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Nevermind-Nirvana

Nirvana “Nevermind”

C’era una generazione che aveva la necessità di trovare semplicemente lo spazio per esprimere ed esternare il proprio malessere

Dopo la buona accoglienza del primo lavoro “Bleach”, i Nirvana tornano in studio per la registrazione del loro secondo album, “Nevermind”, con il subentro alla batteria di Dave Grohl su Chad Channing. Cambio anche di etichetta; per Kurt Cobain e compagni si passa dalla Sub Pop Records alla Geffen Records.

Recensire “Nevermind” dei Nirvana potrebbe risultare scontato, banale, dovendo andare a toccare un tema così ampiamente affrontato e discusso. Sventrato e rigirato. Analizzato e approfondito. E allora perché la necessità di parlare di un album che ormai è nel DNA di ognuno di noi?

Semplicemente perché niente accade per caso, perché, nel momento in cui stai vivendo il periodo più grunge della tua vita, in cui stai per immergerti in una delle più belle mostre fotografiche alle quali hai partecipato, come “Come As You Are. Kurt Cobain and the Grunge Revolution” in una Firenze strozzata all’apertura dal Decreto ministeriale sul Coronavirus, una serie di fatti accadono e tutti riportano lì, a farti rivivere quei racconti cupi, bisbigliati, sussurrati e per certi versi straziati di una band – e del loro frontman – che mai avrebbero immaginato di ritrovarsi ad affrontare le conseguenze di un successo planetario. Perché di questo si tratta.

I Nirvana, agli inizi degli anni Novanta, si sono fatti condottieri inconsapevoli di un movimento che stava aspettando qualcuno che gli desse visibilità. Quello stile e quel modo di vivere con cui ogni città stava iniziando a fare i conti, da Seattle al resto del mondo, ma di cui nessuno stava parlando. Se il Rock aveva dato voce e coraggio alla classe operaia, il Punk aveva stanato i reietti, il Metal aveva avvicinato e sdoganato suoni occulti ed esoterici, nessuno aveva mai pensato a chi un lavoro non ce l’aveva, a chi viveva ai margini, magari sui marciapiedi, a bordo di uno skate, con le Vans ai piedi, i jeans strappati.

Ragazzi malinconici e depressi che non riuscivano a trovare il loro spazio e neanche a sognare le Cadillac scintillanti di Springsteen, troppo timidi e insicuri per sfidarsi a colpi di rime (e di proiettili) nei duelli tra la East e la West coast.

C’era una generazione che aveva la necessità di trovare non tanto una comfort zone, ma semplicemente lo spazio per esprimere ed esternare il proprio malessere, senza la pretesa di cambiare se stessi o gli altri. Ma tutte queste intenzioni vennero spazzate via nel momento in cui un angelo dai capelli magici viaggiò dalla periferia di Aberdeen fino a quella di Seattle. Qui, tra relazioni tortuose e dimore improvvisate, assieme al bassista Novoselic e alla new entry Grohl alla batteria, inizia a scrivere una pagina fondamentale dei libri di storia della musica e della cultura americana.

Vogliamo parla della genesi dei Nirvana? Oppure delle origini di Kurt o Dave? Non risiederebbero in queste righe nozioni o curiosità interessanti diverse da quelle che molti cristi possano aver scritto sull’argomento. Le rispettive pagine su Wikipedia sono ben fornite di informazioni e dettagli, il web saturo di documentari. Questo è un racconto che viene dal ventre, in un momento storico di “reclusione forzata”, nel quale ognuno di noi deve fare i conti con il dover rinunciare al normale vivere quotidiano, ecco che torna così, d’improvviso, irriverente, un album con il quale ho dovuto fare i conti da sempre.

Sì, ci sono i pezzoni classici, quelli che dopo ventotto anni è venuto a noia anche a te ascoltare (il buon Kurt ci aveva messo decisamente meno), ma li riascolti e ti rendi conto di quanto ormai facciano parte della tua anima e del tuo modo di essere. In un’epoca in cui tutto è immediato e scontato, quasi ci si dimentica della sensazione provata, in quell’autunno del 1991, quando dal nulla – Bam! – “Smell Like Teen Spirit” irrompe nella quotidianità mediante quel fantastico veicolo che era MTV di allora.

