secondo brano, “To The Limit”, su cui Pamela raggiunge note appunto al limite dell’umana estensione e rotea i ricci come se la testa non avesse articolazioni.

Endless Harmony

“Another Place” ha una intro ondeggiante di basso con fingerp… tapping volevo dire, su quella parte di manico che praticamente non c’è più, e la voce che si snoda modulando, poi a ritmo, fino a un ritornello a voce spiegata, ritmiche a doppio pedale e un assolo melodico che strappano emozioni al pubblico, ormai consistente, colpevole però di applaudire sulla bella outro di basso di Matteo.

Endless Harmony

“Suffer” è più aggressiva e Metal, e definisce molto bene lo stile di questa band che sa essere diretta e cantabile anche se poi ci stordisce con cambi di tempo e stacchi. “98”, ultimo brano sempre tratto dall’album “Emerge”, ha un riff lento effettato con cromatismi e la ritmica del brano è tutt’altro che semplice, ma la linea vocale, anche se non è propriamente orecchiabile, detto come un complimento, tiene insieme le mitragliate su cui può poi ricamare vocalizzi fino al cambio di tempo finale con cui Pamela ci saluta con acuti al limite dell’ugola umana dopo l’esibizione di questa band molto tecnica ma coinvolgente nella composizione e nell’esecuzione.

Endless Harmony

Assisto ancora una volta al cambio di attrezzatura e vedo la differenza di generazioni: TMY, nome d’arte di Francesco Tumminelli già dei Deasonika, piazza nel punto del palco in cui precedentemente giaceva la ebenina e monolitica pedaliera digitale di Riccardo due mezze valigie ricolme di effettacci vintage analogici. Quando il resto dei The Elephant Man è pronto per lo spettacolo, la differenza generazionale e di maturità si fa palese: il palco si copre di fumi, la sala si riempie, la band è più compresa nel ruolo misterico e sciamanico e il cantante Maximilian (Max Zanotti) con una sorta di mohawk mi pare schiarito (le luci sono costantemente blu e viola) non parla, non annuncia i pezzi ed è concentrato a chiosare i brani con la pasta decisa e vibrante della sua voce che riecheggia anni Ottanta e Novanta.

The Elephant Man

“Drift”, dall’album “Sinners”, ha un interessante tempo dispari della batteria di Halle (Alessandro Ducoli) e del basso di Ivan Lodini e suoni filtrati e orchestrali della elegante chitarra Stratocaster effetto legno naturale di TMY, che per tutto il set colorerà lo spazio sonoro con il tuo tappeto acustico poco solistico e molto personale. La title-track “Sinners” ha una chitarra quasi Western ma la canzone si conferma poi in un ritmo dance Four-on-the-Floor dall’atmosfera Dark e Post-Punk.

The Elephant Man

Il cantante, dalla voce sempre in forma, resta nel retro del palco dietro a una qualche console mentre, attenzione! Il centro palco viene preso addirittura dal bassista. Il terzo brano è “Curtains” con accenti dispari e una vocalità più narrata, con un intermezzo di tastiera synth e… ho capito il mancato annuncio dei brani, stanno eseguendo l’album per intero nel suo ordine. “MyFriend” è una sorta di messa oscura che Maximilian celebra a volte a braccia aperte e che la band sottolinea con accordi stridenti e ritmi martellati. “Valerine” è più inquietante anche perché Max non sembra avere avuto in dotazione i 12 muscoli che servono per sorridere. In “Over The Mountain” fa però uso di effetti per la voce che spinge ad urla rauche su una chitarra Metal in brano dal tempo Dance.

The Elephant Man

La band propone poi la cover di “Human” di Rag’n’Bone man, meglio conosciuta sul web come “Napoli Juve Aperol” ma qui resa cupa e gotica al limite della malattia mentale. L’intro filtrata con eco del brano seguente precede l’unica concessione di Maximilian all’eloquenza verbale, nell’augurare buon compleanno a Vrec e lanciarsi poi nell’ancora più pesante “Free Ride to Hell”. “Payback” ha una chitarra quasi alla Mission Impossible fin nell’assolo, ma le atmosfere sono sempre quelle anni Novanta che richiamano qui l’era Numetal, anche se sempre colorata di tinte Post Punk, ricca di suoni di sintetizzatore.

The Elephant Man

Maximilian dirige gli applausi verso TMY che ha in effetti sostenuto il set con una gamma di suoni inaspettati e pieni e poi parla nuovamente, stavolta per fare gli auguri a Vrec prima di lasciarci, accogliendo gli ultimi applausi fra i fumi con le mani alzate come a mostrare che la celebrazione è finita, dopo la ballad creepy “Scream” chiusa da una base registrata con voci liriche.

