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Pink Floyd “The Dark Side Of The Moon live 1974”

Live sublime. Semplicemente perfetto. Suonato dai nostri quattro musicisti, in splendida forma

Ci risiamo, un poco come sta accadendo con il gli U2 (la nostra recensione), solo che questa volta la materia è ancora più delicata di quella del quartetto irlandese. “The Dark Side of the Moon”. I Pink Floyd. Già, qua c’è da aver paura. Per davvero. Cosa si può scrivere di nuovo e di interessante sui Pink Floyd che già non sia stato detto? Nulla. Allo stesso tempo, cosa scrivere di nuovo e interessante su “The Dark Side of the Moon”? Nulla. Ben detto, ci fermiamo qua. E invece… Per prima cosa, c’è stato un breve periodo durante il quale (inverno 2023) il gioco era sparare nel mucchio e affermare, con scioltezza, che in fin dei conti questo non è un grande album. Anzi, c’è pure chi ha detto (e scritto) che fa schifo. Insomma, un gioco al massacro. Tanto i social legittimano e rigurgitano tutto, all’insegna dell’infocrazia descritta, magistralmente, nell’ultimo volume del filosofo Byung-chul Han. Nel regime dell’informazione essere liberi non significa agire, ma cliccare, mettere like e postare, scrive il pensatore tedesco. Poi siamo passati alle lamentele per i prezzi, come se qualcuno ordinasse di acquistare tutto, e il giorno stesso dell’uscita. Infine, il malessere legato alla mancanza di roba buona e nuova.

E così, mentre si celebrano i cinque decenni dall’uscita dell’album originale (era il 1 marzo 1973), i Pink Floyd decidono di far arrivare sugli scaffali dei negozi di musica (il 24 marzo 2023) un nuovo super cofanetto che fa drizzare i capelli agli appassionati, per via del prezzo appunto (circa 300 euro); ma che rende però felici i completisti, che hanno un pezzo in più da aggiungere alla collezione; e, allo stesso tempo, che scontenta chi invece attende nuove cose, che mai arrivano. Nello stesso periodo, per rovinare la festa, ci si è messo pure Roger Waters. Poi la moglie di Gilmour. Poi gli altri. E così via. Morale della favola, polemiche. Serviva questo nuovo cofanetto, diventa la domanda tormentone e che gira ovunque. Di fatto l’Immersion di alcuni anni fa conteneva tutto quello che c’è qui in questo nuovo cofanetto. Vero, ma in parte. Qui c’è un bel libro, poi tutti i vari supporti, comprese le lacche da 180 gr (come abbiamo fatto a vivere senza), versione restaurate delle versioni restaurate e, infine, il live al The Empire Pool Wembley (Londra) del 1974.

È pur vero che anche questo non è nulla di inedito. Era già presente nell’Immersion, ma solo lì. Ora, invece, oltre a essere nel cofanetto, il live del 1974 è stato pubblicato anche come vinile (senza versioni colorate, a oggi…) e come cd singolo. In sostanza, lo si può comprare come album a se stante. Di questo andremo a parlare, dunque. Non certo di un grande classico come il disco originale.

Si tratta di un live sublime. Semplicemente perfetto. Suonato dai nostri quattro musicisti, in splendida forma, con l’aggiunta solo di tre altre componenti: Dick Parry al sassofono in “Money” e “Us and Them”, Venetta Fields e Carlena Williams come vocalist in… dai, lo sappiamo tutti in che brano. La bellezza di questo live, conosciuto a pezzi dai più (vari brani vennero pubblicati qua e là nel tempo), ascoltato, a oggi, solo dai possessori dell’Immersion (e manco disponibile su Spotify, fino a pochi giorni fa), oppure nelle varie versioni bootleg (neppure malvagie come registrazioni), è nel pensare che tutto quello che si sente è stato suonato solo ed esclusivamente dai nostri quattro. Senza aggiunta di nulla e di nessuno.

Ad oggi, infatti, la versione integrale live di “The Dark Side of the Moon” era disponibile solo su “Pulse” (live del 1995). Oltre all’assenza di Roger Waters in formazione, su quel palco c’erano uno stuolo di musicisti infiniti. “Time”, come già nel live precedente, e cioè “Delicate Sound of Thunder” (del 1988), vedeva per esempio, accanto a Nick Mason, un percussionista con mille strumenti (e bacchette che si illuminavano, una meraviglia…). Dei chitarristi, mi si passi l’esagerazione, si perdeva il conto. Per non parlare della strumentazione elettronica. Non che fosse un male, i Pink Floyd post Roger Waters, infatti, sono una macchina live praticamente perfetta. Ma questa perfezione la possiamo ritrovare anche in questi nastri, ben ripuliti e tirati a lucido. Il suono è perfetto, pieno e potente. Il pubblico c’è, si sente (e non come accade ormai nei concerti di ultima generazione, dove lo si fa scomparire) ed è parte del suono. Allo stesso tempo ci sono quelle piccole variazioni che sono frutto di un lavoro, come è noto, che i Pink Floyd avevano già fatto dal vivo fin dal 1972, nel tour di “Middle”, quando iniziarono a mettere mano, nei live, ai nuovi pezzi che sarebbero confluiti dell’album del 1973. Questo permise di arrivare in studio, nel 1973 appunto, con il disco già ben rodato, e i suoni che sapevano già dove dovevano stare. Eppure dei margini di manovra c’erano ancora, cosa che, invece, così pare, con gli ultimi lavori con Waters presente in formazione, non esistevano più.

