La prima band a tornare in Italia in un tour europeo ha voglia di spazzare via i fantasmi del recente passato, e lo fa senza mezzi termini grazie a uno show perfetto e accorato. La dimensione live per i The Pineapple Thief è stata sempre molto importante, lo si è capito in maniera definitiva durante il periodo di lockdown sia grazie alle “Soord Sessions”, sia attraverso il live-streaming “Nothing But The Truth”. Tuttavia, seppur entrambi gli esperimenti siano risultati degli ottimi prodotti, nulla potrà mai competere con un vero concerto in presenza, per una miriade di ragioni impossibili (e forse stupide) da elencare.
Allora questo tour europeo per la band ha assunto a priori un sapore speciale, e delle quattro date italiane l’approdo in Capitale il 25 febbraio 2022, all’Auditorium Parco Della Musica (foto di Firenze 26 febbraio Viper Theatre), sapeva già di evento nell’evento. I Trope, anche se in assetto ridotto, chitarra e voce, risultano piacevoli e centrati; il chitarrista quasi incendia l’acustica per la foga esecutiva, e la voce della cantante è uno strumento in controllo, misurato ed espressivo.
Ma ci siamo, le sonorizzazioni dell’incipit di “Versions Of The Truth”, title-track dell’ultimo studio-album, riempiono l’aria: i The Pineapple Thief fanno il loro ingresso sul palco. Sono felicissimo della scelta d’apertura, il brano è il giusto traghettatore che conduce sia al cuore della band, sia al significato profondo dei testi di Soord. L’acustica perfetta della sala, la band affilata e concentratissima, fanno sì che il pubblico sia immediatamente dentro lo show.
“In Exile” arriva decisa, fluida, e nei suoi allunghi avvolgenti ci ricorda che siamo tutti esuli. “Demons”, uno dei singoli dell’ultimo lavoro, demolisce le timidezze residue del pubblico che si lascia andare alle prime ovazioni, nonché a simpatici siparietti come quello in cui un signore urla a squarciagola: “Vai Gavinoooooo!”, apostrofando il grande Gavin Harrison, uno dei pochi batteristi al mondo che riesce a essere al contempo incredibilmente tecnico e spaventosamente potente. Arriva a questo punto una bella versione di “No Man’s Land”, intima, dolce, che ci trasporta lontano nello spazio e, soprattutto, nei ricordi.
La recente “Our Mire” aggredisce con tiro dritto e aperto, in scioltezza anche nei controtempi e negli stacchi, ben naturalizzati nella versione live. Il bassista Jon Sykes, poi, è uno spettacolo nello spettacolo, sempre perfetto nelle armonizzazioni; i suoi interventi sono ormai l’arma canora in più nella cartucciera di Bruce Soord. A pensarci bene, non riuscirei a immaginare i The Pineapple Thief senza il suo apporto vocale, che è più di un semplice controcanto, ma si fa parte integrante della melodia portante.
Il tempo di una classica versione di “That Shore”, e la band inizia ad andare a briglia sciolta; il timore iniziale di far bene, di ricerca della perfezione sonora ed esecutiva resta, ma inizia a retrocedere a favore di un’istintività più marcata, di una foga che si abbatte sulla platea con “Give It Back”.
A questo punto stare seduti incollati alla poltrona diventa una sofferenza, il corpo comanda di alzarsi e di correre a saltare sotto il palco, e non resta che il vecchio caro headbanging. Quest’ultima versione, inoltre, apre una finestra sul prossimo progetto del gruppo, in uscita il 13 maggio: una rivisitazione di vecchi brani ripescati appositamente da Harrison, totalmente riarrangiati e riattualizzati.
Bruce Soord prende in mano un foglio e si scusa perché sta per parlare in italiano… e quando ci chiede di alzare la mano se si tratta del primo live da due anni a quella parte, almeno 800 delle 1000 mani destre presenti s’impennano fiere. Il frontman sorride, aggiunge che è così anche per loro, e il resto del live sta tutto in quello scambio: la voglia sfrenata di spingere i giri al massimo, di far andare le teste del pubblico, di far battere i piedi per creare un piccolo terremoto rock.
“Far Below” spinge l’acceleratore ancora di più, e se “Driving Like Maniacs” è di base una ballad, l’amalgama delle tre voci è un colpo al cuore; la malinconia diventa rimpianto e l’essere lì, dopo mesi di lockdown e distanziamento, diventa una sorta di piccola rinascita. “White Mist” è sospesa, ispirata… ma presto, nei cambi di ritmo e nelle reiterazioni del ritornello, quella domanda, “When did you lose?” si fa struggente, tanto che i 10 minuti del brano sembrano restituire la fallacità di ogni vita umana.
“Uncovering Your Tracks” permette di tornare a respirare un po’ nei suoi pieni/vuoti, in modo da restare a orecchie spalancate per il finale di “Wretched Soul”, in cui è la voce di Bruce a partire in assolo, sostenuta subito da un basso tondo e corposo, preludio di un crescendo in minore sentito ed elettrico.
La band lascia il palco senza averne alcuna intenzione, solo per onorare la tradizione del bis … e infatti il ritorno on stage arriva dopo un minuto scarso, segno che ne hanno ancora, eccome. Gli stacchi apocalittici di “Part Zero”, in collaborazione con l’ottimo impianto-luci, ci regalano delle istantanee plastiche del gruppo, ora in blu, ora in rosso, ora in luce naturale. Il picco dell’encore, tuttavia, è “The Final Thing On My Mind”, e l’emozione di cui Bruce parla nel recentissimo “TPT Tour Diary – Episode 1” (pubblicato su You Tube) ci arriva tutta, intatta. Una commozione difficile da spiegare e, proprio per questo, bellissima. Resta giusto il tempo per annunciare l’ultimo brano, accompagnato da una schiera di “Nooooo!”, perché la festa quando è bella vorresti durasse per sempre, senza sapere che la cosa più preziosa sta proprio in quella finitezza. Nel fermarsi e nel ricominciare ad anelare. “Nothing At Best” è un tripudio dell’intera band, con un inizio quasi punkeggiante, con un Soord più attore che cantante, e con dei suoni di synth spaziali.
Si riaccendono le luci, le orecchie fischiano come non succedeva da troppo tempo, i sorrisi sono stampati sulle facce come in certe pubblicità americane degli anni ‘50, e dentro sentiamo tutti la stessa duplice sensazione, ci posso scommettere:
1) qualcosa si stia finalmente riaprendo;
2) i The Pineapple Thief sono una garanzia da studio, ma una bomba dal vivo.
Articolo di Simone Ignagni (live Roma), foto di Giulia Breschi (live Firenze Viper Theatre)
Setlist The Pineapple Thief Roma 25 febbraio 2022
- Versions Of The Truth
- In Exile
- Demons
- No Man’s Land
- Our Mire
- That Shore
- Give It Back (Rewired version)
- Far Below
- Driving Like Maniacs
- White Mist
- Uncovering Your Tracks
- Wretched Soul
Encore - Part Zero
- The Final Thing On My Mind
- Nothing At Best
Vedi la nostra intervista a Bruce Soord: