Si resta molto stupiti da questo lavoro da solista di Davide “Dudu” Morandi, voce dei Modena City Ramblers. Il perché è presto detto e non è una mancanza di rispetto verso una vicenda, quella di Dudu, che si è unita a quella dei Modena City Ramblers fin dall’inizio diventando, poi, nel 2006 la voce che ha portato avanti una storia davvero interessante nel panorama musicale alternativo italiano. Si diceva, dunque, che lo stupore è presto detto perché l’album di Dudu è lavoro popolare nel senso alto e nobile del termine. Sapere – grazie alla piattaforma Produzioni dal Basso – che stava lavorando ad un progetto solista poteva portare a pensare che la storia, post Covid, con gli MCR fosse giunta alla fine. Invece questo lavoro è uno spazio di libertà che Dudu si è conquistato – forse proprio a causa dello stop imposto dal Covid – e che ha saputo sfruttare al meglio. È un’occasione andata in porto, con successo e che merita attenzione.
L’idea di realizzare un progetto musicale, un disco tutto mio, mi girava per la testa già da qualche tempo. Durante il primo lock down, quando il tempo da impiegare era davvero tanto, ho riordinato il cassetto delle canzoni abbozzate negli ultimi anni, scritte e lasciate lì, in attesa che trovassero il loro posto, brani molto personali, ai quali si sono aggiunti pezzi scritti appositamente per dare forma a questo disco dichiara Dudu, e così è stato.
In primis questo lavoro merita attenzione, ed è davvero un pregio (sulla scia dei progetti da solista, ad esempio, di Capovilla), perché Dudu non ha fatto una copia dei lavori con i Modena. In questo album, che è nato anche come successo personale della campagna di crowdfunding, Morandi ha saputo condensare ottimi testi, belle storie e un mood sonoro che – non me ne voglia – valorizza al massimo la sua timbrica e la sua attuale voce. Negli ultimi show dei Modena – e mi assumo la responsabilità di quello che scrivo – l’ho visto e sentito non sempre in forma. Non intendo in quella fisica e delle idee, ma della voce. Qui, invece, Dudu è a casa sua; ci sta bene e l’ha costruita come gli fa comodo.
Dieci brani che raccontano storie, personali e non solo, che hanno a che fare con i vissuti e le passioni del Nostro. La traccia che dà il titolo al lavoro, “Vecchio come la luna”, è davvero un perla di bellezza, disincanto e disillusione. Per chi ha vissuto tutto quello che ha vissuto un artista come Dudu; per chi ha fatto un percorso musicale con un gruppo che, volente o nolente, è nella storia della musica italiana, un testo di questo genere non solo è onesto, vero e vissuto, ma soprattutto è atteso dai fan. Dudu non è presenza secondaria nel panorama musicale nostrano. Sbaglia chi la vede così. Portare avanti, con ottimi lavori come “Dopo il lungo inverno”, “Onda libera” e “Battaglione alleato”, una storia come quella dei Modena City Ramblers non era facile e serviva impegno, dedizione e testa. Elementi che Dudu ci ha sempre messo. Il resto è dettato dal tempo, del quale, più di tanto, non siamo però responsabili. Arrivare, dopo questa lunga stagione, a un lavoro da solista è, ancora una volta, una bella scommessa. E Dudu, ancora una volta, con la sua genuinità, l’ha vinta. Qui, in questa traccia che detta il ritmo dell’album, non si tratta di inventare vite, ma di raccontare la propria, trasformandola in qualcosa di universale. Questo è il succo condensato del valore di questa traccia.
Stessa operazione avviene con “L’estate dell’Ottantasei”, brano che racconta una fase giovanile usando, come sponda, il Mondiale di Diego Armando Maradona, quello della “mano de dios” per intenderci. È bello sapere che, anche nella cultura italiana, si comincia (finalmente) ad abbandonare l’immagine del Diego farabutto e titolare dei peggiori pregiudizi che si possono avere sulle persone di Napoli. Diego è, e sarà per sempre, occasione si riscatto per gli argentini e per i napoletani, e Dudu dimostra di saperlo e quell’estate dell’Ottantasei è costruita e ricordata proprio a partire da questa consapevolezza.
Altro brano molto interessante è “Tre briganti Saraceni” (anche grazie alla tromba di Simone Copellini), come d’altronde “Sono il numero uno”, traccia che apre il cd. Anche qui la capacità di scrittura di Dudu va ben oltre le semplici canzoni di protesta alle quali siamo abituati. Dudu, nel caso di “Tre briganti Saraceni” costruisce davvero una bella canzone che, in tempi diversi e meno oscuri e più civili, sarebbe un ottimo singolo da mandare in radio.
Dudu, insomma, consegna alla stampa – per ora solo per i sostenitori del crowdfunding, ma presto per tutti – un lavoro intimo, nel senso che è tutto suo, non è figliato per forza dalle sue esperienze attuali, dimostrando così capacità di scrittura che andrebbero indagate. Allo stesso tempo è onesto, come d’altronde si è sempre posto al suo pubblico, e costruisce un mondo musicale nel quale valorizza il suo canto. L’estensione non è potente, lo sappiamo, ma non serve sempre e per forza avere voci da talent. La storia dei Gang, per citare un esempio, è lì a dimostrarlo. Dudu si inserisce nel filone – minoritario – di chi crede che raccontare storie (al plurale) sia un modo per resistere alla storia maggioritaria e dominante. È un’eredità importante. È quella della grande stagione dei cantautori, alla quale Dudu si affaccia senza pretese.
Non è un album pretenzioso, nient’affatto. È genuino nei suoni, nella produzione e nella scelta del continuo dialogo – durante il periodo di crowdfunding – con i fan. Il risultato è un album che sta a metà fra la rinnovata tradizione di chi cerca, con la parola, di tornare a dare dignità a una stagione musicale che, ormai, si riduce sempre più al binomio “cuore – amore”, come ad esempio il bell’omaggio di Cristicchi e Amara a Battiato (il nostro articolo). Oppure, come nel caso del giovane Vieri Cervelli (il nostro articolo), e cioè guarda verso chi cerca di innovare con musica e parola unite in modo inscindibile. Dudu, invece, sta nel suo, si dice in gergo. Non eccede e, allo stesso tempo, non si ripete.
Ogni traccia è uno dei mondi musicali di Dudu, dal reggae al folk, passando per le varie declinazioni del rock arrivando alla ballata. La parola è e resta importante in tutte e dieci le tracce (forse cede un poco di terreno solo in “Sono una cipolla selvatica”, ma la cosa può essere perdonata). Le storie di Dudu raccontano fatti e vicende, o sentimenti, e sono alla portata di tutti. Questa è una lezione che trascende il tormentone estivo ed incarna, invece, la nobile tradizione della canzone popolare.
“Vecchio come la luna”, dunque, è un album che guarda al pubblico con rispetto. Non si tratta di spremere limoni e conquistare like, accessi o visualizzazioni. Dudu cerca il contatto con chi vuole storie ben confezionate e credibili. L’album, dunque, è davvero popolare e cioè canzoni che si cantano insieme e che fanno pensare. Pregio di una tradizione che, per quanto sia oggi minoritaria, corre sotto i terreni aridi come le graminacee: si diffonde, lentamente, senza sparire.
Articolo di Luca Cremonesi
Track list “Vecchio come la luna”
- Sono il numero uno
- L’estate dell’Ottantasei
- Appunti in vitriola
- Vecchio come la luna
- Nella cassa
- Tre briganti saraceni
- D’la dal pount
- Sono una cipolla selvatica
- Dimoni
- Sei d’aria