Ecco, proprio Waters. Si vocifera di una sua versione di “The Dark Side of The Moon” suonata senza i tre compari. Speriamo sia solo chiacchiericcio. In ogni caso, e lo dimostra anche la scaletta del recente ultimo (definitivo?) tour, il Waters solista di fatto non esiste. In questo tour, come negli ultimi due, di canzoni sue (composte da solista) ne esegue poche, anzi, pochissime. Anche il suo vero capolavoro (da solista) “Amused to Death”, è completamente ignorato (e lo poteva suonare tutto dal vivo per una volta, senza tante polemiche). Come l’ultimo suo lavoro quel “Is This The Life We Really Want?”, che brutto affatto non è. Alla fine, dopo tante polemiche, anche lui si riduce a suonare la musica creata con i suoi compari. Quindi ci risparmi il suo veleno. Perché le litigate alla fine, ci hanno già fatto sprecare un’occasione d’oro, e cioè “Animals” con materiale inedito, o con un bel live di supporto. Qui, e cioè nel cofanetto di “The Dark Side of the Moon”, quanto meno i Pink Floyd non hanno penalizzato quanto già uscito. Anzi, lo hanno ben ripulito e tirato a lucido. Ci torniamo subito.

“Speak to me” suona come nei live degli anni ’90, solo che è stata eseguita nel 1974. Gilmour lavora un poco di chitarra, all’inizio, giusto qualche nota diversa, in più. Ci sta, ed è davvero roba inedita, perché neppure in “Pulse”, e nei suoi live da solista, aveva ritoccato quei suoni. “Time” è perfetta. Anzi, sincerità per sincerità, è (sempre stata) meglio dal vivo che sull’album originale. È la canzone live per eccellenza. Qui, nella versione del 1974, la voce di Wright, sembra davvero trasfigurata. Per dirla tutta, si capisce la sofferenza delle versioni degli anni ’90 e, soprattutto, nel “Live in Gdańsk”, mix dai concerti solisti di Gilmour che lo volle spesso al suo fianco. “Money” è più veloce, e il basso di Waters è suonato in modo perfetto. Bello. Pieno. Potente e meccanico, come deve essere su questo pezzo. In ciò che c’è di live in giro, nelle varie epoche, e nei vari concerti dei Floyd, come dei solisti alla rinfusa, “Money” non verrà mai eseguita nella versione lenta presente nell’album originale. Nel 1974, poi, Gilmour, sempre in “Money”, lavora sul solo, senza modificarlo troppo, ma variandolo e modulandolo. Solo nel 1988, nel tour diventato poi “Delicate Sound of Thunder”, c’è quel solo molto rock, che va oltre quella lentezza tipica di Gilmour, quella con la quale, mi sia concesso, ha smontato il Punk, e tutto ciò che quella ribellione aveva generato. Sarà quel che sarà, ma Gilmour resta un gigante delle sei corde, e fra i pochi che hanno uno stile che si riconosce in cinque secondi. Bello, poi, anche il passaggio fra “The Great Gig in the Sky” e “Money”, di fatto fuse insieme, con soluzione di continuità.

Sono piccole differenze, davvero, ma che rendono migliore ciò che era davvero difficile migliorare.  Qui sta la novità, e se amate i nostri eroi, questi sono davvero piccoli e preziosi tesori. Come d’altronde la lunghezza di “Any Colour You Like”, che risulta quasi essere la jam di una band che dimostra davvero di star bene, di divertirsi, di essere serena, e di saper fare tanto, e bene, solo in quattro. Se si pensa, poi, alla differenza con l’oggi, dove i tre superstiti, girano invece con super band… Vien da pensare cosa ci siamo persi con le loro liti, e cosa hanno perso loro con le loro liti. Il finale, poi, non si tocca. Ci mancherebbe altro. Quello è da manuale, e cioè “Brain Damage”, sempre, al contrario di “Money”, leggermente più lenta dell’originale, e poi “Eclipse”.

L’unico rammarico è che non ci sia dell’altro di quello show. Si sa, dai bootleg come dai blog, che c’erano in nuce altri brani, portati in tour ben prima di finire sul disco, come una buona parte di “Shine On You Crazy Diamond”, e una versione rimaneggiata di “Eclipse”. Di questa però, ma non proprio di quella del 1974, c’è traccia nei sette cofanetti di “The Early Years 1967-1972”. L’ultimo rammarico, poi, è che non avremo mai un tesoro come “The Early Years” e come “The Later Years”. Gli anni in mezzo, per intenderci, sono destinati a restare cosa desiderata, perché fra i due litiganti, nessuno di noi gode.

Dunque, detto fra di noi, bando alle ciance e alle polemiche. Se volete ascoltare i Pink Floyd in splendida forma non vi resta che comprare questo live del 1974. Se poi volete farla tutta, prendete il cofanetto. Qui abbiamo in mando un pezzo di storia. E nessuno mi risulta che si sia mai lamentato dei continui cataloghi che si redigono sull’opera di Picasso. Come nessuno si è mai lamentato delle varie incisioni delle sinfonie, e delle musiche, di Mozart. Invece qui, per i Pink Floyd, ci si deve lamentare. Forse, allora, fanno bene i due – Waters e Gilmour – a litigare. Loro, a conti fatti, sono fatti così. E noi siamo così. Non siamo da meno.

Articolo di Luca Cremonesi

Track list The Dark Side Of The Moon live 1974”

  1. Speak to me
  2. Breathe (in the air)
  3. On the run
  4. Time
  5. The great gig in the sky
  6. Money
  7. Un and them
  8. Any colour you like
  9. Brain damage
  10. Eclipse
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