Impossibile rimanere passivi. Bellezza, agonia, ribellione, amarezza. Cinque minuti di assedio e capisci che finalmente i Nirvana – e il Grunge – hanno preso forma e sono pronti per spiccare il volo. Se “Bleach” era stato segnalato un buon lavoro, discrete erano le aspettative per questo nuovo album, costruito, suonato, mixato e improvvisato agli Smart Studios per conto della Geffen Records. La scelta di avere Butch Vig in cabina di regia risultò vincente.

Segnali positivi di incoraggiamento arrivarono dai dati di vendita dell’album “Goo” dei Sonich Youth, e “Nevermind” avrebbe dovuto almeno ripeterne le sorti. Se il primo era arrivato a vendere 250.000 copie, il secondo sarebbe arrivato ad oltre 300.000. La settimana. Nei primi mesi di vendita. Dopo un biglietto da visita importante come “Come As You Are”, si passa a “In Bloom”, e la rabbia di Cobain inizia ad essere il mood portante dell’album. Ca va sans dire che la traccia seguente non poteva essere che quel monumento di “Come as you are”. Sii quello che sei e sii come sei. Prenditi il tuo tempo, muoviti! Oggi nessuno ci parla più così.

Se dentro le vene hard rock del Grunge scorre sangue Punk, “Breed” è lì a ricordarcelo. Rabbia, delusione e tristezza non si placano con “Lithium”. Si legge che la stesura dei testi non fosse semplice da parte di Cobain, il quale preferiva dare priorità alla composizione melodica passando poi ore interminabili in solitudine alla ricerca dell’ispirazione, la stessa riscontrabile nel brano. Amori perduti, amici immaginari… Kurt è nel pieno dei suoi tormenti, e tormentato è il destino di “Polly”, stuprata e violentata che solo in questo brano riesce a ritrovare una libertà immaginaria. Inciso con la sola chitarra di Cobain, troviamo verso la metà un assolo di basso capace di lasciarti sospeso nel vuoto in attesa di ciò che accadrà.

A riprenderci sono i due minuti e poco più di “Territorial Pissing” e a questo brano molto devono la maggior parte delle punk rock band di metà anni Novanta. Un ponte con il passato, con i Ramones da una parte e i New York Dolls dall’altra, e la new generation si costruisce sulle solide basi di “Drain You”, “Lounge Act”, “Stay Away” e “On a Plain”. Il disco avrebbe potuto concludersi così, tra l’insoddisfazione di Cobain che non lo riteneva abbastanza sporco e graffiante.

Sarebbe finita qui se un giorno Kurt non fosse piovuto in studio all’improvviso soltanto con la sua chitarra in mano, si fosse seduto sul divano e avesse gridato a Vig “Sbrigati, registra!”. Quella prontezza ci lascia in eredità una perla difficile replicare. La registrazione di “Something In The Way” venne improvvisata completamente. Furono aggiunti in seguito il basso ed il violino, effetti non graditi in un primo momento da Kurt che raccoglie in questo ultimo racconto la sua infanzia, chiudendo il cerchio malinconico di “Nevermind”.

Dopo di questo niente, purtroppo, sarebbe più stato lo stesso. Con il senno di poi, avremmo preferito qualche milione di copia venduta in meno e una reazione globale meno impattante. Vivere sotto i ponti, suonare in club sudici, convivere con i mostri nella nostra testa, gli amici immaginari e i dolori allo stomaco. Non sono forse questi i tormenti contro i quali combattiamo ogni giorno?

Articolo di Andrea Scarfì

Track list “Nevermind”

1. Smells Like Teen Spirit
2. In Bloom
3. Come as You Are
4. Breed
5. Lithium
6. Polly
7. Territorial Pissings
8. Drain You
9. Lounge Act
10. Stay Away
11. On a Plain
12. Something in the Way
(13. Endless, Namless – Ghost track)

Line up Nirvana: Kurt Cobain voce, chitarra / Krist Novoselic basso / Dave Grohl batteria, voce

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