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Cristiano Godano “Il suono della rabbia”

Il volume raccoglie gli interventi del cantante e leader dei Marlene Kuntz scritti negli anni a ridosso della pandemia

Uscito per la prestigiosa casa editrice Il Saggiatore sul finire del 2024, il volume “Il suono della rabbia” (19 euro) raccoglie gli interventi di Cristiano Godano, cantante e leader dei Marlene Kuntz, scritti negli anni a ridosso della pandemia. Testi che, come sanno gli appassionati, sono apparsi sulla rivista Rolling Stone, oppure sui social.

Un volume per certi versi interessante, soprattutto quando Godano si mette a nudo, e davvero si lascia andare. I testi in cui riflette su Nabokov sono decisamente i più interessanti, come quelli dedicati a Nick Cave, altra grande passione del cantante. Sono pagine molto belle, soprattutto quelle su Cave. Un azzardo, e la butto lì: perché, in futuro, non dedicare una monografia d’artista a Cave? Sarebbe davvero molto interessante conoscere il punto di vista di un artista su un collega che si stima e si ammira. Godano non nasconde di amare tutta la produzione di Cave, tranne un solo disco, che però non viene stroncato. Il principio è legittimo, e condiviso — per quanto possa interessare — da chi scrive: un artista evolve, sempre. E con esso la sua musica.

Una filosofia che, di fatto, Godano mette sul piatto anche per offrire spunti ai severi critici dei suoi Marlene. Soprattutto per quanto riguarda gli ultimi lavori (e io sono tra questi). Tuttavia, non sono tra coloro che svalutano i lavori del cantante in versione solista, che ritengo davvero ottimi. Ed ecco che le parole di Godano diventano la conferma di un modo di amare la musica che non deve essere né partigiano né talebano, ma evolutivo. Da Cave a Dylan (citato solo una volta), Godano è chiaro: ognuno ha il diritto di crescere, evolvere e cambiare. In questo, ad esempio, è molto interessante l’analisi che Godano fa dell’ultimo Cave, quello legato a doppio filo con Warren Ellis Allo stesso tempo, sono molto interessanti le riflessioni su a Nabokov. Godano dimostra di averlo assimilato con vera passione e attenzione, e devo dire che questa lettura emerge chiaramente in molti atteggiamenti e nei testi della sua produzione da solista.

Meritano poi particolare attenzione le parole dedicate ai Måneskin. Godano, con abilità fa capire come la pensa (e vi lascio scoprirlo…), e devo dire che la prima parte della sua analisi è impeccabile. Non solo, se qualcuno ha dei dubbi sul suo non amare in modo incondizionato i Måneskin, qui, nelle parole di Godano, trova un punto di vista interessante su come affrontare il problema. Una lettura che può essere utilizzata per tutti i fenomeni di massa. In sostanza, nessuno deve sentirsi snob, ma solo consapevole di quelli che sono i propri gusti, senza per questo doversi pensare un paria, un emarginato ramingo. Una riflessione che mi ricorda molto le parole di Michel Faber nel volume “Ascolta” (la nostra recensione).

Allo stesso tempo, il saggio dedicato a Neil Young è l’altro testo per il quale il volume merita di essere comprato. L’amore per Young è noto, tanto che qui, in queste pagine, c’è la testimonianza della genesi del progetto realizzato con “Asso” Stefana, e rivolto proprio al grande cantautore americano (il nostro live report). Infine, il terzo saggio di grande valore è quello che vede Godano riflettere su Iggy Pop e la libertà.

I difetti di questo testo, invece, sono fondamentalmente due. Il primo di contenuto, il secondo di forma. Sul contenuto, sia chiaro: il tema è condivisibile, ma risulta trito e ritrito in queste pagine. Nel senso, che il mondo della rete sia una sorta di Grande Fratello è chiaro già dopo due testi. Il fatto che venga ripetuto più e più volte stanca. Forse si poteva sforbiciare un poco negli altri testi, dato che qui si tratta di un libro, e non di saggi separati da spazio e tempo. E lasciare spazio per altre riflessioni che Godano ha fatto nel periodo di intensa produzione di scrittura. Sul secondo aspetto critico, invece, credo che la questione sia appunto più di forma, nel senso di forma mentis.

Godano, in estrema sintesi, e forse in modo fin troppo tranchant, mette gli artigli dietro guanti di velluto. Lancia il sasso, e sono belle sassate, ma si tutela dietro pesanti ripensamenti, che spesso sono anche oggetto di lunghe parentesi che appesantiscono molto la lettura. Che Godano non voglia pensarsi come intellettuale può essere cosa gradita, detta una volta, ma di fatto, che piaccia o no, Godano è un intellettuale, e anche raffinato. Lo è nell’accezione classica del termine, quella cioè forgiata da Zola nell’ambito dell’Affaire Dreyfus: un uomo di pensiero o di arte che interviene nelle questioni della società. Godano è questo, e tutti noi fan lo abbiamo sempre visto e pensato così. Non serviva “Bella ciao” versione Marlene Kuntz per renderlo evidente. E anche qui, per inciso, leggere di tutte le paure nel pubblicarla fa un poco arrabbiare. Capisco il mercato, e la fan base da rispettare, ma non eravamo nel 2025 quando quella versione uscì. Oggi è chiaro che il clima è cambiato e la cosa potrebbe essere dannosa, ma in quegli anni i Marlene erano punti di riferimento, e la loro musica, senza cantare testi alla Guccini, era già chiaramente vicina a certe idee.

Ed ecco che continuare, in modo massiccio, a ripetere che non si vuole essere quello che di fatto già si è, passa da una naturale e legittima presa d’atto che nessuno, in questi tempi strani, vuole avere un ruolo, ad una richiesta implicita di riconoscimento effettivo di un ruolo nella società. Godano può stare tranquillo, per tutti noi fan, e non solo, lui è un essere pensante, e le sue canzoni ci hanno sempre aiutato a dare senso e valore al mondo che ci siamo trovati a vivere, quello cioè degli anni ’90 e 2000. Ecco perché “Catartica” è dentro di noi, per sempre. A conti fatti, però, i difetti non offuscano del tutto i pregi, ma un poco li mettono in ombra. Un peccato, perché di cantautori che ci aiutino a pensare ne abbiamo bisogno come il pane. Oggi più che mai.

Articolo di Luca Cremonesi

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