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Maurizio Solieri “Resurrection”

Rock, sia a tinte forti, che con leggere pennellate

Partirei dalla grinta dell’immagine in copertina. Il vecchio leone del Rock made in Italy, selvaggio, con tanto di criniera, mentre urla dopo il lancio di un accordo. Un ruggito vero. Come questo disco. Sembra dire, in modo chiaro, sono qui, sono tornato e ora vi faccio sentire com’è la storia, imitando un poco lo slang delle sue parti.

Maurizio Solieri, chitarrista emiliano, è uscito il 16 settembre 2023 “Resurrection” (Irma Records), album al quale ha lavorato in tempo di Covid, e che già nella riedizione del suo libro (la nostra recensione) aveva anticipato, lo dico per come l’ho capita, come lavoro lungo, curato e che non aveva fretta di uscire. Nove pezzi, come si faceva un tempo nei vecchio lp: quattro sul lato A e cinque sul lato B. Nessuna battage pubblicitario. Carsico. Chi vuole lo deve cercare, come si fa oggi con la buona musica. E in questo album ne trovate tanta. Al suo fianco, per metterla in atto, un gruppo di amici fedelissimi: il figlio Eric Solieri alla batteria, Michele Luppi e Lorenzo Campani. Pochi, ma molto buoni. Ha bisogno di lavorare così Solieri. A conti fatti, il risultato è ottimo. Per diversi fattori.

Il primo riguarda la varietà musicale. Non è un concept album, ma è un lavoro dove con la musica ci si diverte. Sono suoni destinati a piacere e, su alcuni pezzi, c’è una irresistibile voglia di “fare la mossa” del chitarrista. Il suono, poi, è pulito, sia nella versione cd che in quella vinile. Registrazione da manuale. Solieri, proseguiamo, non scimmiotta se stesso, non imita, non rimpiange, ma suona sereno, lo si sente in tutte le tracce, e dimostra classe, da vendere. Inutile cercare di scrivere quello che tutti i fan di una certa parte della sua storia vorrebbero gridare al vento. Lui lo sa, e va bene, va bene così. Con questo album, ancora una volta, ha dimostrato dove sta di casa la vera matrice rock.

E pensare, così scrive in “Questa sera Rock’n’Roll. La mia vita tra un assolo e un sogno” (Rizzoli), che il tutto nasce da auto didatta. Senza saper leggere la musica, così scrive. Non la saprà leggere, ma la sa fare. La sa colorare. La sa far diventare calda. Doti che hanno in pochi. Solo quelli che possiamo definire i migliori. Senza per forza rimandare ai soli del connubio con Vasco (ecco, alla fine l’ho citato…), vorrei ricordare che il chitarrista di Concordia ha stregato, fra gli altri, il pubblico degli AC/DC a Udine. Le stesse persone che, dopo la su esibizione, fecero quasi fuggire, a gambe levate, Le Vibrazioni. Pubblico esigente. Ovvio, è vero, ma dall’altra parte c’era un vero chitarrista rock, che non ha rinunciato, anche in quel contesto, al colore, alla passione e alla malleabilità dei suoi suoni. Il suo tocco è firmato, griffato. Lo si sente. Lo si riconosce.

Il lato A del nuovo vinile, complessivamente, è da 10 e lode. Rock, sia a tinte forti, che con leggere pennellate. Partenza a tutta velocità, per poi arrivare a un sound, con “Jimmy”, ultima traccia del lato A, che richiama i Dire Straits. Un’eco lontana. Questo brano, nato negli anni ’90, cantato dallo stesso Solieri, è una vera lezione di stile. Atmosfera da cinema, con sigaretta in bocca, per guardare scorrere la storia dei tre uomini semplici, umili e nostrani che danno vita alla trama della canzone. C’è tanto suono dentro questo brano, con la chitarra principale che fa sentire tutti a casa, dopo anni di suoni distorti, grattugiati e apostrofati come post. Qui c’è pulizia, semplicità, morbidezza. Non è facile mettere tutto insieme, dando poi calore e colore. Solieri ci riesce. C’è sempre riuscito. E ci riesce ancora. Stessa cosa per il potente primo brano, “Rock’n’Roll Heaven”, primo 10 e lode di questo disco, con un incipit che spinge a tornare indietro di continuo, per riascoltarlo. Brano a trazione rock, con tanto virtuosismo, che rimanda alle cavalcate di Van Halen. Inizio da manuale, con chitarra e batteria; poi arriva la voce.