The Elephant Man

Purtroppo per l’esibizione dei Geyser il pubblico si dirada un pochino, ma Fulvio Gibillini, vincitore del mio contest di reginetto, per l’outfit in total-black-and-white con t-shirt, Vans e Telecaster bianche e nere, non si risparmia neanche per un minuto nel proporre con la sua voce che scava delle note profonde per alzarsi vibrante sulle note più alte il repertorio Rock italiano del loro ultimo “Crepe”, da non leggersi alla francese ammonisce il bassista, espressivo racconto italiano di rotture emotive appoggiato su una base rock pesante che tiene conto della lezione del Metal spinto dalla batteria di Jacopo Telò, il basso e le armonie vocali di Mattia Corradin e la chitarra di Daniele Bonfiglioli, che sembra un po’ un commercialista finché non spreme il metallo fuori dalla sua Fender.

Geyser

“Dieci inverni” si apre appunto con una intro di chitarra e grida il mestiere di esistere in una sorta di elenco numerologico di battaglie mai vinte. Il ritmo è più sostenuto per “Randagi” ma Daniele appare tranquillo anche quando si lancia in un assolo tecnico con wha-wha o quando nella più Rock “A lungo andare” armonizza i riff con la seconda chitarra di Fulvio.

Geyser

“Itaca” è introdotta da un arpeggio marino mentre “Sfumature” è Rock potente con vocalità melodica e testi sempre interessanti e ben scritti, ma privi di una minima luce di speranza. Dovevi andare alla sagra del tortello se volevi stare allegro, mi direte, ma no, perché a me il liscio deprime di più, e quindi ascolto “Tutti contro tutti” che ha, come ci viene detto, un bel video girato da Filippo e raffiche di energia sonora con intermezzo sempre con wha-wha ed altri effetti, ma togliete il microfono al bassista Mattia quando non canta perché a canzone finita i suoi interventi che contrappuntano gli annunci di Fulvio secondo me nella serata sbagliata li faranno litigare. Sperando si tratti di normale dialettica fra amici, ci immergiamo in “Eliocentrismo”, canzone che senza qualcuno non sarebbe stata scritta a differenza di quelle che semplicemente si scrivono per qualcuno presenta Fulvio, che inizia come ballad e prende poi un tempo ternario veloce e coinvolge in un quadro emotivo struggente di protezione e consapevolezza di sé.

Geyser

“Calcare” riaccende il ritmo ma non migliora il mood, narrando in un parlato-urlato la rabbia del disagio, e in “Alla deriva” la dinamica di vuoti e pieni, arpeggi e battiti sostiene l’armonia delle due voci con il mantra le cose cambiano e il finale corale. In realtà a voler rendere giustizia al racconto interiore dell’album, si evince anche una ricerca continua di solidità interiore che, se non speranza per il futuro, indica almeno una strada di resistenza.Il set si conclude con “La prima notte tranquilla” (ma non lo è stata per niente) dal ritmo spezzato di batteria su cui viene presentata la band e soprattutto annunciato il compleanno di Daniele, definito lider máximo, che sornione e impassibile si lancia nel pezzo che chiuderà con fischi lancinanti di chitarra, lasciando poi il palco agli applausi finali per David e tutte le band, o quel che ne rimane perché alcuni di loro vengono da lontano ed è mezzanotte passata.

Geyser

Applausi per questa serata carica di contenuti e suoni ricchi di qualità, ricerca ed emozione. La selezione portata al Legend da Vrec fa ben capire l’attitudine e lo stile editoriale di questa vivace e consolidata etichetta fieramente indipendente, e non deve fare altro che convincerci a seguirli sui social e in tutte le loro manifestazioni di novità, per non perderci niente di quanto meno interessante.

Geyser

Unica pecca, per un inguaribile ottimista ma sensibilone come me, il mood emotivo della serata la cui costante è stato un viaggio fra i colori più cupi dell’esistenza nel quale era impossibile non essere coinvolti, credo di non aver sentito un solo accordo maggiore in tutta la serata (per i non musicisti, gli accordi maggiori nell’estetica occidentale evocano positività e serenità, mentre quelli minori tristezza o rabbia), ma appunto, se non la sagra del tortello, ci sono le playlist Rockabilly per questo.
Grazie. Grazie Vrec per aver dato voce a questa rassegna di talenti veri, senza una sola caduta di livello.

Articolo di Nicola Rovetta, foto di Michele Arduini

Set list Ego59

  1. Stop
  2. Immagine
  3. Equilibrio
  4. Tempi Così
  5. Muori di me

Set list Bluagata

  1. Comodità
  2. Liberati
  3. Quattro Mani
  4. I’m Blue
  5. Persone Vuote
  6. Non si vede

Set list Endless Harmony

  1. Demonized
  2. To The Limit
  3. Another Place
  4. Suffer
  5. 98

Set list The Elephant Man

  1. Drift
  2. Sinners
  3. Curtains
  4. My Friend
  5. Valerine
  6. Over The Mountain
  7. Human
  8. Free Ride To Hell
  9. Payback
  10. Scream

Set list Geyser

  1. Dieci inverni
  2. Randagi
  3. A lungo andare
  4. Itaca
  5. Sfumature
  6. Tutti contro tutti
  7. Eliocentrismo
  8. Calcare
  9. Alla Deriva
  10. La prima notte tranquilla

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