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Bright Eyes “Down In The Weeds, Where The World Once Was”

“Down in the Weeds, Where the World Once Was” ha il sapore e lo spessore delle opere di un tempo, dei 33 giri da mettere su piatto, per sedersi sul divano e ascoltare, senza fretta

Ci sono voluti quasi 10 anni di attesa per “Down in the Weeds, Where the World Once Was”, visto che il precedente lavoro dei Bright Eyes, “The People’s Key”, risale nientemeno che al 2011. Non so se il tempo e la stratificazione di spunti e idee sia stato cruciale; senza dubbio è un bene che la band sia tornata sulle proprie decisioni e sulle scene, perché questo nuovo album (in uscita per Dead Oceans) ha davvero una moltitudine di cose da dire e da dare.

L’inizio giocoso di “Pageturner’s Rag”, una non-canzone fatta di suoni e spoken, è divertente e cattura l’attenzione. Poi si fa subito sul serio con “Dance And Sing”, un brano ispirato, pervaso da un respiro di frontiera misto a una dolce malinconia: uno dei momenti più belli dell’intero disco. La voce del cantante Conor Oberst, da qui in poi, sarà il filo di Arianna che guiderà l’ascoltatore in maniera eccellente nella fruizione dell’intera opera.

Mariana Trench”, quarto singolo estratto, non solo ospita Flea al basso e Jon Theodore alla batteria, ma presenta un video assolutamente da vedere, opera del collettivo “Art Camp”. È stato girato con una tecnica di animazione e colorazione molto originale attraverso 2.200 illustrazioni realizzate a mano, amalgamate grazie al supporto dell’animazione in 3D. Il risultato è da non perdere.

Once and Done”, dall’andamento lento e ritmato, si apre alla grande sul finale, in un crescendo di strumenti, effetti e voci che sembra appartenere ai titoli di coda di un film. “Pan and Broom”, episodio leggero e spensierato, è arricchita dal supporto di un synth perfetto per l’occasione, più una voce femminile che bilancia bene le asperità interpretative del front-man.

L’ausilio di altri strumentisti, oltre al trio originario, fa sentire il suo peso positivo in ogni canzone; ed è sempre riuscitissima l’orchestrazione degli arrangiamenti, calibrati e pieni, che donano valore aggiunto a un impianto base che resta di derivazione cantautoriale.

L’andamento di “Stairwell Song” è riempito in modo intelligente dagli interventi di tromba e, sul finale, da un dolce muro sonoro che strizza l’occhio al Musical. “Persona non grata” ricalca l’andamento vocale del miglior Michael Stipe, a supporto di un testo pregno di rimpianti e immagini evocative.

Nelle liriche è sempre presente, chiara, l’esperienza di vita di Oberst, che tra alti e bassi, un divorzio, la morte del fratello e tutto ciò che il destino riserva all’uomo comune, riesce comunque a conservare un posto d’onore per le emozioni positive: i bei tagli di luce e ombra, il dolore positivo, il ricordo dolce-amaro.

“Forced Convalescence” riprende l’approccio dei R.E.M. più sognanti di “Up” e “Reveal”, soprattutto nel ritornello. “To Death’s Heart (In Three Parts)” mostra una partitura splendida di batteria e percussioni, nonché un notevole connubio chitarristico. Il testo, oscuro e intriso di sofferenza, mette in campo con grande tatto la terribile malattia affrontata (e superata) dal cantante.

Ancora perdita, afflizione, vicinanza dell’Oscura Signora con la Falce, sia in “Calais to Dover” che nella conclusiva “Comet Song”, ma con un approccio melodico più propositivo, spalancato sull’accettazione del destino personale e delle cose tutte.
Un ritorno in grande stile insomma, una proposta con la capacità di riaffermare le proprie radici e, contemporaneamente, di rinverdirle attraverso l’aiuto di nuove suggestioni, nuovi strumenti, nuovi musicisti.

Un approccio tutto d’un pezzo, vecchio stile, un album di ben 14 tracce che potrebbe risultare troppo lungo per gli standard musicali dei giorni nostri.  Ma la durata, credetemi, è proprio quella che serve a un disco del genere per esprimersi al meglio. E se cercate un ascolto da “una botta e via”, be’, avete sbagliato titolo.  “Down in the Weeds, Where the World Once Was” ha il sapore e lo spessore delle opere di un tempo, dei 33 giri da mettere su piatto, per sedersi sul divano e ascoltare. Senza fretta. O, meglio ancora, di quelle cassette da inserire nello stereo all’inizio di un lungo viaggio in macchina, per farselo scorrere sottopelle lungo le strade che vi condurranno alla vostra meta.

Articolo di Simone Ignagni

Track List “Down in the Weeds, Where the World Once Was”

  1. Pageturner’s Rag
    2. Dance And Sing
    3. Just Once in the World
    4. Mariana Trench
    5. Once and Done
    6. Pan and Broom
    7. Stairwell Song
    8. Persona non grata
    9. Tilt-A-Whirl
    10. Hot Car in the Sun
    11. Forced Convalescence
    12. To Death’s Heart (In Three Parts)
    13. Calais to Dover
    14. Comet Song

Line up Bright Eyes

Conor Oberst – voce, chitarra, tastiere, basso
Mike Mogis – banjo, mandolino, chitarra acustica, chitarra elettrica
Nathaniel Walcott – organo, tromba, fisarmonica

Andy LeMaster – chitarra, voce, basso
Anton Patzner – violino, basso
Rachel Blumberg – batteria
Janet Weiss – batteria

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