Solieri non è grunge. Per quanto possa essere arrabbiato, e non è detto che lo sia, la sua chitarra ha sempre guardato al Rock come terreno non di conflitto, ma di pace. Armonia finalizzata alla ricerca di bellezza, è ciò che da sempre esprimono i suoni creati, in diverse occasioni, da Solieri. La sua chitarra parla, non fende. Le sue sei corde accompagnano, non tagliano. In questa storia, cantata sempre dallo stesso chitarrista, parte del mondo del Rock si ritrova in Paradiso, c’è grande equilibrio sonoro. È fra i brani più ricchi di suono del disco, ed è anche quello che ne detta il ritmo.

La title track è la canzone più dura, e ci voleva. Fatemelo dire: questa traccia profuma di Rock internazionale. E il rimpianto, per chi scrive, è di non poter sentire questa musica con le parole di … No invece, perché ha fatto bene Solieri a metterla qua, in questo suo lavoro. Così l’ha definitivamente liberata, ed è sua. Tutta sua. Pezzo da incorniciare. “I didn’t know”, ballad classica, con arpeggio accarezzato iniziale, che richiama – non me voglia – la morbidezza dei suoni di Daryl Stuermer, anche se Solieri non ha bisogno di nessun rimando ad alcuno per certificare il lavoro di cura compositiva messo in atto in questo lavoro.

Veniamo al lato B, che si chiude con due pezzi semplicemente perfetti. “Renaissance” è l’unico strumentale (però un disco solo suonato ce lo deve regalare Solieri), ed è un brano che crea dipendenza. Se l’album si apre duro, si chiude invece con grande melodia, con tanto di suono prodotto dalle dita sulle corde. Un pezzo che dimostra tutta la poesia che Solieri ha sempre messo nel suo modo di suonare la chitarra. Da “Take a little love”, che era comunque nata come un Rock morbido, e non a tinte hard, come è diventata ultimamente (sto parlando di “C’è chi dice no”, così è conosciuta…), fino a questa ultima traccia, che mi ha portato a pensare alle atmosfere di Al Di Meola. Non mi dilungo molto sulle tre tracce in italiano. Ed ecco perché, per trattare il lato B, sono partito dalla fine. Confesso che non le ho fatte mie. Le ho ascoltate con fatica. La colpa è di certo mia, non di Solieri. “Lacrime e sangue”, è un brano melodico con un buon testo (soprattutto la parte finale). “Sei già qua”, sono onesto, e Solieri merita solo onestà per questo bel lavoro, lo trovo un pezzo troppo orecchiabile. Come del resto “Tommy”, con quel ritmo da serie Tv anni ’80.

Per chiudere, mi soffermo su “While the lights go down”, il secondo brano che merita la lode, ma questo, a differenza del primo, per tutto l’insieme. Voce e atmosfera da Rock lanciato su una lunga strada, on the road. Colonna sonora ideale per un viaggio, con vento nei capelli.  Le chitarre di Solieri fanno viaggiare e sognare, sia nella parte dei soli, che in quelle di accompagnamento. La batteria riempie ogni spazio, con potenza. L’Hammond che dialoga con la chitarra di Solieri è uno dei momenti più belli del disco. La chiusa, con la batteria, è ciò che rende epica questa traccia.
Investite su questo lavoro, non ne sarete delusi. 

Articolo di Luca Cremonesi

Track list “Resurrection”

  1. Rock’n’roll Heaven
  2. Resurrection (Just Like A Remedy)
  3. I Didn’t Know
  4. Jimmy
  5. While The Lights Go Down
  6. Lacrime e Sangue
  7. Sei già Qui
  8. Checkin’ Out Your Throne
  9. Tommy
  10. Renaissance
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