Riff di chitarra energici, testi maliziosi e giri di basso corposi … Gli Struts sono tornati in pieno splendore con il loro nuovo album “Pretty Vicious” pubblicato da Big Machine/John Varvatos Records il 3 novembre. L’album sembra un loro ritorno alle origini, alle canzoni che ci hanno fatti innamorare del loro Pop Rock in pieno stile inglese. Rispetto al loro penultimo album, “Strange Days”, qui non troviamo nessun featuring. Tutte e undici le tracce presentano la classica formazione: Luke Spiller alla voce, Adam Slack alla chitarra, Jed Elliott al basso e Gethin Davies alla batteria. È proprio questa mancanza di featuring che rende “Pretty Vicious” un perfetto ritorno sulla scena.
Apre “Too Good At Raising Hell”, uscita come singolo e diventata presto virale. Fin dai primi secondi veniamo trasportati nel caratteristico immaginario degli Struts: glitter, vestiti firmati, sostanze… insomma, l’immaginario di vita da rockstar. Un apertura dell’album con il botto: un ritornello rifinito da power chords graffianti, melodia accattivante e batteria che si concentra sulla potenza dei tom.
“Pretty Vicious”, traccia omonima all’album, appare subito più scura. Si apre con voce sussurrata, il riff di chitarra e il giro di batteria sono ridotti al minimo. Eppure, quest’apertura che suggerirebbe una ballad rock, in realtà si trasforma in un lento crescendo. Esplode al secondo ritornello, grazie alla voce di Spiller che canta con un’espressività eccezionale. Oltre al punto di vista strumentale è interessante anche il testo: pur trattando del canonico tema della “femme fatale”, esso viene trattato con intrigante veridicità. Spiller, durante la nostra intervista al Beat Festival (live report), ha ammesso che il loro nuovo album è così autentico perché tratta di persone realmente esistite. Riascoltando “Pretty Vicious” dopo questa informazione è impossibile non arrossire, chi non vorrebbe essere la ragazza che ha ispirato la canzone?
Chiude “Somebody Someday”, con un’intro di solo voce e pianoforte, un’intro ridotta al minimo e così nostalgica che ricorda vagamente “Rocket Man” di Elton John, una ballad rock intima che guarda con nostalgia e dolcezza al primo amore adolescenziale. Spiller ringrazia il dolore dato dalla fine della relazione soprattutto per l’ispirazione nata dalla sofferenza. Senza di essa, ammette il cantante, non sarebbe qui e non sarebbe diventato qualcuno un giorno.
Un album di ritorno alle origini, dal sound graffiante e ammiccante. Troviamo però una maturità sia dal punto di vista musicale, con riff e giri che funzionano alla perfezione, ma anche sul punto di vista dei testi, che presentano al loro interno un’autentica emotività. Un ottimo album che riconferma la bravura della band inglese.
Articolo di Ambra Nardi
Trackless “Pretty Vicious”
- Too Good At Raising Hell
- Pretty Vicious
- I Won’t Run
- Hands On Me
- Do What You Want
- Rockstar
- Remember The Name
- Bad Decisions
- Better Love
- Gimmie Some Blood
- Somebody Someday
Line Up The Struts: Luke Spiller voce/ Adam Slack chitarra/ Jed Elliott basso/ Gethin Davies batteria
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